Il Prezzo del futuro: la ricerca tra trasparenza e declino

  • 14:00

    I lavori sono terminati. Alcuni dei relatori, purtroppo, non sono potuti intervenire. Riportiamo la sintesi dell'intervento che ci ha fatto pervenire Maurizio Franzini, uno dei relatori, appunto, assenti:"Nell’evoluzione dell’economia italiana, soprattutto dagli anni ’90 in poi, è rilevante il rallentamento della produttività del lavoro che incide negativamente nella competizione internazionale e nella determinazione del reddito pro capite.

    Questo, in concomitanza con la ripresa delle ore lavorate, dopo decenni di calo di questa variabile. Il fenomeno è legato all’evoluzione delle politiche sul mercato del lavoro, alla flessibilità e all’arretramento delle politiche per l’innovazione e la tecnologia.

    Politiche che hanno reso più conveniente per le imprese ricorrere al lavoro flessibile a basso costo, piuttosto che puntare sull’innovazione e sull’adeguamento delle proprie tecnologie. Una strategia, quindi, più inerziale e meno rischiosa.

    Un’ottica con un orizzonte temporale di riferimento sempre più corto; naturalmente quello che appar conveniente per i calcoli individuali dl singolo imprenditore non lo è per il sistema economico, soprattutto nel medio e lungo termine.

    Bisogna dire che, più di recente, questa tendenza sembra invertirsi, attribuendo maggior rilievo ad uno sviluppo caratterizzato da innovazione tecnologica e organizzativa, piuttosto che da flessibilità.

    Molti ritengono, inoltre,che bisogna puntare non solo sull’offerta di innovazione ma anche sulla domanda, cioè la capacità del sistema produttivo di assorbire le innovazioni e il capitale umano, messi a disposizione dal sistema formativo e della ricerca. Purtroppo per moltissimi laureati le mansioni non corrispondono al capitale umano accumulato.

    Bisogna spostare le coordinate di un equilibrio perverso fra domanda e offerta di capitale umano, che le recenti politiche del lavoro hanno trasformato in una vera trappola di bassa qualità offerta e domanda debole e poco qualificata.

    Il compito di fuoriuscire d questa trappola è più impegnativo di quello solo di facilitare l’incontro tra domanda e offerta: se la domanda resta debole l’incontro non potrà dare grandi risultati.

    Bisogna risollevare la domanda senza porsi obiettivi troppo ambiziosi (come le vette fissate dalla strategia di Lisbona), irraggiungibili finchè non si renderà conveniente la crescita basata sulle innovazioni piuttosto che quella basata su una malintesa flessibilità.

    Occorrerà intervenire, anche, ricordando che sono essenziali i settori nei quali si opera e le dimensioni delle imprese.

    Bisogna, quindi, costruire un amalgama fra le politiche del lavoro, politiche industriali e politiche di ricerca che accresca la redditività percepita del modello di sviluppo basato sulle innovazioni e sul capitale umano.

  • 13:30

    Siamo alla fine dei lavori. A chiudere viene chiamato Marco Valerio Broccati, Vice Segretario Generale della FLC Cgil: "Stiamo svolgendo una discussione che è profondamente confederale, nonostante la sua specificità: il suo approccio non ha niente di autorappresentativo.

    Ragionando oggi di ricerca non possiamo prescindere dai temi dell'istruzione e della formazione, in una visione sistemica. Ed questa è la ragione della nostra scelta di dare vita al nuovo sindacato della FLC.

    Rispetto a qualche anno fa abbiamo accresciuto la nostra capacità di ragionare in modo globale. Siamo partiti da un punto per noi fondamentale: spiegare a tutti che la ricerca è attraversata dall’idea dell'utilità sociale, anche in settori apparentemente lontani. Questa è l’identità forte della ricerca, che si è sempre rapportata al corpo sociale della nazione.

    La grande difficoltà economica del nostro paese è solo un aspetto di un processo generale che è caratterizzato da un parallelo processo di indebolimento e invecchiamento. Facciamo fatica a misurarci con l'ammodernamento. Questo è un dato culturale di fondo. Stiamo tirando le fila di un processo iniziato molti anni fa, con la grande industria che ormai nel nostro paese non c’è più.

    I gruppi dirigenti e industriali del nostro paese sono stati sempre in ritardo rispetto all'Europa. Il nostro paese non ha attraversato tutte le trasformazioni che hanno caratterizzato la storia degli altri paesi europei. Non c'è maturazione sociale complessiva e capacità dei gruppi dirigenti. Non siamo in una situazione irreparabile, ma da questo ci derivano una serie di problemi con i quali dobbiamo confrontarci.

    La separatezza tra mondo della ricerca e la società nel suo insieme ha prodotto conseguenze gravi: il mondo produttivo banalizza il ruolo della ricerca, e il mondo della cultura tende a chiudersi in se stesso e a diventare sempre più autoreferenziale.

    Il tema del rapporto tra ricerca e politica porta con se gli aspetti deteriori del controllo gerarchico e dello spoil system ma anche i problemi del governo della ricerca, i temi dall'autonomia, della valutazione, della programmazione dell'attività di ricerca.

    Ma soprattutto il tema di come si costruisce una filiera di governo dei progetti locali e nazionali. Il rapporto tra ricerca e politica è un rapporto di tipo sistemica riguarda la nuova domanda sociale che cresce nei confronti della ricerca, le imprese innovative (che però non possono risolvere il problema del degrado industriale del nostro paese), il come si salda il rapporto tra industrie innovative e il resto del settore industriale.

    Con la conferenza di programma della FLC CGIL vogliamo far pesare i nostri orientamenti e avere risposta dagli schieramenti politici, sollecitandoli a fare scelte chiare nei loro programmi elettorali. Perché quello della ricerca e della formazione sono settori prioritari per il paese, per lo sviluppo dei quali bisogna avere il coraggio di trovare le risorse necessarie."

  • 13:00

    Si prosegue con Massimo Sancrotti dell'Università cattolica di milano: "Intervengo riportando la mia esperienza in quella comunità che era l' Istituto Nazionale per la Fisica della Materia, che al momento del decreto Moratti comprendeva circa 3800 persone, di cui 3200 universitari.

    Il decreto accorpa l’ INFM al CNR, in una forma che, in via di principio, garantiva la salvaguardia delle prerogative e delle caratteristiche dell’istituto. Nei fatti la nostra comunità scientifica è stata espropriata delle sue prerogative ed è stata dispersa. Stiamo tentando di arrivare ad un accordo quadro con il CNR per ricostruire un tessuto connettivo della nostra comunità scientifica.

    L’INFM negli ultimi anni era riuscito a mettere in piede un meccanismo che aveva molti punti virtuosi.

    Cinque anni fa in nostro finanziamento era di 50 milioni di euro, e si garantiva 1/3 del finanziamento dai fondi esterni, grazie al fatto di essere una comunità coesa. Oggi; all’interno del CNR è di 22 milioni di euro

    Assolutamente vitale è al questione dell'autonomia degli enti di ricerca. La “riforma” governativa, degli enti prevede una riorganizzazione verticistica, in cui tutto è deciso dall’alto, e questo è inaccettabile

    L’ INFM aveva come obiettivo promuovere interazione con industria ed erano nati 10 laboratori regionali, in convenzione con il sistema industriale, che cofinanziava. Alcuni laboratori riusciranno a rientrare nel CNR, di altri non chiaro il destino.

    L’INFM era una rete, per cui era riuscito a promuovere più dell'università il rapporto con l'industria: ci siamo rapportati con grossi gruppi industriali per costruire validi filoni di ricerca

    Ora tutto rischia di naufragare all'interno di un contesto nazionale sconcertante, in cui non si hanno investimenti di capitale nella ricerca, nessuna politica di credito da parte delle banche e la nascita di imprenditoria hi teach non solo no è favorita ma è ostacolata

  • 12:30

    Questo, invece, la sintesi dell’intervento di Enrico Panini, Segretario generale della FLC Cgil: “Servirebbe dedicare un giorno dell’anno alla ricerca, perché la ricerca è un elemento forte di civiltà di un paese. Serve pertanto una terapia d’urto, non solo per non essere fuori dall’Europa, ma anche per lo sviluppo del nostro paese. Serve una dimensione Europea da proporre con determinazione a questa maggioranza, ma anche al centro sinistra che lascia ancora in secondo piano nel suo programma questi argomenti. Come sindacato non accetteremo da nessuno scarti fra intenzioni ed iniziativa concreta. Altro problema è rappresentato dai ricercatori: il reclutamento, l’esodo che riguarderà nei prossimi anni il 50% di loro. Parliamo di un esercito di precari, una vera emergenza per il nostro paese. La precarizzazione, infatti, abbassa la qualità di Enti, servizi e istituzioni. Dietro questo, inoltre, c’è la privatizzazione di ciò che oggi è pubblico. Che dire poi del rapporto fra ricerca e modifica del titolo V° della Costituzione in base al quale l’indirizzo non spetta solo allo Stato ma anche alle regioni e agli Enti Locali. I provvedimenti governativi che riguardano gli Enti di ricerca non solo non sono condivisibili nel merito, ma risultano anche illegittimi sul terreno delle competenze. E’ sotto attacco l’art. 33 della nostra Costituzione a proposito delle libertà delle persone e delle loro prerogative. Vanno pertanto riaffrontate e controllate le scelte che riguardano la ricerca. Va ripensato il rapporto fra la politica e l’autogoverno delle stesse comunità scientifiche. Esiste, inoltre, il problema della valutazione dei progetti da parte di chi controlla la spesa, che in pratica, finisce per condizionare le scelte. Occorrono fondi certi, stabili e negoziati. Essenziale poi il rapporto fra scienza, ricerca e beni fondamentali per l’umanità (acqua, aria, salute e conoscenza) in termine di democrazia, pace e sviluppo. In questo contesto assume forza un argomento che intendiamo proporre ai nostri interlocutori, in particolare al centro sinistra:la necessità, cioè, di rapportarci al resto d’Europa per numero di diplomati e laureati nel nostro paese.

  • 12:02

    Tema centrale dell’intervento di Paolo Rossi la situazione della ricerca all’interno dell’Università, per cui sarebbe necessario individuare nuove modalità di governo se si vuole raggiungere gli obiettivi prefissati dal summit di Lisbona , che orami si stanno allontanando sempre di più.

    Tra le principali questioni individuate:

    • il reclutamento dei ricercatori, che deve avvenire secondo quote annuale programmate e non in massa per consentire il fisiologico e continuo turn over

    • la presenza di meccanismi che premino la ricerca che abbia ricadute sul sistema produttivo, spezzando il meccanismo per cui si fa

    • la presenza di meccanismi di governance che orientino verso obiettivi più strategici per la società

    • una più stretta relazione tra università e territorio, che deve però essere in grado di fare proposte più strategiche

    • l’assenza di consenso sociale sull’importanza di investire in ricerca, anche a causa dei bassi livelli culturali della popolazione italiana e dei risultati del sistema scolastico

    • l’assenza di un sistema terzo di valutazione

  • 11:45

    Interviene Vito Francesco Polcaro, ricercatore INAF, che afferma che gli imprenditori di oggi non sanno cosa sia la ricerca. Occorre sviluppare una nuova imprenditoria in Italia, ed è paradossale che sia il sindacato a proporre questo. Non è che non si faccia innovazione in Italia oggi ma si fa quella di processo, cioè, si vuole abbassare il costo del lavoro e continuare produrre agli stessi livelli. Per noi, quindi, non va bene qualunque innovazione, ma solo quella “di qualità” Occorre abbandonare l’idea che esista una linearità che parte dalla ricerca di base (che oggi per il 99,9% è quella umanistica che consente ad un paese di non diventare invivibile), poi quella applicata e da qui all’innovazione fino al prodotto. Non è così e se si continua a tenere divisa l’innovazione tecnologica da quella scientifica non si arriva a nulla. I soldi ci sono ma vengono utilizzati per altro (la missione in Iraq ha costi altissimi) c’è quindi una diversa impostazione di modello di sviluppo. Se le forze del centrosinistra andranno al governo del paese, dovranno fare scelte precise sul modello di sviluppo che è quello che vogliamo e sul quale non sono possibili mediazioni.
    In sala sono presenti anche Fabrizio Dacrema, Coordinatore del Dipartimento Formazione e Ricerca della CGIL e Susanna Camusso, Segretaria generale della CGIL Lombardia, a sottolineare come per la Confederazione l’esigenza di un programma per la Conoscenza sia parte di un progetto politico e culturale inserito nella battaglia più generale a difesa dei diritti delle persone.

  • 11:15

    E’ Federico Rossi, componente del Consiglio di Amministrazione del CNR della Campania, a prendere ora la parola. Questa la sintesi del suo intervento: “Si parla di di economia della conoscenza da tanti anni, ma poco si è fatto. Oltre alle motivazioni della relazione di Saracco, va ricordato il contesto in cui, soprattutto a livello territoriale, si opera (quadro formativo, infrastrutture, sicurezza …) e che influenza massicciamente la possibilità di sviluppo. Per compiere un’inversione di tendenza occorre operare un’interazione tra politiche di ricerca, industriali, fiscali, ambientali etc., e ch3 questa venga pilotata dal sapere a tutti i livelli.

    Occorrono sedi dove prendere insieme decisioni politiche. Sedi che devono costruire e basarsi su reti di persone con competenze diverse e che abbiano capacità di produrre ricerca, di trasferire conoscenze, di formare e valutare. La Campania ha cercato di operare in questo modo a partire da un lavoro sull’offerta di ricerca, costruendo i centri di competenze che si stanno evolvendo in consorzi all’interno dei distretti, in società consortili o in altre tipologie di imprese innovative. Occorre che queste, attraverso la concertazione, costruiscano dei piani di sviluppo che vedano la ricerca in ogni settore di futuro sviluppo. Oggi le Regioni stanno iniziando questo lavoro che avrà effetti dal 2006 in poi.

  • 11:00

    Interviene adesso Mario Agostinelli, ricercatore Enea. Al centro dell’intervento la necessità di ripensare il rapporto tra produzione, ricerca e politica per cui, di fronte a nuove domande e bisogni espressi dai cittadini e dal territorio, le amministrazioni regionali e locali devono assumere il ruolo dei committenti nei riguardi della ricerca.

    L’esempio portato è la riconversione dei 2milioni di mq dell’area industriale di Arese su cui gravitano infrastrutture e professionalità. Sono stati infatti i lavoratori e il sindacato a porre il problema di ripensare la mobilità come diritto che va riorganizzato e che non può più essere soddisfatto nel territorio lombardo con l’uso individuale dell’automobili. E la ricerca fatta da un gruppo interdisciplinare di ricercatori, elaborato insieme con amministratori e lavoratori, non solo apre il campo a nuove proposte sulla mobilità ma anche alla creazione di nuovi posti di lavoro.

    Importante in questo quadro il ruolo della Confederazione che deve essere in grado di sostenere i nuovi bisogni di cittadinanza ed essere un interlocutore credibile delle amministrazioni locali.

  • 10:20

    La relazione introduttiva è affidata a Paolo Saracco della segreteria nazionale della FLC Cgil che indica illustra la collocazione dell’iniziativa di oggi nell’ambito della costruzione del Programma per Conoscenza. Il contesto in cui si colloca la nostra iniziativa vede in Italia la completa assenza di una politica di ricerca ed innovazione a medio e lungo termine e la mancanza di condivisione sul ruolo strategico della ricerca da parte dell’opinione pubblica.

    Le nostre proposte partono necessariamente dall’urgenza di superare questa situazione individuando linee di sistema su investimenti e politiche.

    Sugli investimenti la linea deve essere quella della sussidiarietà tra l’Europa che compia scelte di macroprogrammazione e l’Italia che garantisca il dimensionamento e la qualità del sistema, per avere le gambe per partecipare allo spazio europeo della ricerca. Il nostro paese deve, inoltre, scegliere settori specifici di interesse nazionale in cui investire autonomamente. Sulle politiche occorre collegare interventi di sviluppo industriali, con incentivi mirati in un quadro di programmazione negoziale nel territorio. Quindi, leggi regionali sulla ricerca e l’innovazione, avendo il coraggio di scegliere settori, modalità ed interventi più promettenti. L’accordo al tavolo Regioni, Organizzazioni sindacali e Confindustria sarà il primo strumento a questo riguardo. Occorrono,però, anche nuovi ricercatori, tanti, un chiaro segnale di aumenti di risorse nell’investimento nella ricerca pubblica (almeno lo 0.1% all’anno), una formazione anche dei nostri quadri sindacali e, infine, strumenti di valutazione terza che aiuti a scegliere e discrimini gli interventi “utili”.

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  • 10:00

    I lavori vengono aperti da Antonio Verona della FLC Cgil della Lombardia che idealmente dedica questo seminario a Natale Cappellaro un operaio della Olivetti degli anni ’50 che subì una sospensione dal lavoro perché scoperto a lavorare con materiali dell’azienda per fini personali. Il presidente della Olivetti volendo capire tale comportamento lo convocò e scoprì che l’operaio non concordava con la linea e le strategie dell’azienda e voleva tentare di mettere insieme un suo progetto e presentarlo al suo datore di lavoro. Ebbe la possibilità e i mezzi per portare avanti il suo progetto che portò all’invenzione della “Divisumma 24” una calcolatrice che segnò il destino della Olivetti ed il suo, che divenne direttore generale. Questo riferimento è stato utilizzato per sottolineare come allora lo sviluppo delle idee non fosse considerato un costo ma un valore da promuovere e preservare.

    Gradualmente, negli anni successivi, “il costo del lavoro” prende il posto, di quei valori e diventa freno per la ricerca e l’innovazione. Le risorse sia pubbliche che private sono in costante e forte declino e ci allontanano sempre più dagli obiettivi di Lisbona mettendo l’Italia fuori dall’Europa della ricerca.

    In Lombardia il finanziamento per la ricerca è stato ridotto di un terzo negli ultimi dieci anni e anche i ricercatori sono diminuiti di 8000 unità dal 1996; sempre più giovani lasciano la regione e a volte il Paese. Persone come Cappellari sono molte in Italia e sono tante nelle industrie, nelle università nelle scuole e nei centri di ricerca. A loro si devono rivolgere le nostre proposte, uno spazio di rappresentanza degli interessi e la nostra azione sindacale.