FFO 2023 università: tornano a calare le risorse reali, una sempre maggiore sperequazione
Lo schema di DM che definisce il Fondo di Finanziamento Ordinario degli atenei conferma la nuova emergenza universitaria.
In anticipo rispetto agli ultimi anni, il Ministero dell’Università e della Ricerca ha prodotto nel mese di giugno il primo schema di decreto sul Fondo di Finanziamento Ordinario degli atenei, trasmettendolo ai diversi organismi del sistema universitario nazionale per un loro parere (CUN, CNSU, CRUI).
Il FFO rappresenta la maggior fonte di finanziamento per le 67 università statali del paese, garantendo come appunto indica il suo nome le risorse per le attività istituzionali degli atenei (erogazione dell’offerta formativa, attività di ricerca basilare, la cosiddetta terza missione, e le retribuzioni del personale). In realtà, il FFO copre poco più di 2/3 delle risorse complessive che usano gli atenei: un cruciale 15% deriva dalla tassazione studentesca (in diversi atenei sopra il limite del 20%, come ha sottolineato la Corte dei Conti nel 2021) e la restante parte deriva da altre risorse (in particolare progetti di ricerca europei e internazionali, conto terzi, risorse da enti locali e fondazioni bancarie del territorio, scarsissime risorse private). Come abbiamo segnalato anche recentemente [La nuova emergenza ], il FFO ha conosciuto nello scorso decennio un calo significativo (-9,23% in termini nominali tra il picco del 2009 e il punto più basso 2013; -17,96% tenendo conto della svalutazione, tra il picco del 2008 e il 2013). Dal 2016 abbiamo visto un progressivo recupero, con una progressiva crescita del FFO nominale arrivato nel 2018 a 7,33 mld di euro, superando i valori del 2009, e poi proseguita con i 7,43 mld del 2019, i 7,8 mld del 2020, gli 8,38 del 2021 e gli 8,65 del 2022. Le risorse reali, però, sono tornate ad avvicinarsi a quelle del 2008, e a superare quelle del 2009, solo nel 2021: quell’anno siamo infatti tornati intorno ai 6,123 mld di euro, contro i 6,164 del 2008 e i 6,040 del 2009 (dati attualizzati ai valori del gennaio 2000, secondo l’indice ISTAT). In realtà, a causa della significativa inflazione, le risorse reali sono poi tornate a calare: l’anno scorso di un 1,35%, quest’anno con una flessione ancor più accentuata.
Il FFO 2023, infatti, si colloca intorno ai 9,205 miliardi di euro. L’aumento nominale rispetto allo scorso anno è di 550 milioni di euro (+6,3%). Però, per effetto dell’inflazione, le risorse reali sono in realtà diminuite del 3,18% rispetto all’anno precedente, del 4,49% rispetto al nuovo picco del 2021. Se poi andiamo a vedere dove si colloca l’aumento di risorse, possiamo notare che i principali incrementi sono finalizzati su specifici interventi: +201 milioni di euro per l’incremento delle borse di dottorato (inglobando i 30 previsti nella legge di bilancio 2022, art 1, comma 297 lettera e della legge 234/2021), +225 milioni di euro per il piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge di bilancio 2022 (secondo quanto previsto sempre dall’art 1, comma 297, lettera a della legge 234/2021), +55 mln per interventi rivolti agli studenti (come i 35 milioni per i servizi psicologici o i 5 per i servizi a dislessici e disabili). Larga parte dell’aumento nominale di risorse, cioè, è vincolato, riducendo quindi ancora più significativamente le risorse reali a disposizione per affrontare l’aumento dei costi, sia sul lato dei servizi generali, sia su quello del personale (il rinnovo del CCNL del personale tecnico amministrativo 2019/22, quindi comunque senza ancora inglobare l’adeguamento dei salari all’inflazione, con aumenti complessivi della massa salariale intorno al 6/7%; l’adeguamento ISTAT e gli scatti biennali del personale docente).
Questa preoccupazione sulle risorse si ritrova ad esser trasversale a tutti i pareri espressi in questi giorni. Un segnale che crediamo sia indicativo delle effettive condizioni del sistema universitario, al di là della comunicazione ministeriali e dei suoi echi mediatici.
Il CUN, nel suo parere articolato e puntuale, ha infatti sottolineato come la variazione delle risorse sia vincolata a interventi specifici, irrigidendo di fatto la gestione delle risorse da parte degli atenei. Aggiungendo che le risorse restano strutturalmente inferiori alla media europea e non appaiono sufficienti a garantire la copertura delle esigenze economico-finanziarie del sistema universitario. Per questa ragione il Consiglio rinnova il suo richiamo affinché s’individuino con urgenza finanziamenti addizionali stabili e non vincolati. Il CUN, giustamente, entra anche nello specifico, segnalando come la crescita programmata dei reclutamenti e degli avanzamenti di carriera rischia di configurarsi come un obiettivo non sostenibile da un punto di vista economico-finanziario per l’intero sistema. Non a caso negli ultimi anni molti atenei hanno fatto ricorso in via largamente prevalente ai piani straordinari per garantire il turnover e il reclutamento di nuovo personale, lasciando quindi inutilizzato il contingente assunzionale con i relativi punti organico. Negli ultimi anni, infatti, l’incremento del FFO si è focalizzato in particolare su piani straordinari di assunzione (la legge di bilancio 2022, il comma 297 dell’articolo 1 della L. 234/2021, vi ha dedicato 760 milioni di euro a regime), ampliando gli organici (il contingente assunzionale con i relativi punti organico), a cui proprio in questi anni si sommano le imponenti risorse del PNRR, in cospicua parte dedicate anch’esse al personale, anche se a tempo determinato, sia ricercatore (in particolare Rtd-a, oggi passati da circa 6.000 a oltre 9.000) sia TAB. In assenza di un parallelo aumento di risorse libere, questo non solo rende problematico affrontare l’aumento dei costi per l’inflazione, ma rischia di avvicinare gli atenei alle soglie previste per le spese del personale del DL 49/2012. Per questo come segnala il CUN molti atenei, prudenzialmente, stanno dilazionando il loro turn-over, vanificando così l’obbiettivo di allargare strutturale gli organici. Il protrarsi di questa situazione potrebbe inoltre riavviare una nuova potente spinta all’aumento delle tasse universitarie (dopo l’incremento di oltre il 25% degli ultimi 5 anni, come sottolineiamo Nelle righe del rapporto ANVUR). Queste, infatti, sono le uniche risorse facilmente accessibili (anche per l’allentamento dei vincoli determinato dall’espansione complessiva dei budget), determinando però in questo modo un nuovo e negativo innalzamento della soglia di accesso all’istruzione universitaria.
Anche il CNSU, il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, sottolinea che il FFO, come quello degli ultimi anni, risulta insufficiente e non riesce a rispondere alle reali esigenze di rilancio del sistema universitario nazionale. Inoltre, con l’indice inflativo degli ultimi anni e con l'aumento dei costi sostenuti dagli Atenei, specialmente sotto il profilo delle utenze (energia e gas) e del personale, la crescita del 6,34% rispetto a quella del 2022 non riesce a compensare l’aumento inflativo…Il fondo di finanziamento ordinario, dunque, non risulta sufficiente per coprire le esigenze di un sistema che necessita di maggiori investimenti, soprattutto tenendo in considerazione il contesto socio-economico in cui esso agisce, che giorno dopo giorno peggiora sempre di più.
Persino la CRUI, la Conferenza dei Rettori (solitamente molto compassata nelle sue valutazioni sull’azione del governo) segnala che i processi inflazionistici in atto, nonché i correlati incrementi dei costi del personale, stanno comportando innalzamenti degli oneri della gestione che, già nel breve termine, rischiano di rendere insostenibile la loro copertura qualora non si incrementi adeguatamente, per tutti gli atenei, la dotazione di risorse non vincolate nella loro destinazione.
La preoccupazione sulle risorse complessive non è però l’unica. Continua infatti a contrarsi la percentuale della quota base del FFO: lo stanziamento 2023 è di 4.321.272.084 euro. Da un punto di vista nominale, per la prima volta dal 2008 assistiamo ad un suo incremento (111 mld di euro, pari al 2,63%). In realtà, però, diminuisce significativamente il suo peso sul Fondo complessivo, attestandosi oramai sotto al 50% e in continuo calo. Nel 2023 siamo al 46,95% (quasi due punti percentuali in meno del 48,64% dello scorso anno). Nel 2008 era il 91%, nel 2010 il 78,32%, nel 2012 l’80,55%, nel 2014 il 72,62%, nel 2018 il 60,44%, nel 2021 passa per la prima sotto al 50% (49,94%). Una dinamica sottolineata con preoccupazione sia dal CNU, sia dal CNSU, proprio nel suo andamento progressivo, con l’accelerazione della sua contrazione proprio in questi ultimi cinque anni, a fronte del recupero di risorse complessive del FFO. Inoltre, all’interno della quota base, si espande progressivamente la componente basata sul costo standard di formazione studente: quest’anno arriva a 2,2 mld di euro, con un incremento di 200 milioni rispetto lo scorso anno (+10%), diventando quindi il 52,39% della quota base. È la prima volta che questa componente supera l’altra, la quota storica e perequativa, con una progressione negli ultimi cinque anni: dopo esser stata intorno al 30% sino al 2018, arriva al 40% nel 2020 e al 48,75% nel 2022. Il costo standard (costruito con un algoritmo complesso, che considera solo gli studenti in corso) presenta parametri sbilanciati che favoriscono alcuni atenei ed alcune aree. Non a caso lo stesso CUN segnala una preoccupazione, rilevando l’aumento significativo dell’incidenza del “costo standard” sul FFO complessivo, dal 18,8% del 2018 a 23,9% del 2023 (equivalente a circa il 32% del fondo senza interventi specifici come previsto dal D.M. 4 agosto 2021 n.1015), i cui effetti nella ridistribuzione delle risorse appaiono particolarmente importanti.
Continua quindi a crescere la quota premiale, cioè la parte delle risorse distribuita secondo criteri e parametri di valutazione decisi centralmente. Nel 2023 arriva a 2,5 miliardi di euro, crescendo di 164 milioni di euro rispetto lo scorso anno (+7%), per rimanere al 27% del Fondo complessivo. Rimane a 150 mln di euro la quota perequativa, dopo esser calata lo scorso anno dai precedenti 175 mln di euro (-14,3%), riuscendo quindi ad incidere sempre meno nella distribuzione sempre più sperequata delle risorse. Lo segnala anche il CUN, che sottolinea come il Consiglio valuta negativamente il mancato aumento, come già da parere dello scorso anno, rispetto a quanto erogato annualmente nel triennio 2019-2021 (175 milioni). Questa premialità è distribuita utilizzando tre parametri (rispettivamente per il 60%, 20% e 20% dell’importo): i risultati della Valutazione della qualità della ricerca (VQR 2015-2019), le politiche di reclutamento (VQR dei soggetti reclutati dalle Università), la cosiddetta “valorizzazione dell’autonomia responsabile” (due indici individuati dai singoli atenei in relazione a ricerca, didattica e internazionalizzazione), come gli scorsi anni. L’incidenza delle quote premiali nel FFO è in realtà più alta, dovendo tenere conto delle quote finalizzate distribuite con simili criteri premiali (basati sulla VQR): sommando infatti ai 2,5 mld di euro della quota premiale i dipartimenti di eccellenza (271 mln) e i diversi piani straordinari, ci si avvicina ai 3,5 mld di euro (superando il 35% delle risorse complessive). Questa quota era intorno al 31% nel 2019, con una significativa crescita negli ultimi anni.
Diventa, infatti, sempre più rilevante anche la quota dedicata agli interventi finalizzati: 2,233 miliardi di euro. È un aumento di quasi 300 mln di euro, +16,9%, sullo scorso anno (dove questi fondi erano di 1.96 mld). Come abbiamo già sottolineato nel passato, questa quota nel 2014 era di circa 605 milioni di euro: è passata progressivamente dal 8,6% del FFO al 24,6%, e come abbiamo già sottolineato tutti gli organismi valutano criticamente questa dinamica nei loro pareri.
Un’ultima nota sui margini di variazione di ogni singolo ateneo. L’allegato 2 dello schema di decreto stabilisce che la quota perequativa è chiamata primariamente a ricondurre l’entità del FFO 2023 di ogni università entro l’intervallo (0%, 8%) rispetto all’assegnazione del FFO 2022. Sino al 2016, in realtà, i Decreti ministeriali hanno previsto una soglia di salvaguardia solo sulla riduzione del FFO (-2%), il vincolo principale da tenere in conto in una stagione di tagli. Poi, sino al 2019, si è determinata una soglia minima del -2% e una massima del 3% del FFO dell’anno precedente. Il ministro Manfredi pose dal 2020 una quota di salvaguardia minima dello 0% (cioè, il FFO per un singolo ateneo non poteva più diminuire, almeno nominalmente, da un anno all’altro), alzando però la soglia massima al +4%. Il FFO dello scorso anno ha portato questa soglia al +6%. Il FFO 2023 l’aumenta ancora di due punti, all’8%. È evidente la progressione di questo parametro, che aumenta la differenziazione nella distribuzione delle risorse (in una stagione, tra l’altro, che come abbiamo visto non vede risorse reali crescenti). Il CUN, nel suo parere, segnala rispetto a questa scelta forte perplessità e preoccupazione, in quanto tale meccanismo rischia di aumentare ulteriormente i divari tra gli atenei. Si propone, pertanto, la riduzione dell’intervallo da 0 ad un massimo del 4%, tanto più tenuto conto che gli attuali livelli di inflazione e la solo parziale copertura degli adeguamenti delle retribuzioni fanno sì che, a parità formale del livello di finanziamento, non corrisponda un effettivo mantenimento della capacità e sostenibilità di spesa. Non possiamo che sostenere tale considerazione. Anzi, come ricorda il CNSU, non possiamo che ribadire come il sistema di finanziamento sia da ripensare in una logica radicalmente differente. Non serve unicamente un cospicuo aumento degli investimenti, ma soprattutto una ripartizione più equa che possa garantire agli atenei degli elevati livelli nella qualità della didattica e della ricerca, in modo da frenare un sistema che, non distinguendosi dal contesto in cui agisce, diventa anch’esso causa ed amplificatore delle diseguaglianze territoriali. Il finanziamento, strutturato in questa maniera, favorisce infatti logiche di concentrazione delle risorse in pochi centri particolarmente attrattivi, impattando innegabilmente sulla qualità di didattica e ricerca di molti atenei che non sono considerati tali. Una sintesi puntuale di quelle che sono le attuali dinamiche del sistema
In conclusione, riteniamo di esser di fronte ad una nuova emergenza universitaria, segnata dall’incapacità di espandere i tassi di iscrizione all’università ed una nuova riduzione di studenti e studentesse, solo tamponata dalle telematiche. Il governo, però, conferma e rilancia le politiche universitarie dello scorso decennio, con un nuovo calo di risorse che mette progressivamente a rischio la tenuta dei conti degli atenei e con un rilancio della differenziazione premiale nella distribuzione dei fondi (nelle componenti del FFO e nell’allargamento della soglia massima di differenziazione dei finanziamenti tra un anno e l’altro). Questa rischia di esser una politica altrettanto disastrosa di quella condotta più di un decennio fa, con la possibilità di determinare fratture significative nella stessa capacità di tenuta del sistema universitario nazionale.
Il PNRR, in questo quadro, pur prevedendo risorse significative, non interviene sugli squilibri e le contraddizioni di sistema, ma anzi gli approfondisce. Il suo impianto è finalizzato a rilanciare il sistema produttivo agendo sull’università (dalla ricerca all’impresa, come recita proprio il titolo della seconda componente della Missione 4), con l’obbiettivo di rilanciare la produttività totale dei fattori (come ricorda Mario Draghi nella stessa premessa del PNRR). Abbiamo segnalato in un’analisi di dettaglio, come nel recente documento sulla nuova emergenza, come questo intervento in realtà droghi il sistema universitario e della ricerca, copre temporaneamente un bisogno senza toccare nessuno dei disequilibri strutturali determinati negli ultimi decenni e moltiplicati con i tagli alle risorse e la logica competitiva della Legge Gelmini.
Non possiamo che ribadire la necessità di cambiare passo e direzione. Come abbiamo spesso ripetuto in questi anni, serve cioè difendere e rilanciare il sistema nazionale universitario, a partire da una ripresa sostanziale del finanziamento pubblico e da una sua diversa logica distributiva. Su questo impegno, la FLC CGIL continuerà la propria azione nel prossimo autunno in tutta la comunità universitaria (docenti, personale tecnico amministrativo, precari e anche studenti), cercando di avviare una mobilitazione connessa alla più generale iniziativa per una svolta nelle politiche sociali ed economiche del paese.