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Lettori/Cel: la Corte di Giustizia Europea bacchetta nuovamente l’Italia

Sentenza della Corte di giustizia europea del 18 luglio 2006 (causa C-119/04) e del 26 giugno 2001 (causa C-212/99).

27/07/2006
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La sentenza che pubblichiamo è stata depositata dalla Corte di Giustizia Europea in data 18 luglio 2006, ed è relativa ad un ricorso proposto il 04/03/2004 dalla Commissione Europea avverso la mancata esecuzione da parte dello Stato italiano di una sentenza della stessa Corte di Giustizia Europea del 26 giugno 2001 riguardante i diritti quesiti degli ex lettori .

L’inadempienza dell’Italia
Lo Stato italiano, in forza di tale sentenza del 2001, avrebbe dovuto provvedere a riconoscere il diritto alla ricostruzione di carriera degli ex lettori per quanto riguarda aumenti salariali, anzianità e versamento dei contributi fin dalla data della loro prima assunzione.
Vista la perdurante inerzia dell’Italia, la Commissione Europea, in data 30.03.2003, inviava un parere motivato nel quale concludeva “che non avendo adottato tutti i provvedimenti che l’esecuzione della citata sentenza Commissione/Italia comporta, tale Stato membro era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 39 CE” e poneva il termine di due mesi dalla notifica del parere stesso per conformarvisi.
Il Governo italiano inviava, quindi, alla Commissione tutti gli adempimenti che le Amministrazioni erano intenzionate ad adottare a breve scadenza e copia del Decreto Legge n. 2/2004, che attribuiva agli ex lettori un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data della prima assunzione.

La Commissione Europea, tuttavia, ritenendo che lo Stato Italiano fosse ancora inadempiente, proponeva ricorso, chiedendo di:
“1) accertare che la Repubblica Italiana, non avendo adottato tutti i provvedimenti di esecuzione della sentenza 26 giugno 2001, Commissione/Italia (causa C-212/99, Racc. pag. I-4923), è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 228 CE;
2) condannare la Repubblica italiana a pagare alla Commissione, sul conto «Risorse proprie della Comunità europea», una penalità di EUR 309750 per giorno di ritardo nell'adozione dei provvedimenti necessari per conformarsi alla citata sentenza Commissione/Italia, e ciò a partire dalla pronuncia della presente sentenza e sino all'esecuzione della detta sentenza Commissione/Italia].
3) condannare la Repubblica Italiana alle spese.”

Non è la prima volta che lo Stato italiano, anche in questa materia, che riguarda migliaia di lavoratori, fa orecchio da mercante e lascia prive di tutela molte situazioni giuridicamente rilevanti.
Basti ricordare, in questo caso, che l'Avvocato Generale nelle proprie conclusioni dedotte all'udienza del 26 gennaio 2006, confermando sostanzialmente le richieste della Commissione, contestava proprio il decreto legge n. 2 del 2004 nella parte in cui aveva equiparato gli ex lettori ai ricercatori confermati a tempo definito, affermando che “un lettore di lingua straniera che lavori a tempo pieno dovrebbe beneficiare di un trattamento equivalente a quello di un ricercatore confermato a tempo pieno” e ritenendo, quindi perdurante l’inadempimento.

La decisione della Corte di Giustizia europea
Alle conclusioni, particolarmente severe, dell’Avvocato Generale, segue una sentenza abbastanza mite nei confronti dello Stato italiano che, non manca, però, di affermare alcuni principi inderogabili.

La Corte di Giustizia preliminarmente, in un incipit piuttosto duro, afferma che uno Stato membro non può a giustificazione di un inadempimento di obblighi comunitari, eccepire “disposizione, prassi, situazioni del suo ordinamento giuridico interno” e cita la giurisprudenza formatasi sul tema che ha condannato detto comportamento anche di altri Stati.
Alla luce di quanto sopra, la Corte rileva come alla data di scadenza del termine per l’adempimento da parte dello Stato Italiano, solo pochissime Università avessero stipulato contratti per riconoscere i diritti quesiti dei ex lettori/cel e, pertanto, non ritenuti dalla Corte come comportamenti sufficienti ai fini della dimostrazione, da parte dello Stato italiano, della corretta esecuzione della Sentenza della Corte di Giustizia del 2001.

Con riferimento poi al Decreto Legge n. 2 del 2004, l’Italia, costituendosi in giudizio aveva dedotto che con l’adozione del predetto testo normativo era stato assicurato il quadro normativo e finanziario necessario perché ciascuna delle Università interessate fosse in grado di procedere alla ricostruzione precisa della carriera degli ex lettori.
La Corte sul punto ha affermato che il quadro normativo di detta disposizione normativa si fonda su due principi, salvo trattamenti più favorevoli:
“a) la ricostruzione della carriera degli ex lettori è effettuata prendendo come parametro di riferimento la retribuzione dei ricercatori confermati a tempo parziale;
b) tale retribuzione è riconosciuta agli ex lettori proporzionalmente al numero di ore di lavoro fornite, tenendo conto del fatto che l'impegno pieno corrisponde a 500 ore annue di insegnamento.”
Entrambi i punti, secondo la Corte, non sono da contestare in quanto, secondo le argomentazioni fornite da parte ricorrente, non possono essere ravvisati elementi di inadeguatezza tanto più che è evidente come sia possibile un trattamento più favorevole all’atto della ricostruzione della carriera di ciascun ex lettore.
Infatti, per quanto riguarda il criterio delle 500 ore, la Corte rileva come detto criterio risulti essere un “ criterio oggettivo” e punto di partenza per le future contrattazioni nelle Università.

Per quanto riguarda, infine, l'equiparazione degli ex lettori ai ricercatori confermati a tempo definito prevista dal Decreto Legge in questione, la Corte constata che “un'opzione del genere rientra nella competenza delle autorità nazionali. Non risulta dalla citata sentenza Commissione/Italia che la Repubblica italiana sia stata tenuta a identificare una categoria di lavoratori analoga agli ex lettori e ad equiparare completamente il trattamento riservato a questi ultimi a quello di cui beneficia la detta categoria”.
Pertanto, con riferimento al Decreto Legge in questione, secondo i giudici europei nessuna scorrettezza normativa può essere ravvisata, salvo poi vedere l’attuazione da parte delle singole Università italiane che sulla base dei predetti principi devono procedere alla ricostruzione della carriera dei lavoratori in questione.

Passando, infine, alla valutazione degli obiettivi raggiunti, da parte delle Università Italiane, successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 2 del 2004, la Corte constata che dalla documentazione prodotta in giudizio, emerge come il Governo italiano abbia presentato prospetti dettagliati in ordine all’attuazione dei riconoscimenti effettuati in alcune università, mentre la Commissione sembra non aver documentato propriamente le illegittimità che intende, invece, imputare allo Stato italiano.
La Corte, quindi, stante la produzione in atti, ritiene che non esistano elementi sufficienti per poter verificare che l'inadempimento da parte dello Stato Italiano persista, e, pertanto, ritiene di non poter comminare la penalità richiesta.
Tuttavia, la Corte rileva come lo Stato italiano sia stato inadempiente sino alla data di emanazione del Decreto Legge e, pertanto, stante l’inadempimento, lo condanna al pagamento delle spese processuali.

Gli effetti della sentenza
La sentenza, pur non essendo soddisfacente, ribadisce un principio fondamentale: il diritto alla ricostruzione di carriera per gli ex lettori fin dalla data della loro prima assunzione.

Tale diritto, non riguarda solo ed esclusivamente i lavoratori delle sei Università italiane coinvolte nel ricorso, ma tutti gli ex lettori come più volte affermato dalla Corte di Cassazione.

Inoltre, pur se assolutamente inadeguato, si definisce il trattamento retributivo minimo, vale a dire l’equiparazione al ricercatore confermato a tempo definito, al di sotto del quale non si può stare.
La contrattazione nazionale e la contrattazione integrativa di ateneo diventano, a questo punto, fondamentali per raggiungere la necessaria omogeneità ed il giusto trattamento economico in tutte le università italiane nonché il definitivo riconoscimento della professionalità dei lettori e dei cel di madrelingua.

La FLC proseguirà la propria azione nei confronti del Governo affinché il parametro retributivo di riferimento sia modificato e rispondente ad un tempo pieno e si arrivi all’introduzione della terza fascia della docenza, che dovrà necessariamente comprendere i lettori e i cel.
Ma l’impegno sarà rivolto, in coerenza con la campagna nazionale “ Mai più precari!” lanciata da FLC Cgil, anche sul piano del raggiungimento della stabilità lavorativa per le centinaia di collaboratori ed esperti linguistici precari, che proseguono ormai da anni ad assicurare con la loro professionalità il funzionamento delle Università italiane e vedono mortificate da troppo tempo le loro aspettative di un contratto a tempo indeterminato.

Roma, 27 luglio 2006

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