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Il PNRR, l’università e la ricerca: appunti su un rischio di sistema

I numeri del Piano e le nostre osservazioni.

20/10/2022
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1. IL PIANO E LE SUE CIFRE

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza [PNRR] prevede interventi per 235 mld di euro:

  • 191,5 mld dal Recovery and Resilience Facility (RFF, prestiti e finanziamenti a fondo perduto),
  • 13 mld dal REACT-EU (il fondo di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori)
  • e infine 30 mld di risorse aggiuntive della programmazione nazionale.

Alla Missione 4 [Istruzione e ricerca] sono dedicati complessivamente 30,88 mld

Circa 19,44 mld sono per servizi all’istruzione [Componente 1]; 11,44 mld dalla ricerca all’impresa [Componente 2]. La prima domanda che ci poniamo è: quante risorse sono destinate al sistema scuola quante a università e ricerca? La risposta non è immediata. Il MUR gestisce direttamente 2,64 mld di euro sulla componente 1 (Istruzione), cioè oltre il 13,5% di quelle risorse, e 9,09 mld della componente due (Ricerca), l’80% di quelle risorse. I restanti 2,35 mld della componente 2 sono nella mani del Ministero dello Sviluppo Economico. Le risorse per gli ITS (1,5 mld di €), sotto controllo di Ministero dell’Istruzione e centri professionali, coinvolgono anche gli Atenei nelle nuove ITS Academy. Cioè, il MUR gestiste direttamente 11,73 mld, mentre al sistema universitario e della ricerca (comprese le realtà embedded nell’apparato produttivo) arrivano oltre 14 mld di euro (14,08, per la precisione). È il 45,6% delle risorse alla Missione 4.

Prima osservazione: le dimensioni contano

La spesa pubblica annua per la scuola, da infanzia a superiori, supera i 58 miliardi di euro annui: circa l’86% a carico dello Stato (50 mld) e il 14% di enti locali (oltre 8 mld di €). L’impatto del PNRR nei cinque anni della sua azione [cioè quando le risorse sono effettivamente in campo, 2022/2026] è del 5,7% (16,8 su 290 mld); il 6,7% dei fondi Pubblica Istruzione (28% e 33% in rapporto alle disponibilità annue di risorse). La spesa pubblica annua per università e ricerca deriva da più fonti e si disperde su più soggetti. Il Fondo di Finanziamento Ordinario delle università statali è di circa 8,3 mld di € nel 2022, a cui si aggiungono 400/500 mln di altri interventi (100 mln per atenei non statali e telematici, 163 mld per PNR, 75 per edilizia, 100 mln grandi attrezzature, ecc). Da qui al 2026 è previsto un aumento FFO di 870 mln, per il personale (circa 6mila punti organico: 7/8 mila docenti, 4/5 mila tecnici amministrativi e bibliotecari, comunque non in grado di recuperare i tagli da 2010 a 2020). L’ISTAT attribuisce il 60% del FFO a spese di ricerca ed il resto a istruzione, con un calcolo più istituzionale che reale. Le università comunque hanno fondi propri per oltre il 30% dei loro bilanci (circa 15% da istituzioni, banche, ecc; 15% da studenti): possiamo quindi stimare altri 3,5 mld di €, per un totale di oltre 12 mld annui agli Atenei. Il FOE, il Fondo Ordinario per gli Enti di ricerca vigilati MUR (CNR, INAF, INFN, INGV, Dhorn, OGS, Science Park Trieste, artico e altri) è di circa 2 mld di € nel 2022 (da 2023 su 2,1 mld). La spesa complessiva nei settori MUR è quindi pari a oltre 14 mld di euro (11 mld di suoi finanziamenti), verso i 15 nel 2026. A questo si aggiungono circa 1,5 mld di fondi ad enti di ricerca non vigilati MUR (ISS, ISPRA; ISTAT, CREA, ENEA e altri), più quelli a enti non pubblici (IIT, Human Tecnopole e da quest’anno Biopolo di Siena). Nel complesso, oltre 16 miliardi di euro (12 mld di trasferimenti MUR). Infine, bisogna considerare la ricerca nelle imprese, altri 16/17 miliardi (una larga parte defiscalizzata o incentivata, come Industria 4.0). Il recente Tavolo tecnico per la Strategia Italia su Ricerca Fondamentale (istituito da Messa) calcola che la spesa per ricerca di base è ferma intorno ai 4,5 miliardi, quella per ricerca applicata poco oltre gli 8 miliardi, circa 8 mld sono investiti in sviluppo sperimentale (nelle imprese).

Cioè, l’impatto PNRR su istruzione terziaria e ricerca è intorno al 8,4% (14 mld su 165 complessivi, di cui 20 per istruzione terziaria e 15 da altre entrate). Però, se guardiamo le risorse nel perimetro MUR, l’impatto è di circa il 16,7% (11,7 mld su 70); se guardiamo i fondi MUR, l’impatto è del 23,4% (11,7 mld su 55), quasi un quarto. Cioè, le risorse investiti sono oltre il 40% di quelle annue complessive (14 mld su circa 33 mld), l’83% nel perimetro MUR (11,7 mld su 14); il 111% sui fondi MUR annuali (11,7 mld su 11).

2: LE AZIONI DEL PIANO SU ISTRUZIONE UNIVERSITARIA E RICERCA

Possiamo suddividere le azioni previste in tre gruppi: componente 1 [Istruzione], componente 2 [Ricerca] nel perimetro MUR e nel perimetro MES. Senza considerare, come detto, l’azione M4.C1-1.5 [Sviluppo sistema formazione professionale terziaria], gli ITS (1,5 mld). Non sono oggetto di questa nota di aggiornamento le riforme [le più rilevanti su classi di laurea e SSD, qui un primo commento].

AZIONI ISTRUZIONE [M4.C1], in totale investimenti per 2,63 mld €:

  • M4.C1-1.6 Orientamento (250 mln): 50 mila corsi brevi (tenuti da docenti universitari e scuola), dal 3° anno superiori, per incrementare tassi passaggio. Previsti 6mila accordi e coinvolti 1 mln di studenti.
  • M4.C1-1.7 Alloggi per studenti (0,96 mld): nuove strutture private o pubblico-private, con copertura oneri primi 3 anni, tassazione edilizia sociale, revisione parametri edilizi e uso flessibile degli alloggi quando non necessari l'ospitalità studentesca.
  • M4.C1-1.7 Borse di studio (0,5 mld): incremento importo di 700 € medi, arrivando così ad un valore di circa 4.000 euro per studente, e loro estensione a platea più ampia.
  • M4.C1-3.4 Didattica e competenze universitarie (0,5 mld): 3 Teaching and Learning Centres per insegnamento scuola e università; 3 Digital Education Hubs (DEH) per istruzione digitale a studenti e lavoratori universitari, 500 dottorandi per transizioni digitale e ambientale.
  • M4.C1-4.1  Dottorati (0,43 mld). Sui circa 8/9mila dottorandi attualmente attivi (erano 14mila nel 2020), si prevede istituzione ciascuno anno di 1.200 borse di studio.

AZIONI RICERCA MUR [M4.C2], in totale investimenti per 9.09 mld €:

  • M4.C2-1.1 PNR E PRIN (1,8 mld): fondi per sostenere progetti di ricerca nell’ambito dei bandi PNR e PRIN; si prevede di finanziare 5.350 progetti.
  • M4.C2-1.2 Sostegno giovani ricercatori (0,6 mld): fondi di ricerca per massimo 2100 giovani ricercatori già vincitori di bandi ERC-Starting Grant, Maire-Curie o Seal of Excellence (valutati bene ma non finanziati), prevedendo assunzione ricercatore “non-tenure-track”.
  • M4.C2-1.3 Partenariati estesi (1,61 mld): 15 programmi di ricerca e innovazione (almeno 100 mln ciascuno), realizzati da partenariati tra Università, centri di ricerca e imprese, con specifico obbiettivo di usare tra 225 e 375 mln per Ricercatori Tempo Determinato (tra 1.500 e 2.500).
  • M4.C2-1.4 Campioni nazionali (1,6 mld): 5 centri nazionali, Hub and Spoke, per ricerca di frontiera su Simulazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni, Tecnologie dell’Agricoltura (Agritech), Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA, Mobilità sostenibile, Bio-diversità.
  • M4.C2-1.5 Ecosistemi innovazione (1,3 mld): 12 reti di università statali e non statali, enti pubblici di ricerca, enti pubblici territoriali, altri soggetti pubblici e privati per sviluppare formazione di alto livello, innovazione e ricerca applicata definite sulla base delle vocazioni territoriali.
  • M4.C2-3.1 Fondo infrastrutture (1,58 mld): 30 strutture che colleghino il settore industriale e quello accademico, di rilevanza pan-europea o dedicate, promuovendo la combinazione di investimenti pubblici e privati e guidate da un research manager
  • M4.C2-3.3 Dottorati (0,6 mld): 5.000 borse di dottorati innovativi per rispondere ai fabbisogni delle imprese e promuovere da parte loro l'assunzione dei ricercatori, con percorsi di co-finanziamento privato e potenziamento, in tutti i settori, delle competenze di alto profilo.

AZIONI RICERCA MISE [M4.C2], in totale investimenti per 2,05 mld €:

  • M4.C2-2.1 IPCEI (1,5 mld): incentivi ad imprese nelle catene strategiche del valore attraverso finanziamento di progetti di notevole rilevanza per lo sviluppo produttivo e tecnologico del Paese, integrando fondo IPCEI, di cui all’art. 1 comma 232 legge di bilancio 2020.
  • M4.C2-2.2 Partenariati Horizon (200 mln): bandi per European Partnerships, iniziative transnazionali di ricerca e sviluppo in High Performance Computing, Key digital technologies, Clean energy transition; Blue oceans and Blue economy; Innovative SMEs, sollecitando investimenti privati.
  • M4.C2-2.3 Centro trasferimento tecnologico (350 mln): rete di 60 centri (Centri di Competenza, Digital Innovation Hub, Punti di Innovazione Digitale) incaricati di progettualità e servizi alle imprese in tecnologie avanzate, trasferimento tecnologico e servizi innovativi.

Seconda osservazione: i contenuti pesano

Cinque linee. Se osserviamo le diverse azioni, possiamo evidenziare come al di là delle componenti e dei soggetti (Istruzione, Ricerca MUR e Ricerca MISE), emergano fondamentalmente 5 indirizzi:

  • Servizi agli studenti (1,8/1,9 mld): attività di orientamento alle superiori, borse di studio, alloggi (molto declinati sul rapporto pubblico privato e su un loro uso aggiuntivo privatistico), borse di studio e Digital Education Hubs.
  • Progetti di ricerca (2,59 mld): fondi per progetti puntuali (PNR; PRIN; giovani, partenariati Horizon), che prevedono l’assunzione di personale precario (RTD, contratti, assegni, ecc).
  • Strutture di ricerca (6,08 mld): costruzione di specifici centri, Hub, poli e reti che coinvolgono atenei, EPR, altri enti e imprese, con fondi dedicati ma limitati alla durata del PNRR (con possibile proprio personale).
  • Dottorati (1,1/1,2 mld): risorse sia in C1 [3.4 e 4.1], sia in C2 [3.3]; il MUR prevede 4.100 borse finanziate da lui e 4.100 da altre missioni (3.000 PA, 600 patrimonio culturale), più 15.000 (15mila!) dottorati industriali cofinanziati.
  • Incentivi imprese (1,4 mld), gestiti direttamente dal MES e distribuiti direttamente alle imprese, nel quadro di filiere ritenute strategiche sul piano industriale.

Il PNRR, cioè, prevede in primo luogo un intervento molto ridotto su studenti/studentesse (meno di 2 mld di euro, la metà in realtà su sostegno al privato sociale e ad un uso privatistico delle strutture universitarie), mentre in secondo luogo si concentra su strutture e reti di ricerca (oltre 6 mld di euro). È molto, molto di più della metà del Fondo di Finanziamento Ordinario annuo di tutti gli atenei statali. Il PNRR cioè si focalizza sull’estensione strutturale del sistema, creando centri, hub e poli [al di là di interconnettere spesso persone, nuclei di ricerca e laboratori già presenti in enti, Atenei e imprese, si prevede cioè comunque la formazione di nuovi contenitori, Fondazioni, sedi, realtà].

In terzo luogo, il PNRR si focalizza sui precari. Le risorse per strutture e progetti (in tutto circa 10 mld di €) saranno dedicati in larga parte all’assunzione di personale “non tenure track”. Pur non essendo esplicitato, ci saranno anche TAB (tecnici, amministrativi e bibliotecari): le nuove strutture avranno necessità di loro e, stante la loro transitorietà, a tempo determinato o in mobilità dagli atenei (con TD nelle relativa posizione); l’imponente impegno di alcuni uffici (ad esempio bandi e rendicontazioni) saranno affrontati anche con personale PNRR (a TD); non è poi da escludere l’acquisizione da parte di alcuni di servizi (appalti). Difficile preventivare i numeri, tenendo conto specificità e indefinitezza delle nuove strutture. La massa però è significativa: solo tra giovani ricercatori (C2.1.2) e partenariati estesi (C2.1.3) sono previsti quasi 4mila posti. Alcune stime prevedono nel complesso tra i 5 ed i 7mila nuovi RTDa. È un loro raddoppio: sino al 2021 in ruolo c’erano 5mila RTDa, a cui proprio negli ultimi mesi dell’anno (d’urgenza e in modo raffazzonato) si sono già aggiunti 1.500 con PNR (con una sola R). Queste sono figure totalmente precarie (36 mesi, obbligo di didattica molto variabile, inserimento negli organici docenti e nei relativi organi), con la riforma del pre-ruolo [DL 36] ad esaurimento e senza sbocchi. A questi si aggiungeranno altre figure in PRIN, PNR, centri di ricerca e fondazioni varie (assegnisti, contratti di ricerca, forme spurie di varia tipologia), usando anche le flessibilità transitorie del DL 36 (possibilità bandire assegni di ricerca sino al 31.12.22, loro rinnovo anche oltre quella data, RTDa sino al 30.6.2025). In questo quadro è utile guardare anche ai dottorati: il PNRR prevede un loro sostanziale raddoppio (8/9mila), più altri 15mila dottorati industriali (quasi quadruplicazione), cofinanziati al 50%. Sebbene siano formalmente ed effettivamente studenti in alta formazione, c’è una componente di apprendistato alla ricerca che alcune disposizioni PNRR enfatizzano (stage o tirocinio): di fatto (almeno parzialmente) rendendoli lavoratori/trici atipici (ben oltre gli abusi caratteristici dell’accademia).

Questo personale è rigidamente vincolato. Le regole PNRR e MUR per loro prevedono infatti una versione particolarmente rigida delle regole PON: ad esempio necessità concludere al 90% dei compiti assegnati, pena rimborso tutti gli stipendi; time-sheet e quindi controllo orario del lavoro; obblighi di residenza e presenza in sede; divieto di partecipare ad altri progetti e quindi sviluppare altri percorsi di carriera; tirocini e stage obbligatori in strutture e imprese, (già ci hanno segnalato abusi anche in strutture insospettabili, giuslavoristiche o collegate a organizzazioni sindacali).

3. LA MESSA A TERRA: VERTICISMI, SAN MATTEO E FONDAZIONI

Nel corso del 2022 il PNRR è uscito dalla sua fase di progettazione e si è cominciato ad implementare concretamente, a partire dalla pubblicazione dei principali bandi, individuazione dei relativi vincitori e quindi dei soggetti incaricati materialmente di procedere alla realizzazione delle relative azioni. Una fase interessante, perché da una parte ci permette di capire meglio e concretamente cosa si sta facendo, dall’altra di valutare ulteriori effetti di sistema. Non riporteremo qui un quadro dettagliato per ognuna delle azioni, limitandoci ad osservazioni su alcune misure principali.

Per le azioni della componente 1 [Istruzione] ci limitiamo infatti a notare che

  • Orientamento [1.6; 250 mln] con DM del 3.8.22 sono state definite criteri e modalità di riparto: sono corsi  di 15 ore, per almeno 2/3 in presenza, tenuti da professori, ricercatori universitari, docenti AFAM ed esperti, potranno essere coinvolti anche insegnanti.
  • Alloggi per studenti [1.7; 0,96 mld]. Sono stati definiti i DM con criteri e procedure [su investimento 467 mln di €, di cui 300 del PNRR], quindi un primo bando per 300 mln di €. A dicembre prevista avvio nuova procedura per altri 660 mln di €.
  • Borse di studio [1.7; 0,5 mld ], con DM del 17.12.21 sono state aumentate con 500 mln di € le borse di studio, con importi diversi a seconda della categoria (pendolari, fuori sede, ecc).
  • Didattica e competenze [3.4; 0,5 mld]: si prevedono 30 mln per 3 centri Teaching and Learning Centres, 150 mln per 3 Digital Education Hubs [nord, centro e sud], 160 mln per 10 Iniziative educative transnazionali con MAECI.
  • Dottorati [1.4.1; 0,43 mld e 2.3.3 e altri], con due DM del 9.4.22 sono stati impiegati 300 mln per 2.500 borse coperte da MUR, 5.000 a confinanziamento del 50% e necessità individuare imprese partner.

Per le azioni della componente 2 [Ricerca]:

  • Progetti [1.1; 1,8 mld] a febbraio e a settembre 2022 sono stati emessi ben due bandi PRIN, il primo da 749 mln (quota PNRR 500 mln) e il secondo da 420 mln di € (tutti PNRR).
  • Giovani [1.2; 0,6 mld], con DM del 11.7.22 è uscito il bando per chiamare 1.700 vincitori ERC-Starting Grant, Maire-Curie o Seal of Excellence, per ERC con posizioni di PA o Ricercatore di I fascia, per gli altri con RTDa o ricercatore terzo livello a tempo determinato.
  • Partenariati [1.3; 1,61 mld]: Le linee guida hanno individuato i temi ed è uscito il 15.3.22 un bando per i primi 14, un ulteriore bando è fatto per Attività spaziali da ASI. Soggetti proponenti possono essere solo Atenei e EPR (hub). Sono stati presentati 24 progetti, i 14 vincenti prevedono finanziamenti tra i 106 e i 135 mln di € (in genere intorno a 120) e sono [hub]: Intelligenza artificiale [CNR], Scenari energetici [Poliba], Rischi ambientali [Federico II], Scienze e tecnologie quantistiche [Camerino], Patrimonio culturale [Sapienza], Diagnostica [Palermo], Cybersecurity [Salerno], Invecchiamento [Firenze], Sostenibilità economica [Bologna], Alimentazione sostenibile [Parma], Made-in-Italy [Polimi], Neuroscienze [Genova], Malattie infettive emergenti [Pavia], TLC [Tor Vergata].
  • Centri nazionali [1.4; 1,6 mld]: Le linee guida hanno individuato i 5 temi, il bando ha definito criteri e tempi, sono state presentate (e hanno quindi vinto) 5 candidature, ognuna intorno ai 320 mln di €, tra 46 e 49 partecipanti (in genere una trentina gli atenei, una quindicina le imprese): Simulazioni, calcolo e analisi dei dati [INFN Bologna], Agritech [Federico II], Terapie Geniche [Padova], Mobilità sostenibile [Polimi], Bio-diversità [CNR Palermo].
  • Ecosistemi innovazione [1.5; 1,3 mld]: Dopo le linee guida e il bando, per i 12 ecosistemi sono state presentate 15 candidature, ne sono stati selezionati 11, ognuno intorno ai 110 mln di € (qualcuno sui 120), con un hub che ha organizzato gli atenei e i centri del territorio: innovazione e economia diffusa [Aquila; Marche-Abruzzo-Umbria], Tech4you [Unical; Calabria e Basilicata], Transizione sostenibile [Bologna; Emilia, Polimi e Cattolica], MUSA [Bicocca, atenei Milanesi], INEST [Padova, nord-est], Nodes [Polito; Piemonte, Vda, Insubria, Pavia, Cattolica]; RAISE [Genova; Genova e IIT], Tecnopolo Roma [Sapienza; Lazio], Samothrace [Catania; Sicilia], e.INS [Sassari; Sardegna e Teramo], The [Firenze; Toscana].
  • Infrastrutture [3.1; 1,58 mld]: Dopo le linee guida e il bando per il finanziamento di almeno 20 strutture di ricerca [impianti e servizi, 1,08 mld] e 10 di innovazione [integrazione con imprese, 0,5 mld]. Per le infrastrutture di ricerca sono arrivate 39 candidature, per quelle di innovazione 25, di cui 17 per nuove e 8 per ammodernamento. Sono per ora state ammessi al finanziamento 24 per infrastrutture di ricerca (invece di 20), per 0,931 mld di € (invece di 1,08 mld), per cifre variabili tra 20 e 155 mln [diverse strutture CNR e INFN; INGV, INAF, ISPRA; Dhorn, Sant’Anna e Unito]; 25 (invece di 10), per 33 mln di € (invece di 0,5 mld), tra i 4 e i 20 mln di € [5 Polimi, 4 Polito, 2 Federico II, 2 CNR, Pavia, Venezia, Brescia, Parma, Palermo, Bolzano, Siena, Trento, Torino, Sant’Anna, IIT e OGS]

Terza osservazione: soprattutto, pesano i forti

La messa a terra ha riguardato in particolare le strutture: nel 2022 sono stati infatti banditi 6,08 mld di € (praticamente 3/4 di tutto il FFO 2022), per il prossimo triennio [partenariati, centri nazionali, ecosistemi e infrastrutture]. In pratica, sono stati assegnati oltre metà di tutti i fondi PNRR MUR. Alcuni elementi saltano agli occhi: le due partite più significative (centri nazionali ed ecosistemi, 3 mld di €), pur prevedendo bandi competitivi sono stati gestiti con logiche di cartello: in un caso con un numero di candidature identico ai vincitori, nell’altro con un numero molto simile (e un’assegnazione ad un numero inferiore, 11 invece di 12). Evidente la regia tra le università e con il MUR, anche sugli ecosistemi, dove ci sono state prevalenti aggregazioni territoriali (con alcuni stranezze: gli atenei milanesi sganciati da quelli lombardi, alcuni anche in più progetti; larga parte dei lombardi non finanziati, come pugliesi e campani]. Nel bando Infrastrutture si è avuta un’assegnazione parziale e a realtà più numerose delle preventivate.

Concentrazione decisioni e verticalizzazione processi. Questo risultato è l’epifenomeno di una gestione accentrata, spesso con procedure semplificate ed eccezionali, che sta diventando la regola. Non è un caso che anche in queste settimane, vinti i bandi, in diversi atenei si stiano approvando procedure semplificate e urgenti per le assunzioni del personale (commissioni ristrette, pubblicazione bandi solo 15 giorni, riduzione tempi ricorsi, ecc), in quanto gli atenei iniziano ad esser travolti. In sostanza, i normali percorsi sono stati stravolti, a partire dal coinvolgimento nella progettazione e nelle scelte delle strutture di base dell’Università (i Dipartimenti). È stata poi sostanzialmente cancellata la dialettica tra livelli e organismi accademici, il coinvolgimento di Senato e Cda (se non per ratifiche formali all’ultimo minuto, spesso su documenti consegnati a ridosso delle sedute, talvolta incompleti e con ampi mandati attuativi). Di fatto, anche per le trattative di cartello, tutto si è concentrato nei Rettorati, coinvolgendo prorettori delegati o teams ad hoc. I singoli docenti, gruppi di ricerca, Dipartimenti e strutture sono spesso stati diretti dall’alto, con scarsi margini di autonomia e chiari indirizzi su chi coinvolgere (spesso su base politica più che scientifica e di ricerca).

Piove sempre sul bagnato: l’effetto San Matteo. Nei comunicati stampa, nei resoconti al Parlamento, alla CRUI e al CUN, nei report ministeriali si è spesso sottolineato l’ampio coinvolgimento del meridione. Un esplicito obbiettivo del PNRR e un modo per enfatizzare un suo supposto ruolo inclusivo. La realtà è diversa: nel quadro dell’università italiana (dove le divergenze tra forti e deboli negli ultimi dieci anni non è stata solo tra nord e sud, come abbiamo messo in rilievo più volte), l’assegnazione sulle strutture ha favorito i forti, e questo avverrà anche nell’assegnazione molecolare dei fondi per dottorati, giovani, singoli progetti PRIN [come sottolineato da Roars in ultimi anni]. A ricevere è soprattutto il nucleo di punta del sistema universitario italiano [politecnici MiTO, PD, Torino, Trento, Sant’Anna, Sapienza, Federico II, ecc].

Il ruolo opaco delle Fondazioni. La predominanza delle risorse nella creazione di nuove rete e strutture (oltre 6 mld di €), la supremazia in tutte le azioni di modelli Hub e Spoke, la forte curvatura di tutto il PNRR sui privati (imprese e territori): tutto questo ha spinto una particolare e non casuale forma, la Fondazione: cioè, a strutturare centri di ricerca, hub e spoke, poli e rete sono nuovi enti associativi di diritto privato, esterne al perimetro universitario e strettamente controllate dalla governance (la maggior parte di queste realtà, che si stanno costituendo in queste settimane, prevedono consigli di amministrazioni e organismi che coinvolgono solo Rettori o loro diretti delegati/e). Triplo cioè il rischio:

  • Primo: si sta creando una terza gamba nella ricerca, oltre Università e EPR, di natura privatistica (ma con risorse largamente pubbliche) dispersa e diffusa, che nasce per restare indipendentemente da PNRR. Una realtà di cui sarà sempre più difficile monitore dinamiche, condizioni e uso.
  • Secondo: queste fondazioni hanno una natura privata. Non è ancora chiaro che contratti e gestioni useranno. Le esperienze HT e IIT sono però esemplificative: vedi la lettera di 1.400 ricercatori IIT e l’importante sindacalizzazione del personale tecnico amministrativo compiuta da FLC (in una giungla di contratti e pratiche).
  • Terzo: si diffonde verticalizzazione, opacità e divisione nelle università. Mentre le strutture partecipative e rappresentative (Dipartimenti e Senato) sono aggirate, decisioni e flussi di risorse si definiscono su altri canali e circuiti. Da sottolineare che queste pratiche potrebbero coinvolgere anche personale TAB: ad esempio stante l’inevitabile mole di lavoro in alcune strutture (uffici reclutamento, uffici Ricerca, alcuni Dipartimenti) sarà possibile l’introduzione di incentivi e forme di salario accessorio, focalizzate solo su alcuni settori, con significative divisioni e gestioni dirette (su cui sarà importante sviluppare un sistema contrattuale di monitoraggio e gestione).

4. IN CONCLUSIONE

Sul sistema dell’università e della ricerca è arrivata una massa di risorse, che crea un circuito esterno e opaco (reti, hub, poli, centri ricerca su Fondazioni) e gonfia una nuova bolla di precariato, largamente senza prospettive e soggetta a norme anche più vessatorie di quelle dello scorso decennio.

Si radicalizzano le divergenze. Nonostante la distribuzione anche al meridione, la concentrazione di risorse in atenei e realtà resi forti nell’ultimo decennio prosegue e anzi si rafforza. Al termine del PNRR si rischia non solo di mantenere le sperequazioni post-Gelmini, ma di aumentarle significativamente, come di incrementare differenze e articolazioni negli Enti di ricerca nel sistema complessivo (generalizzando dinamiche innescate con fondazione IIT, Humantecnopole e Biopolo di Siena).

Quello che manca: non si vede, ma nell’università e nella ricerca i mancati interventi nel PNRR e l’assenza di risorse aggiuntive dello Stato pesano alquanto. La curvatura del PNRR su ricerca e impresa in ogni caso mantiene e anzi rilancia le fratture determinate da Gelmini, DL 49 e distribuzione premiale dei fondi:

  • l’assenza di un reale diritto allo studio: dopo il recupero di immatricolazioni nel primo anno di pandemia (330mila), lo scorso anno si è registrato un calo del 3%, che probabilmente continuerà; l’aumento del FFO con risorse solo per l’assunzione di personale rischia di squilibrare nei prossimi anni i bilanci degli atenei, spingendo a riequilibrare con una nuova tornata di aumento delle tasse
  • la distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario senza logiche perequative: nell’ultimo decennio la quota base del FFO si è ridotta dal 70% a meno del 50%, nei prossimi anni è data in ulteriore calo, crescendo quote premiali dirette e indirette: la differenza tra atenei si allarga
  • i fondi di finanziamento ordinario degli Epr insufficienti: la dotazione finanziaria complessiva ha subito tagli progressivi per più di un decennio. Nonostante dal 2016 sia iniziata una lievissima inversione di tendenza, i fondi ordinari degli Epr restano cronicamente sottodimensionati rispetto alle ordinarie attività di ricerca, la cui piena attuazione è garantita unicamente dalla partecipazione a bandi e progetti di ricerca internazionali il cui finanziamento è divenuto nel tempo parte rilevante e in alcuni casi maggioritaria dei budget complessivi gestiti dagli Enti di ricerca
  • gli squilibri del personale: nonostante l’ultima finanziaria (860 mln di € da qui a 2026 su assunzioni), il personale delle università è significativamente sotto-dimensionato, sia docente sia TAB (secondo relazione di accompagnamento ultima legge di bilancio, 45mila unità docenti e altrettanti PTA). L’estensione del sistema universitario con il PNRR avviene tutta su ricerca (NON SU ISTRUZIONE), con strutture fuori dal perimetro delle università e degli Enti di ricerca. Non c’è intervento su personale di ruolo e neanche accompagnamento o incentivi (come per esempio nel Ministero della Giustizia). Analogo il sottodimensionamento degli Epr la cui tenuta complessiva negli anni è stata principalmente il frutto delle politiche di stabilizzazione del precariato storico. Nonostante ciò, anche con gli incrementi prospettati nell’ultima legge di bilancio (100 mln di € per i soli enti vigilati Mur a decorrere dal 2025 e 60 mln di € per il riordino del Cnr) senza una chiara destinazione dei fondi che come obiettivo l’assunzione di personale di ruolo per far crescere la consistenza complessiva degli addetti alla ricerca del Paese, sarà difficile invertire la tendenza
  • gli squilibri del sistema degli enti: alla debolezza strutturale dei piani nazionali di ricerca si deve aggiungere l’assenza di un coordinamento generale delle politiche e del finanziamento degli Epr la cui vigilanza è attualmente in capo a 7 diversi dicasteri. Incredibile a questo proposito che gli investimenti per il personale contenuti nella legge di bilancio 2022 siano in via esclusiva destinati al personale degli Epr vigilati dal Mur.

Con le destre al governo, si rischia una ripresa e radicalizzazione dei percorsi di Autonomia, seguendo il cosiddetto modello Valditara, con un PNRR che accompagna il processo (divergenze tra atenei, diffusione fondazioni private, creazione di un sistema di ricerca parallelo a regime privatistico, in competizione per l’accaparramento delle risorse con quello pubblico delle università e degli enti di ricerca). Gli atenei che sono rafforzati sono soprattutto quelli di punta, a cui si rivolge proprio Valditara e la sua ipotesi di liberare lacci e lacciuoli dell’attuale sistema nazionale, con la radicalizzazione dell’autonomia (art 1 comma 2 della legge 240 del 2010), la flessibilizzazione di SSD e piani di studio, la riduzione del ruolo dell’ANVUR.

In questo quadro, sarà importante sviluppare un’azione capillare di osservazione critica sull’implementazione concreta dei progetti PNRR, monitorando la creazione dei nuovi hub, fondazioni e strutture, la loro configurazione normativa e la loro gestione concreta, i rapporti di lavoro che saranno realmente instaurati e la loro forma (come la distribuzione di risorse e compensi nel personale universitario). Un impegno a cui chiamiamo tutte le realtà sindacali, associative, di riflessione e confronto del mondo universitario. La nuova bolla di precariato che si sta gonfiando con queste risorse, inoltre, sarà inevitabilmente dispersa su molteplici strutture e renderà necessario tanto rilanciare sportelli e interventi di supporto diretto alla loro condizione, quanto sviluppare movimenti di organizzazione di queste figure a tempo determinato ed atipiche, oltre che fondamentale riprendere le rivendicazioni di allargamento degli organici di ruolo negli atenei e quindi di stabilizzazione di queste figure. In ogni caso, il peso del PNRR sul Sistema universitario e quello degli enti di ricerca (intrecciato con le diverse revisioni normative ad esso connesse) rende prioritario focalizzare l’attenzione di tutti, a partire da noi stessi, sulla salvaguardia dei Sistemi nazionali dell’università e della ricerca, che proprio oggi con queste nuove risorse rischiano di esser divaricati ulteriormente, costruendo un sistema formativo e della ricerca stratificato e gerarchico, in cui i modelli competitivi e di new public management eroderanno ulteriormente e significativamente quell’università e quella ricerca pubblica e democratica che in questi decenni abbiamo provato a difendere strenuamente.