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Le norme sulla messa in quiescenza dei docenti universitari: la posizione della FLC Cgil

Inaccettabile discriminare in materia pensionistica i ricercatori universitari rispetto al resto della docenza universitaria. Favorire invece il ricambio generazionale.

22/12/2008
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Com’è noto, le recenti disposizioni sui pensionamenti dei dipendenti pubblici assegnano alle università la facoltà di concedere o meno al proprio personale la proroga del mantenimento in servizio per il biennio successivo al raggiungimento dei limiti di età e di mettere in quiescenza i dipendenti con 40 anni di contributi. Da tale ultima misura sono esclusi i magistrati e i professori universitari.

Tali disposizioni si inseriscono in un quadro normativo, già reso complesso dalla riforma Amato del 1992 e dalle successive modifiche, che determina trattamenti previdenziali differenziati (regime contributivo, retributivo e misto), ma anche dal differente stato giuridico degli operatori dell’Università.
Per ciò che riguarda l’area della docenza (professori e ricercatori), le nuove misure rischiano di rendere ancora più intricata una situazione che si presenta come una vera e propria giungla pensionistica, caratterizzata dalla stratificazione nel tempo di norme spesso incoerenti tra loro e contraddittorie. Abbiamo infatti professori che possono andare in pensione a 75 anni, altri a 72 o a 70 e ricercatori a 65 o a 67 anni; nello stesso tempo è già presente un contenzioso amministrativo innanzi ad alcuni TAR contro alcuni provvedimenti di messa in quiescenza, contenzioso che potrebbe dilatarsi oltre misura se non si trattassero i ricercatori allo stesso modo dei professori di ruolo.

Durante l’iter legislativo della cosiddetta legge Moratti, abbiamo ripetutamente denunciato il carattere strumentale dell’attribuzione solamente nominalistica del titolo di professore aggregato ai ricercatori, ribadendo per contro la nostra proposta di istituire all’interno del ruolo unico della docenza la terza fascia con eguali diritti e doveri delle altre fasce. Ora che, però, tale titolo di professore aggregato è stato attribuito, sia pure solo nominalmente, ai ricercatori, sono da contestare scelte eventuali degli Atenei che configurino un trattamento differenziato rispetto ai professori universitari di ruolo con la messa in quiescenza d’ufficio dei soli ricercatori.

Tale situazione riguarda un’area lavorativa sostanzialmente bloccata da diversi anni, in cui si registra un’età media patologicamente elevata per tutte le figure docenti (60 anni per i professori ordinari, 53 anni per i professori associati, 45 anni per i ricercatori). Questo dato emerge ancora di più nella sua gravità se si osserva che il 35% dei professori ordinari italiani ha più di 65 anni e solo il 20% ne ha meno di 55, mentre il 31% dei professori associati ha più di 60 anni e solo il 18% ha meno di 45. Per ciò che riguarda i ricercatori il 30% ha più di 55 anni e solo il 10% meno di 35.

In questo quadro è cresciuto a dismisura il precariato ed il necessario ricambio generazionale è gravemente ostacolato dalle limitazioni sul turn-over previste dalla legge 133 e dal decreto 180, in via di conversione.

In particolare, pur salvaguardando i diritti e le tutele previdenziali di quanti già operano nelle università, è opportuno favorire l’ingresso di nuove risorse umane nel circuito del lavoro universitario contribuendo a recuperare lo svantaggio della minore tutela previdenziale di tali nuove leve dovuto all’innalzamento dell’età media di ingresso.

Auspichiamo quindi che nell’ambito di un riassetto organico della docenza universitaria si preveda un unico limite d’età di collocamento a riposo per tutte le figure docenti.

Nell’immediato, con riferimento alla legislazione attualmente vigente, chiediamo alle università di adottare scelte omogenee per ricercatori e professori che perseguano i seguenti obbiettivi:

  • favorire il ricambio generazionale;

  • evitare trattamenti differenziati nelle modalità di applicazione delle attuali norme per le diverse figure del personale docente e ricercatore.

Per favorire il ricambio generazionale, in un quadro di applicazione uniforme della normativa, potrebbe eventualmente essere presa in considerazione l’ipotesi di non concedere a nessun professore (ordinario o associato) ed a nessun ricercatore la proroga del mantenimento in servizio di due anni oltre i limiti di età attualmente previsti. Ciò anche in considerazione del fatto che le Università potrebbero, sulla base degli strumenti già a disposizione, utilizzare la eventuale disponibilità dei singoli a continuare a fornire un contributo scientifico e/o a partecipare ad attività di tutorato.

Roma, 22 dicembre 2008