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Un sistema di valutazione da rifare. Fermiamo la VQR 2015/2019

È ora di riaprire la discussione su metodi e finalità di un sistema di valutazione della qualità della ricerca competitivo, basato su provvedimenti astrusi e contraddittori. La FLC sta valutando iniziative legali.

21/01/2020
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In poche settimane prima il MIUR e poi l’ANVUR hanno definito regole e modalità della prossima VQR (la valutazione della qualità della ricerca), varando il 29 novembre scorso il relativo Decreto Ministeriale e il conseguente Bando il 3 gennaio 2020.

In quest’ultimo decennio, dopo l’approvazione della cosiddetta Legge Gelmini, il MIUR e l’ANVUR hanno sviluppato un complicato sistema di valutazione che ha inciso sulla vita quotidiana delle università. Questa valutazione ha infatti contribuito significativamente alla progressiva divergenza tra gli atenei distribuendo su base premiale una quota crescente di risorse (nel Fondo di Finanziamento Ordinario come nei piani straordinari di reclutamento). Tutto ciò ha gravemente distorto la libera attività di ricerca, determinando sperequazioni insormontabili tra i diversi gruppi di ricerca e le differenti aree scientifiche; ha imposto una logica da publish or perish che è andata deprimendo la qualità delle pubblicazioni scientifiche a favore della quantità; ha diffuso nella comunità accademica prassi opportuniste, come recentemente evidenziato dalle discussioni sulle cosiddette autocitazioni nazionali. In ultimo, la rilevazione capillare di dati e parametri ha spostato una parte sempre più rilevante di lavoro e di impegno di docenti e uffici, in una crescente deriva burocratica.

Come FLC CGIL da tempo riteniamo necessario superare questa logica che insegue (pseudo)eccellenze e che rischia di sfibrare nel lungo periodo l’insieme dell’università italiana. Riteniamo cioè sempre più urgente sviluppare un sistema in grado di sostenere e favorire qualità della didattica, sviluppo della ricerca e diritto allo studio in tutte le sedi del Paese, assicurando nel contempo l’opportunità di perseguire la libera ricerca in tutti i diversi settori disciplinari. È quindi ora di superare la definizione e l’utilizzo di indicatori quantitativi astratti e discutibili, sia per le contraddizioni e i problemi nella loro definizione, sia per le disuguaglianze e le divergenze che determinano. È quindi necessaria una radicale rivisitazione dell’ANVUR e delle sue funzioni a favore di una valutazione che, con risorse aggiuntive, abbia come obiettivo di limitare la frammentazione del nostro sistema universitario (al contrario di quanto avviene oggi) e di sostenere il miglioramento di tutti gli atenei nell’offerta di servizi agli studenti, nella qualità dell’offerta didattica, nella produzione scientifica.

La VQR 2015-2019, sia nel Decreto Ministeriale che nel successivo bando, conferma invece la logica distorsiva e competitiva utilizzata nell’ultimo decennio. In queste settimane, diverse voci hanno messo in evidenza i limiti e le incongruenze di questi provvedimenti, anche a partire dalle stridenti contraddizioni tra decreto ministeriale e bando. Anche il CUN ha approvato un documento che, esprimendo un netto giudizio negativo sul bando VQR, ne chiede una revisione sostanziale e complessiva.

Nel confermare una valutazione basata su parametri quantitativi e finalizzata alla valutazione comparativa tra sedi, il bando finisce per reintrodurre in maniera surrettizia persino la valutazione dei singoli. Infatti, alcune limitazioni presenti nel DM sono state negate dal bando, con un ampio e sostanzialmente automatico utilizzo degli indici citazionali, con la definizione di meccanismi di controllo delle authorship rivelatrici dell’intento di stilare classifiche dei dipartimenti, con un’individuazione dei “prodotti” dei singoli ricercatori coinvolti nelle valutazioni che ne rende possibile una successiva applicazione “deformante” (secondo la definizione utilizzata dal CUN nel suo documento).

Ancora peggio, questa nuova VQR impone l’utilizzo di una classificazione in stile inglese, aggravata dalla predefinizione di fasce percentuali di “merito” in stile Brunetta. Il bando prevede infatti che la valutazione finale attribuisca a ciascuna fascia di merito almeno il 5% e non più del 25% dei prodotti, benché la valutazione dei prodotti di ricerca possa portare a risultati complessivi molto diversi, come avvenuto nella precedente VQR.

Questa nuova VQR apre all’implementazione di sistemi di valutazione competitiva anche un ambito complesso come la terza missione. In pratica viene sperimentata, a scelta dall’Ateneo, l’indicazione di casi studio per facilitare una futura operazionalizzazione degli indicatori, inserendo confusamente e ambiguamente un elenco estremamente variegato di attività (dall’imprenditorialità accademica al trasferimento tecnologico, dalla “produzione e gestione di beni artistici e culturali” alla “sperimentazione clinica e iniziative di tutela della salute”, da attività di formazione continua a attività culturali generiche).

In questo quadro vengono anche introdotte una serie di disposizioni irragionevoli, inapplicabili e confuse, moltiplicando le differenze e le contraddizioni tra le indicazioni presenti nel DM e quelle nel bando: sull’open access, obbligando a rendere accessibili anche prodotti che sono spesso soggetti a stringenti copyright non nella disponibilità degli autori proprio per i meccanismi introdotti con le derive dell’ultimo decennio; sulla selezione dei GEV, con l’indicazione di criteri nel bando molto più restrittivi che nel DM; nel controllo degli autori per la selezione dei prodotti di ricerca, anche qui, con contraddizioni tra DM e bando e con differenziazioni tra settori disciplinari estremamente discutibili.

Questa nuova VQR, qualora portata a termine, con le relative distorsioni sarà utilizzata per imprimere nuovi processi di divaricazione del sistema universitario. Oggi la percentuale delle risorse premiali supera già il 30% del FFO ed è destinata a crescere nei prossimi anni (secondo le attuali Linee generali di indirizzo per la programmazione delle università nel triennio 2019/2021). Questa crescita delle risorse distribuite competitivamente su questi criteri distorsivi si colloca quadro dell’ennesima Legge di bilancio che non garantisce le necessarie risorse all’università e la ricerca (determinando tra le altre cose le dimissioni dell’allora Ministro). Il solo Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università (FFO) negli ultimi 10 anni ha complessivamente subito tagli per oltre 5 miliardi di euro, con un taglio di risorse di oltre un miliardo di euro tenendo conto dell’inflazione (intorno al 12%, secondo l’indice CPI). Per affrontare questo decennio perduto sarebbe però necessario ben oltre un miliardo di euro: è necessario infatti recuperare studenti (oggi tornati a quasi 1.800.000, dopo una diminuzione di oltre 100.000, registrando uno dei più bassi tassi di passaggio dalla scuola superiore del continente), tornare a incrementare i dottorati (oggi ridotti dai quasi 14mila di dieci anni fa a circa 9000 lo scorso anno), recuperare la contrazione del personale di ruolo di quasi il 20% (docenti e personale tecnico amministrativo). In questo panorama, l’ulteriore contorsione prodotta da una distorta distribuzione competitiva delle risorse, rischia allora di disgregare definitivamente l’università italiana.

Come FLC CGIL crediamo allora sia proprio il caso di fermarsi e tirare il fiato. Ripensare questa logica competitiva nella valutazione e nella distribuzione delle risorse. Per questo, nel solco di tante voci dell’università e della presa di posizione del CUN, chiediamo di fermare questa valutazione VQR, ritirando il decreto ministeriale ed il bando ed avviando un percorso di ridiscussione con l’insieme della comunità universitaria. Tanto più dopo aver introdotto nella Legge di Bilancio 2020, con un’evidente forzatura e senza alcun confronto, l’istituzione di un’Agenzia Nazionale della Ricerca sotto stretta supervisione politica e che rappresenta un concreto rischio per l’autonomia, l’indipendenza e la libertà di ricerca in questo paese (sull’ANR e i suoi limiti, torneremo prossimamente). Per questo, a partire dalle palesi contraddizioni e dall’evidente contrasto tra DM e bando, come FLC CGIL stiamo valutando ogni possibile iniziativa legale per cercare di fermare l’applicazione di questo bando ed aprire conseguentemente un ulteriore spazio, anche giuridico, per una sua ridiscussione complessiva.