10.00.00
Un'analisi impietosa dello stato della scuola secondaria a 3 anni dal riordino voluto dall'ex ministro Gelmini. Una specie di disastro annunciato, vista la sciatteria e l'improvvisazione con la quale quella che l'allora governo definiva una "riforma epocale" è stata costruita e introdotta.
Per questo oggi la FLC CGIL sta cercando parole nuove per rilanciare un pezzo di scuola che ha tanto bisogno di vere riforme per offrire, a sua volta, al paese e ai suoi cittadini livelli di istruzione e formazione alti e rispondenti alle sfide mondiali.
Di tutto questo si è discusso al Convegno nazionale che si è svolto a Roma il 29 e 30 maggio 2012 dal titolo "Parole nuove per la scuola secondaria di secondo grado".
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Registrazioni video del convegno
Documento FLC CGIL sulla scuola secondaria di secondo grado
10.30
"È difficile affrontare problemi vecchi con parole nuove - ha detto Antonio Bettoni, presidente di Proteo Fare Sapere, aprendo i lavori del convegno - ma ne abbiamo bisogno se vogliamo costruire qualcosa di diverso".
E per costruire una scuola secondaria rinnovata la FLC ha preparato una proposta di sistema attraverso un lavoro certosino di focus group molto partecipati, illustrata brillantemente da Gianna Fracassi della segreteria nazionale FLC CGIL.
Ai focus group, ha spiegato, non hanno partecipato solo dirigenti sindacali, ma erano aperti al contributo di "esterni", di chi nella scuola vive e lavora.
"Le parole che abbiamo trovato non sono tutte nuove, anche se lo sono diventate", ha detto Fracassi, perché si sono contrapposte a quelle distruttrici degli ultimi anni. La segretaria della FLC ha spiegato che la riforma Gelmini non funziona anche perché è stata solo funzionale al taglio di 8 miliardi deciso già con legge 133/2008. "Le stesse linee guida del riordino che sono condivisibili in tanti punti si scontrano con la realtà che vivono le scuole". E ha ricordato che il riordino manca ancora di norme attuative, è stato introdotto con atti transitori, non ha risolto questioni fondamentali come la necessaria revisione delle classi di concorso. In mezzo a una gran confusione normativa la scuola e il suo personale sono stati abbandonati a se stessi. Le parole nuove della FLC configurano un modello di scuola completamente diverso: un percorso unitario di istruzione da 3 a 18 anni, dunque in una logica inclusiva, che significa da subito togliere l'assolvimento dell'obbligo nell'apprendistato, evitando scelte troppo precoci; finanziare il sistema scolastico anche su obiettivi di qualità; rafforzare gli organici soprattutto nel biennio e abbassare il numero di alunni per classe; rafforzare l'autonomia scolastica, dando rappresentanza alle reti di scuola; investire sugli edifici scolastici, molti dei quali non sono a norma, ma anche sul riequipaggiamento delle scuole. E soprattutto mettere al centro di qualunque riforma o riordino gli insegnanti e chi lavora nella scuola.
Leggi la relazione introduttiva
11.30
Gli interventi che hanno seguito la relazione introduttiva di Gianna Fracassi hanno approfondito le diverse tematiche che appartengono alla scuola superiore.
Luisa Limone, docente, si è soffermata in particolare su una didattica di qualità che faccia della scuola una comunità accogliente in cui si apprende, il cui scopo è quello di formare cittadini consapevoli. Il capitale sociale che viene affidato alla scuola è fatto di saperi, conoscenze, competenze, per questo i ragazzi vanno accompagnati da un ciclo all'altro da docenti che lavorano in equipe, cooperano con metodologie trasversali, sanno aprirsi a momenti interdisciplinari. |
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Enrico La Sala, docente, si è soffermato sulla verticalità dei curricoli e dei percorsi e della pluralità di indirizzi da offrire ai ragazzi in un impianto ottimale di scuola con un biennio orientativo e un triennio articolato su diversi curricoli. | |
Dei licei ha parlato Giulietta Ottaviano, docente. Dopo il riordino Gelmini, ha detto, non c'è stata nessuna innovazione né nuovi saperi: è rimasto il liceo gentiliano con la sua impronta classista. Ha denunciato, oltre ai tagli, la riduzione del tempo scuola e la fine di tutte le sperimentazioni. |
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Dello stato delle scuole d'arte ha parlato Alessandro Ruggeri, docente. Con il passaggio ai licei artistici e l'accorpamento insensato di diversi indirizzi, c'è il rischio che si perda il saper fare di queste scuole che hanno prodotto restauratori, orafi, ceramisti, fornendo artigiani competenti alla stessa industria. Ora c'è solo tanta confusione. |
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Non stanno meglio i licei musicali e coreutici, di cui Gigi Caramia, Centro nazionale FLC CGIL, ha segnalato i (contr)appunti, che a differenza che in musica in questo caso provocano rumore e dissonanze. La costituzione di questi licei è stata un'operazione mediatica, come per i licei sportivi, su cui però ci sono grandi aspettative da parte dei ragazzi. Purtroppo questi licei formano solo musicisti esecutori, mentre le professioni in questo campo sono tantissime. |
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Tra le parole nuove c'è la didattica laboratoriale, di cui ha parlato il dirigente scolastico Aldo Tropea, spiegando che il modello curricolare e l'organizzazione didattica non sono corpi separati. Tropea mette al centro dell'apprendimento lo studente che deve essere motivato a imparare e per essere motivato è importante che il docente trovi sempre un aggancio con la realtà. Imparare significa saper fare una cosa che prima non si era in grado di fare, significa partire dai problemi e trovare i saperi necessari a risolverli. Per questo la didattica laboratoriale ha bisogno di un'organizzazione e di orari flessibili, di classi aperte, di collaborazione tra insegnanti e discipline, di una nuova collegialità, di figure di coordinamento. Anche per questo serve una riorganizzazione delle classi di concorso che siano rispondenti alla flessibilità dell'offerta formativa. |
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Dello stato dei tecnici e professionali ha parlato la dirigente scolastica Pina Buonaiuto. Anche qui è impossibile mettere in pratica le stesse linee guida: come si sviluppa una didattica laboratoriale, vitale in questi ordini di scuola, senza risorse e meno ore? Per non parlare della questione irrisolta delle classi di concorso che anche qui pesa sulla qualità dell'offerta formativa. |
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Giovanni Lo Cicero, Centro nazionale FLC CGIL, ha parlato di formazione professionale, di un sistema di life long learning integrato con la scuola, con il territorio e con l'impresa. Anche così si guarda all'Europa e si fa un servizio al paese. |
Nel corso di questa prima intensa giornata sono intervenuti anche Mariano De Palma dell'Unione degli studenti e Vanessa Pallucchi di Legambiente che hanno arricchito di contenuti la discussione. È intervenuto anche il direttore generale dell'istruzione tecnica e professionale, Raimondo Murano, dichiarandosi disponibile all'ascolto e al confronto soprattutto sui percorsi tecnici e professionale che riguardano il 50% circa dei nostri alunni. |
16.30
Tavola rotonda
Il programma del convegno prevedeva lo svolgimento di due distinte tavole rotonde. Le forti scosse di terremoto che si sono verificate nella mattinata in Emilia Romagna e le conseguenti situazioni di emergenza, hanno impedito ad alcuni degli invitati di raggiungere la sede del convegno. Si è quindi tenuta un'unica tavola rotonda dal titolo "La governance della scuola e i rapporti con l'impresa e il mercato del lavoro".
A coordinarla Fabrizio Dacrema, Dipartimento formazione e ricerca CGIL e Annamaria Santoro, Segretaria nazionale FLC CGIL.
Hanno partecipato Alba Sasso, Assessore istruzione Regione Puglia, David Balena, Assessorato all'istruzione della Regione Piemonte, Sara Pavesi, Responsabile Education Confindustria Bergamo, Maurizio Marcelli, Centro nazionale FIOM CGIL, Domenico Pantaleo, Segretario generale FLC CGIL.
Dopo una breve ma completa introduzione di Dacrema, la parola passa a Sara Pavesi, responsabile Education Confindustria Bergamo. In premessa afferma che gli stimoli emersi dalla discussione sono tantissimi. Riporta l'esperienza del territorio di Bergamo, a forte vocazione manifatturiera, con forte bisogno di istruzione tecnica. Più in generale, in Lombardia è difficile addirittura reperire ingegneri, tanto che prende piede l'idea di far fare loro un apprendistato, in Alta Formazione, durante l'ultimo anno di laurea, per farli andare a lavorare nelle valli lombarde.
Pavesi riporta poi l'esperienza, spesso informale, dei CTS, comitati tecnico-scientifici caratterizzati dalla forte collaborazione tra scuole e aziende del territorio; le aziende mettono a disposizione i loro laboratori, anche per evitare alle scuole costosi investimenti, realizzando così sensati percorsi di alternanza scuola-lavoro (si sta anche cercando di costruire un manuale sulla sicurezza, in collaborazione con gli Uffici Scolastici Territoriali, per impostare l'alternanza in modo sicuro).
I CTS sono attivi nel settore dell'energia, ma anche del tessile, settore con enormi potenzialità nei confronti del quale bisogna rimotivare docenti, alunni e genitori.
L'obiettivo di Confindustria, ha proseguito Pavesi, è quello di creare cultura d'impresa; per fare ciò si entra nelle scuole, soprattutto medie, per spiegare ai ragazzi quali sono le aziende del territorio e cosa vuol dire, oggi, essere "maestri" del tessile.
Nel campo delle metodologie didattiche, l'alternanza è un forte strumento, ci si mette in gioco in percorsi di apprendimento e anche per le aziende questo è positivo; l'alternanza scuola-lavoro è la vera didattica laboratoriale. Lo stesso concetto di competenza è molto caro alle aziende, che ne vedono quotidianamente l'applicazione.
Maurizio Marcelli, Centro nazionale FIOM CGIL, non contesta apertamente quanto detto dalla sig.ra Pavesi per Confindustria, poiché in giro per l'Italia vi sono effettivamente esperienze positive, ma la sua idea è quella di rovesciare l'assunto secondo cui la scuola è inadeguata rispetto alle esigenze delle imprese, poiché è il mondo dell'impresa che non riesce ad incrociarsi con quello della Scuola.
Marcelli cita alcuni dati: in Italia il 45% della forza lavoro è inquadrato in livelli bassi, percentuale che nel settore metalmeccanico e dei servizi diventa del 65%, mentre in Germania è del 19% e la media nell'Europa a 27 è del 28%. Nell'Italia della crisi tutto ciò sta ulteriormente peggiorando, perché non si danno opportunità ai giovani con alta scolarità. Entro il 2012 l'Italia avrebbe dovuto portare il tasso di universitari al 40%, ma siamo ben distanti da ciò.
In veste di responsabile della FIOM, analizzando i piani formativi sottoposti ai fondi interprofessionali, a Fondimpresa, osserva che quei piani riguardano lavoratori dal 5^ livello ai quadri, mentre gli operai non vengono mai coinvolti nel miglioramento delle loro competenze.
Vent'anni fa il più grande insediamento del Sud Italia fu lo stabilimento FIAT di Melfi; furono assunti 6.000 lavoratori, tutti con massimo la terza media (e se in possesso del diploma, non lo dichiararono mai all'azienda). Oggi entrano in azienda nuovi metodi di organizzazione del lavoro, il lavoratore assiste ad un depauperamento delle proprie competenze, non può più ingegnarsi per risolvere problemi. Incrementati i tempi di lavoro, ridotte le pause, ridotte le competenze.
Bisogna agire sul versante delle imprese: che modello industriale vogliamo? e che competenze vogliamo? Si chiede Marcelli. Il sindacato europeo dell'industria porta avanti da tre anni un tavolo con Cemit, interfaccia europea di Confindustria; nell'Europa dei 27 solo due paesi non hanno il libretto delle competenze acquisite: Italia e Cipro. In Italia questo avviene perché Confindustria non vuole riconoscere le competenze in ingresso, per non far venir meno la propria libertà nel decidere del rapporto di lavoro.
Il ministro Damiano, durante il governo Prodi, tentò di mettere mano al sistema nazionale delle qualifiche professionali; insieme all'ISFOL si individuarono, per es., 24 aree economiche e 37 aree professionali nel settore metalmeccanico. Questo lavoro il governo Berlusconi lo ha bloccato e il governo tecnico non lo ha ripreso, anche se non c'è un problema di costi, poiché a portarlo avanti ci sarebbero l'ISFOL e i sindacati.
Il quadro odierno è pesante: chi è dentro il mondo del lavoro è a rischio precarizzazione e perdita del lavoro; chi ancora deve entrare ha meno possibilità di accesso quanto più é ricco di competenze. Le imprese non sanno valorizzare le competenze trasversali, le capacità analitiche e critiche.
Marcelli auspica l'apertura di una nuova stagione in cui davvero si possano affermare PAROLE NUOVE, per mettersi quanto meno al passo con l'Europa, e conclude con un pensiero alla categoria dei metalmeccanici che sta pagando un prezzo altissimo all'odierna catastrofe del terremoto, e questo perché i capannoni delle fabbriche sono tutti prefabbricati.
Alba Sasso, assessore all'istruzione e alla formazione della Regione Puglia, ha risposto ad una domanda di Anna Maria Santoro sui percorsi formativi di ragazzi in obbligo scolastico da assolvere nell'impresa. Dopo un anno, nonostante il sistema nazionale, si assiste a una disarticolazione territoriale.
C'è bisogno - afferma l'assessore - di un governo sia delle politiche per l'istruzione sia delle politiche per il lavoro. In Puglia hanno costituito una cabina di regia con le parti sociali per intervenire con indicazioni anche nei distretti produttivi. L'esperienza è stata positiva, visto che il 58% dei ragazzi, finito il percorso, ha trovato lavoro.
Hanno cercato, attraverso banche dati di diplomati e laureati, di far incontrare la domanda delle imprese con l'offerta di lavoro. Anche se la scarsa innovazione delle imprese è un problema.
I percorsi triennali di qualifica (le 22 qualifiche previste dal ministero del lavoro e dal Fse) sono affidati alle scuole e agli enti di formazione. Le qualifiche proposte rispecchiano i bisogni del territorio (non vengono offerte, quindi in base alle competenze degli enti), quindi riguardano in particolare il mare, l'agricoltura ecc.
Spesso è difficile integrare i fondi regionali con quelli del ministero del lavoro. Si sta lavorando ad una proposta di legge per "normare" l'integrazione di sistema.
Per garantire l'assolvimento dell'obbligo a scuola o nella formazione, i progetti contro la dispersione scolastica partono dalla scuola elementare: intervenire per tempo sui dislivelli di partenza mette i ragazzi su un piano di parità per potere scegliere liberamente dopo la terza media.
Rispondendo a una domanda sull'assenza di accordo tra Stato e regioni a proposito delle competenze richieste ai docenti impegnati nei percorsi integrati, Sasso ha messo il dito sull'incompiutezza della riforma del titolo V che dà alle regioni compiti, ma non risorse. Restano problematici e poco chiari diversi punti, come la gestione dei docenti. Ha auspicato un maggior rapporto tra sistema nazionale e sistema regionale per evitare che si creino 21 sistemi formativi i cui titoli non siano poi spendibili a livello nazionale.
In Puglia la legge per l'accreditamento degli enti di formazione prevede che a insegnare nei corsi, a seconda delle qualifiche, sia personale laureato e diplomato. Per i percorsi non curricolari possono accreditarsi anche le scuole.
In premessa del suo intervento David Balena, Assessorato istruzione Regione Piemonte, ha precisato che nella Regione Piemonte Istruzione e Formazione professionale sono affidati a due assessorati differenti.
In attesa della completa attuazione del decentramento nel campo dell'istruzione secondo le modalità previste dal Titolo V della Costituzione, l'azione della Regione Piemonte, in riferimento all'Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), si è sviluppata lungo le seguenti direttrici:
- sussidiarietà integrativa per gli istituti professionali statali attraverso l'utilizzo delle quote di autonomia e degli spazi di flessibilità previsti dalla vigente normativa;
- equiparazione tra i percorsi IeFP erogati dagli istituti professionali statali e quelli erogati dagli enti di formazione professionale;
- rafforzamento dell'area di indirizzo nei primi due anni dei percorsi IeFP
- 200 ore di stage nel II e III anno
- continuità
- sistema regionale di accreditamento
- coerenza con la programmazione dell'offerta formativa scolastica regionale.
Ha poi sottolineato come siano molto forti le differenze e le diffidenze tra istituti professionali ed enti di formazione professionale.
Alla luce del livello dell'IeFP nella regione Piemonte, il dott. Balena ritiene che non vi sia alcun bisogno di una governance nazionale di questo settore, essendo sufficienti gli accordi e le intese sottoscritte in sede di Conferenza Stato-Regioni e Conferenza Unificata.
Invece, riguardo ai livelli di qualificazione della docenza, tenuto conto che al termine dei percorsi IeFP si acquisiscono titoli di studio aventi valore legale, il dott. Balena ritiene indispensabile la loro definizione in un accordo nazionale in sede di Conferenza Stato Regioni, questo anche per evitare favoritismi e derive clientelari
Infine, riguardo all'applicazione del titolo V della Costituzione nel campo dell'istruzione, auspica un pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nella predisposizione degli atti dispositivi da approvare in sede di Conferenza Stato Regioni. In ogni caso denuncia una generale mancanza di "cultura del decentramento" in chi ha ruoli istituzionali di primo piano nel nostro Paese.
"Che cosa può fare il sindacato dal punto di vista contrattuale?" è la domanda che Dacrema rivolge a Marcelli.
Riprendendo l'intervento di Balena, Marcelli dice di non avere dubbi sulle prerogative delle Regioni in tema di formazione, ma in questo settore sarebbe bene avere una visione unitaria, altrimenti si rischia di perdere delle opportunità. Sull'apprendistato, per esempio, siccome non si è riusciti né tra i sindacati né tra i partiti ad avere un'idea comune, siamo arrivati al punto che la formazione la fanno le imprese; tutti hanno diritto a costruire il proprio modello formativo, pure le aziende, ma se alla fine quello applicato è esclusivamente aziendale si sfocia nel patologico.
Sul tema dei contratti Marcelli si chiede se i metalmeccanici avranno più un contratto nazionale, poiché il contratto è stato smontato e sarà difficile riconquistarlo; vengono meno le possibilità di riunificare le condizioni dei lavoratori, perché c'è una grande debolezza del sindacato sul versante formativo, all'interno delle imprese metalmeccaniche. Oggi non si interviene più sull'organizzazione del lavoro.
Le 150 ore di diritto allo studio, all'interno del contratto dei metalmeccanici, determinarono la possibilità per i lavoratori di essere più forti, di stare nell'impresa in forma nuova e competitiva, che arricchiva l'impresa stessa. Oggi - chiede Marcelli - che obiettivo dobbiamo avere nelle imprese? Forse ricostituire un sistema di regole, perché l'orologio della storia sta tornando all'Inghilterra del pre-industria, al rapporto individuale tra lavoratore e datore di lavoro.
Oggi tutti gli enti di formazione lavorano "su catalogo", non vi è la capacità di individuare un vero fabbisogno formativo e di attrezzarsi per soddisfarlo. É sicuramente necessaria una cabina di regia sulla formazione, così come è necessario riconquistare il contratto nazionale e la FIOM ci mette su questo tutto l'impegno possibile. Conclude auspicando che iniziative utili come questa odierna possano essere sempre più frequenti.
Concludendo la prima intensa giornata del convegno, Domenico Pantaleo ha detto che non solo la scuola, ma l'Italia ha bisogno di "parole nuove", perché le vecchie (come "mercato", la prevalenza dell'economia sui diritti e sulla cittadinanza, il federalismo inteso come separazione...) ci hanno portato in condizione di crisi gravissima. Dobbiamo liberarci dall'ideologia del laissez faire che prometteva sviluppo e ricchezza per tutti e invece...
Tra le parole nuove, almeno nel campo dell'istruzione e della formazione, c'è programmazione dei sistemi che significa avere degli obiettivi da raggiungere attraverso una collaborazione leale tra tutti gli attori e le istituzioni implicate (stato, regioni, enti locali, scuole autonome), da implementare anche con politiche industriali che sostengano l'innovazione. Un'impresa moderna è più competitiva, stimola la ricerca, chiede manodopera più qualificata. Oggi, nonostante l'Italia abbia il più basso numero di laureati dell'Ocse, il nostro sistema di impresa non riesce a dar loro uno sbocco. Figuriamoci se avessimo rispettato gli obiettivi di Lisbona.
Un'altra parola nuova è la trasversalità politica. Gli obiettivi che ci impone Europa 2020 hanno bisogno di un sistema nazionale: non è più sostenibile - ha sottolineato Pantaleo - l'attuale scollegamento tra scuola, formazione professionale, università, ricerca. Tra la formazione e il mondo produttivo. Come non è più sostenibile la frantumazione delle competenze tra varie istituzioni. La riforma del titolo V è avvenuta 10 anni fa e ora gli scenari sono cambiati. I tagli drastici non hanno certo favorito un dialogo virtuoso. Il decentramento aveva bisogno di risorse, invece è stato solo un trasferimento di problemi dallo Stato alle Regioni. Si deve invece coniugare il sistema nazionale con un forte decentramento, avendo chiari gli obiettivi strategici, primo fra tutti alzare il livello scolastico e formativo della popolazione. Si è parlato di federalismo, ma si è accentuato il centralismo.
La stessa riforma della scuola superiore si basa su regolamenti decisi centralmente, senza confronto con le regioni ed è stato creato un sistema acefalo. Si è intervenuti su pezzi senza alcun riguardo al contesto. E così si è gerarchizzata la scuola con licei di serie a, istituti tecnici di serie b, professionali di serie c e in fondo la formazione professionale. Gli istituti tecnici sono stati fondamentali per l'impresa tayloristica, ma oggi quella organizzazione produttiva non c'è più, bisogna allora ripensare alle competenze utili al sistema.
Va ricostruito il rapporto stato-regioni-scuola, definendo i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), che non possono essere considerati dei minimi, ma dei fondamentali. E anche l'autonomia scolastica va rilanciata, sapendo che senza risorse è "un'araba fenice".
Riassumendo le proposte della FLC CGIL, Pantaleo ha ricordato che proprio per superare la frammentazione e la gerarchizzazione del sistema scolastico va pensato un percorso unitario 3-18 anni, rendendolo obbligatorio. In questa prospettiva la formazione professionale smetterebbe di essere il rifugio di chi non ce la fa o viene espulso e offrirebbe qualifiche spendibili non solo sul territorio nazionale ma in Europa. In un rinnovato sistema di istruzione è fondamentale la governance, che va improntata alla più ampia partecipazione e rappresentanza. Le stesse scuole autonome e reti di scuole devono avere una loro rappresentanza, per essere interlocutori più forti e rendere più forte la loro offerta formativa. Altrimenti la scuola rischia di essere il "vaso di coccio" tra Stato e Regioni.