L’idea del Consiglio universitario nazionale sul preruolo? Per eliminare il precariato, eliminare i precari
Comunicato congiunto ADI-FLC CGIL -PDS-UDU-LINK-ARTED-R29A a proposito del parere del CUN sul DDL Bernini che conferma, moltiplica e peggiora le figure del precariato.
Nella seduta di giovedì 14 novembre, il Consiglio Universitario Nazionale ha espresso a maggioranza un parere sostanzialmente favorevole al DDL A.S. 1240, la cosiddetta ‘Riforma Bernini’, avallando le degradanti soluzioni del governo sul preruolo universitario.
Il parere ha visto il voto contrario di soli quattro consiglieri: Davide Clementi (ADI), Tuscia Sonzini (FLC CGIL), Chiara Occelli (PA Area 08), Francesco Zuin (RTD Area 10) e l’astensione di due.
Solo su alcuni e limitatissimi profili il parere del CUN risulta condivisibile.
Come ripetutamente espresso dai consiglieri che hanno poi votato contro l’adozione del parere, il CUN chiede che alle nuove figure introdotte venga riconosciuto il diritto alla DIS-COLL - già garantito dagli assegni grazie alle nostre comuni rivendicazioni - e un trattamento adeguato in caso di malattia o genitorialità. Chiede inoltre l’abolizione della figura di adjunct professor, in molti aspetti sovrapponibile al già esistente docente a contratto, e la cancellazione dell’affidamento diretto delle borse di assistente alla ricerca, anche quando bandite su fondi esterni.
Tali considerazioni, però, si rivelano l’ennesima foglia di fico quando si legge il resto del parere. Dopo un breve preambolo infarcito di buone intenzioni, il CUN propone l’introduzione di un limite di nove anni, anche non consecutivi, alla durata del post-doc, indipendentemente dalle forme para-contrattuali con cui i lavoratori e le lavoratrici saranno inquadrati o, per meglio dire, umiliati. Questa prima misura potrebbe considerarsi un miglioramento, se non fosse accompagnata da una seconda disposizione, tanto peggiorativa quanto assurda: l’introduzione di un limite massimo di sei anni solari – a prescindere dai percorsi intrapresi, accademici o extraaccademici – tra il conseguimento del Dottorato e la possibilità di partecipare a procedure di selezione per il ruolo di Ricercatore a Tempo Determinato in Tenure Track (RTT). In buona sostanza, per il CUN, è lecito che un precario perda la possibilità di diventare ricercatore a sei anni e un giorno dalla fine del dottorato, nonostante lo stesso fissi a nove anni il limite complessivo del postdoc. A tale disposizione andrebbero in deroga i già titolari di assegno di ricerca o di RTDA - ovvero i precari più "datati" - per i quali il limite massimo salirebbe da sei a nove anni. Tuttavia, tale deroga è una concessione solo apparente ai precari più anziani, poiché moltissimi di loro già adesso hanno maturato ben più di nove anni di precariato, non certo per demerito ma per insufficienza di risorse che permettessero una loro stabilizzazione
Ciò si giustifica con l’istituzione di un presunto doppio binario per il reclutamento: da un lato l’RTT per pochi fortunati, dall’altro il concorso da professore associato, previo conseguimento dell’ASN e subordinato all’ipotesi, per niente scontata, che i Dipartimenti abbiano le risorse per bandire tali posizioni. Il primo rappresenta chiaramente un binario morto. È esperienza quotidiana di ricercatori e ricercatrici, infatti, che il percorso verso il ruolo contempli di norma contratti brevi intervallati da periodi più o meno lunghi di disoccupazione, di lavoro non riconosciuto né pagato o di schietto abbandono della ricerca, in favore di occupazioni che permettano di sopravvivere.
Il secondo binario, invece, è fattualmente irrealistico, soprattutto alla luce dei tagli ai Fondi di Finanziamento Ordinario, e quindi della capacità di reclutamento, a cui abbiamo assistito nel 2024. Nonostante ciò, Il CUN richiede un regime transitorio della durata di tre anni, che preveda la messa a bando di una posizione da PA per ogni tre da RTT: ma in un sistema in cui c’è scarsità di punti organico già per le sole posizioni da ricercatore come pensa il CUN che i Dipartimenti potranno assumere Associati, se non bandendo ancora meno RTT?
Il CUN avalla, in pratica, uno scellerato impianto normativo che aumenta il tasso di competizione tra i precari e legittima la selezione di chi diventerà ricercatore sulla base delle decisioni del corpo docente e in virtù della provenienza da quei centri di potere accademico cosiddetti ‘di eccellenza’. Solo chi verrà cooptato avrà le carte in regola per diventare RTT, tutti gli altri andranno a ingrossare un esercito di ricercatori di riserva; e tutto ciò accade senza che venga preso in considerazione un serio riconoscimento del titolo di dottorato fuori dal sistema universitario.
Il CUN, insomma, pur ribadendo la necessità di avere una figura unica per il post-doc, prevista come milestone PNRR e allontanata però nel corso del parere, a fronte della volontà politica di sottrarre risorse all’Università e alla ricerca e di allocarle altrove, ritiene giustificabile e, anzi, addirittura «opportuno», lo sfruttamento delle precarie e dei precari della conoscenza.
Ciò che riteniamo davvero inopportuno, invece, è che il massimo organo di rappresentanza del sistema universitario promuova una visione che costringa i tanti precari e precarie della ricerca a una lotta sanguinosa per le poche risorse, facendo loro contare i minuti che mancano alla propria data di scadenza, e ignori le voci delle molte, troppe persone che, al suo interno, il precariato lo vivono sulla propria pelle.
Avevamo già chiaro il disegno del Ministero e di Anna Maria Bernini: giustificare il taglio delle risorse rendendo più precario il lavoro di ricerca in questo Paese. Non è invece chiaro come un organo elettivo, che ambirebbe a essere realmente e democraticamente rappresentativo del sistema universitario nazionale e suo garante, quale il CUN, possa non opporsi fermamente di fronte a un progetto scellerato che porterà il mondo accademico ad essere ancora più fragile e le sue componenti più vulnerabili, sempre meno tutelate e sempre più vilipese.
Quello che non è chiaro a tutti è il perché sia stato possibile che il CUN abbia partorito un siffatto parere. Ciò succede perché quello che era l’unico organo elettivo, realmente e democraticamente rappresentativo del sistema universitario nazionale e suo garante, è ormai governato da logiche più ministeriali della Ministra stessa.
Ne è stata “prorogata” la vita a condizione che si “auto-riformi” per compiacere le linee direttive volute dall’alto.
E, al suo interno, questa dinamica ha buon gioco grazie a persone che hanno introiettato il modello competitivo mors tua - vita mea, piuttosto che quello collaborativo di un’Università Pubblica, Libera e Aperta, con una netta separazione tra reclutamento e avanzamento di carriera, e un’unica figura pre-ruolo a garanzie crescenti e tenure e Ruolo Unico della docenza.
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