L’Università nell’emergenza COVID 19
Una prima parziale fotografia di quanto accade negli atenei nella ricerca e nella didattica.
L’Università è stata tra le prime strutture, insieme alla scuola, ad esser investita dall’emergenza sanitaria in corso, a veder chiuse al pubblico le proprie sedi e a vedersi sospesa o trasferita in modalità a distanza larga parte della propria attività didattica e di ricerca.
Un’indagine CRUI a fine marzo, su 88 atenei (sui 97 complessivi nel paese) ha sottolineato come l’88% delle attività didattiche previste siano state trasferite online (con una varianza del 2,87%), mentre più di metà degli Atenei erogava più del 96% dei corsi previsti in DAD, raggiungendo così potenzialmente circa 1 milione e trecentomila studenti. Il ministro Manfredi e diversi DPCM hanno invece più volte ribadito come l’attività di ricerca prosegua normalmente.
Diversamente dal Ministero dell’Istruzione (al di là di ogni valutazione di merito sulle scelte e le indicazioni avanzate), il Ministero dell’Università e della Ricerca ha brillato però in tutto questo periodo per la sua sostanziale assenza, non offrendo particolari coperture normative o indicazioni operative nazionali anche su importanti aspetti della vita universitaria (per esempio, la realizzazione degli esami in modalità on line/a distanza). Anzi, il Ministro, in sue comunicazioni (rivolte in particolare al Presidente della CRUI e pc ai Rettori degli Atenei), ha sottolineato ed enfatizzato l’autonomia delle Università e quindi le più o meno improvvisate e diverse pratiche che da queste sono state poi attuate.
La realtà è che quindi ogni Ateneo ha affrontato da solo, e diversamente, l’emergenza. Per capire cosa è accaduto e sta accadendo concretamente, abbiamo allora realizzato una veloce ricerca, rivolta ai docenti universitari con “metodo palla di neve” a partire dai nostri contatti sindacali. Poche domande, veloci. Un quadro quindi parziale innanzitutto nelle informazioni condotte, ed ovviamente, soprattutto parziale nei soggetti raggiunti, senza alcun campionamento e nessuna pretesa di piena rappresentatività della realtà.
All’indagine hanno comunque risposto 914 soggetti, di 63 atenei diversi (59 statali, 1 pubblico non statale, 3 privati). Due in particolare i campi che sono stati indagati. Qui una sintesi del REPORT.
La situazione della ricerca nel corso dell'emergenza
Il primo dato che salta agli occhi è l’estensione del blocco o del rallentamento sulla ricerca, per come viene riportata da un’amplissima parte dei docenti e dei ricercatori che hanno risposto alla nostra indagine. Più del quarantacinque per cento dei rispondenti vede la propria attività di fatto bloccata (18%), messa in difficoltà (23%) o spostata forzatamente su altro (6%), contando che un altro 7% (solo in parte sovrapposto ad altre risposte) l’ha fermata perché direttamente coinvolto dalle conseguenze dell’emergenza (priorità a interessi familiari o personali).
Da tenere in considerazione che questi risultati ricalcano sostanzialmente quelli di una ricerca simile, portata avanti nello stesso periodo da PLOS Blog [Public Library of Science].
Interessante osservare come variano questi risultati per le aree CUN. Risultano particolarmente ostacolate le aree 03 (chimica), bloccata per il 43,3% delle risposte e con difficoltà per il 23.6%; 05 (Biologia) bloccata per il 45,2% e con difficoltà per il 22,6%; 06 (Medicina) bloccata per il 36,2%, anche se solo il 10,6% segnala difficoltà; 07 (Agraria), bloccata per il 34,3% e con difficoltà per il 31,4%.
Nel report sono presentati ulteriori dati di dettaglio sulle differenze tra aree CUN e tipologia di ricerca. Non si evidenziano invece particolari variazioni né per le dimensioni dell’Ateneo né per area geografica (con percentuali di risposta pressoché identiche).
La situazione della didattica nel corso dell'emergenza
Come è evidente anche dai dati CRUI che abbiamo prima richiamato, la larga parte del personale docente si è impegnato, con uno sforzo straordinario ed emergenziale, a trasferire l’attività didattica del secondo semestre on line (in forma sincrona o asincrona), riducendo l’interruzione dei corsi al minimo possibile.
Quasi due terzi dei rispondenti hanno scelto (al di là delle indicazioni più o meno stringenti dei propri Atenei) di trasferire on line la propria didattica. Poco più di uno su dieci non è coinvolto in attività didattica in questo semestre. Solo un piccolissimo gruppo di docenti ha scelto di non svolgere attività a distanza, ma una quota importante (circa uno su quattro) dei nostri rispondenti ha dichiarato di essere stato obbligato o fortemente pressato dalle proprie strutture.
La didattica di queste settimane nelle università italiane, cioè, più che una didattica a distanza è stata una didattica di emergenza. Diversamente dalla scuola, infatti, l’università ha oramai una lunga esperienza e consolidate metodologie per la DaD. Le stesse linee guida per l’accreditamento ANVUR, come numerosi regolamenti di Ateneo, indicano la necessità di considerare nella didattica a distanza non solo la didattica erogata (sincrona o asincrona), ma anche una didattica interattiva (faqs, mailing list, web forum, report, esercizi, webquest, test e questionari in itinere). Non a caso in diversi Atenei i relativi regolamenti prevedono anche un riconoscimento delle ore di didattica erogata in forma telematica in rapporto 2:1 (talvolta 3:1) rispetto a quella convenzionale. Un impianto affinato nel tempo e con l’esperienza, per cercare di contenere i limiti principali del semplice trasferimento on line delle lezioni. Il trasferimento di emergenza di larga parte della didattica universitaria avvenuta in questi mesi non sembra aver tenuto particolare contro di questa esperienza e queste metodologie, anche quando codificate in regolamenti e linee guida.
Una relativa impreparazione all’utilizzo della DaD. Ha ricevuto una formazione sulle modalità didattiche particolari e specifiche della DaD solo il 22,9% dei docenti (più o meno metà in passato, 11,3%, e metà in questa occasione emergenziale, l’11,6%). Solo il 17,1% ha potuto contare su un supporto di colleghi ed esperti. Mentre circa il 45,5% ha ricevuto oggi una formazione tecnica e l’8,8% l’ha ricevuta in passato. Solo un terzo, però, il 32,2%, ha a disposizione un servizio a sportello di assistenza (il resto, una volta appresa la funzionalità, si deve arrangiare se incontra problemi).
Qual è la percezione dei docenti sulla DaD? Abbiamo cercato di indagare, in particolare, la percezione dell’autodeterminazione rispetto a tre dimensioni importanti nella didattica on line (per chi l’ha effettuata): il rapporto tra ore erogate on line e ore previste per il corso in presenza; la modalità sincrona o asincrona (streaming vs registrazioni); la scelta della piattaforma utilizzata (misurata con una scala di tipo Likert a 5 punti, da 1 = per niente a 5 = completamente). Come si può vedere dai dati presentati, se la scelta della modalità sincrona/asincrona è stata abbastanza libera, un quadro più frastagliato è presente per la scelta della piattaforma e soprattutto sul rapporto tra ore previste ed effettuate (come abbiamo visto un elemento cruciale della DaD, che per oltre il 30% dei rispondenti è stata nulla o comunque molto bassa).
Infine, abbiamo cercato di indagare cosa sta succedendo con gli esami. Non hanno risposto in 10 (904 validi), li hanno già svolti in 213 (23,6%), sono programmati per 300 (33,2%), non li hanno ancora né svolti né programmati in 363 (40,2%), non intendono farli on line 28 (3,1%). Per gli oltre 500 che li hanno fatti o programmati, sono orali nel 75% dei casi, scritti a domande aperte per il 6%, a domande chiuse per il 4%, altre soluzioni per il 14% (miste, relazioni, tesine, ecc).
Abbiamo quindi cercato di capire la percezione, inevitabilmente molto parziale, sugli esami. In particolare, abbiamo indagato 3 aspetti: la libertà nella scelta della piattaforma, la libertà nella scelta della tipologia di esame, la valutazione dell’efficacia (con scale Likert a 5 punti simili alle precedenti). Se la scelta della piattaforma è stata più orientata da parte degli atenei, la scelta sulle modalità di esame è stata largamente (anche se non completamente) lasciata ai docenti. La valutazione sull’efficacia, invece, si distribuisce su una curva quasi gaussiana.
Come detto, alcuni primi dati, parziali, ma crediamo utili per contribuire ad innescare una necessaria discussione ed elaborazione collettiva, soprattutto in vista di una possibile lunga durata dell’emergenza, con fasi diverse ma in cui comunque la didattica a distanza potrebbe dover giocare un suo ruolo.