Convegno nazionale “La dirigenza scolastica tra legge e contratto” - Prima giornata

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    Il 21 novembre 2019 si è aperto a Firenze il convegno nazionale annuale dei dirigenti scolastici della FLC CGIL organizzato in collaborazione con l’Associazione professionale Proteo Fare Sapere.
    Anche il tema di quest’anno è stato particolarmente stimolante “La dirigenza scolastica tra legge e contratto”. Un tema di attualità soprattutto dopo la sottoscrizione del CCNL dell’8 luglio 2019 e in considerazione delle incursioni legislative e dei tentativi di definire compiti e adempimenti delle scuole e dei dirigenti scolastici limitando l’autonomia scolastica, dell’applicazione alle scuole di norme pensate per la pubblica amministrazione, della responsabilità dei dirigenti scolastici per la sicurezza degli edifici scolastici.

    Programma dei lavori

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    Prima sessione

    I lavori della mattinata sono stati presieduti da Doriano Bizzarri, Presidente di Proteo Toscana che, nel portare i saluti di Proteo nazionale, ha illustrato le finalità dell’associazione Proteo Fare Sapere e le attività che essa svolge in tutto il territorio italiano: formazione, ricerca di una nuova pedagogia, in grado di finalizzare l’intero sistema di educazione, istruzione e formazione alla crescita di una cittadinanza attiva, critica, consapevole, attenta anche ai problemi del mondo che ci circonda. Punto cardine è l’autonomia scolastica nelle sue, fin qui, inespresse potenzialità di sperimentazione, di ricerca, di rapporto positivo e costruttivo col territorio. A tal fine occorre contrastare la tendenza in atto a regionalizzare il sistema scolastico senza neppure aver prima definito i livelli essenziali delle prestazioni.

    Ha preso quindi la parola Antonino Titone che, nella sua funzione di organizzatore del Convegno, ha esposto le idee guida sulle quali è stata costruita la due giorni di Firenze, illustrandone le ragioni, i temi ed il programma.
    Titone ha voluto evidenziare che l’alto numero di partecipanti al Convegno conferma che il tema è centrato e riscontra l’interesse dei dirigenti scolastici. Saranno messi sotto i riflettori: i compiti che l’amministrazione centrale e periferica ha scaricato sulle scuole, dai rapporti con gli Enti Locali alle richieste delle famiglie; la debolezza dell’autonomia scolastica di fronte alle spinte sempre più forti di alcune Regioni verso le autonomie differenziate; l’applicazione alle scuole di norme pensate per la pubblica amministrazione senza i necessari adattamenti per la specificità delle scuole; la responsabilità dei dirigenti scolastici per la sicurezza degli edifici scolastici; il ruolo della scuola sempre più inclusiva.
    Ha illustrato il programma dei due giorni: terranno compagnia e stimoleranno le riflessioni dei partecipanti al Convegno esperti di vari settori e di varia provenienza. Dopo la relazione di Roberta Fanfarillo responsabile nazionale dei Dirigenti scolastici FLC CGIL, Mario Ricciardi, docente di diritto del lavoro dell’Università di Bologna, illustrerà il rapporto tra la dirigenza scolastica e l’autonomia differenziata; Anna Maria Santoro, responsabile del Dipartimento contrattazione della FLC CGIL, tratterà il rapporto tra il Dirigente scolastico e l’Amministrazione scolastica. Il pomeriggio si aprirà con l’intervento di Pierluigi Mastrogiuseppe, Direttore Studi, Risorse e Servizi dell’ARAN che approfondirà gli aspetti più importanti della dirigenza scolastica contenuti nel CCNL dell’8 luglio 2019; seguirà Anna Armone, esperta di diritto amministrativo, sull’applicazione alle scuole delle leggi pensate per la pubblica amministrazione; concluderà i lavori pomeridiani l’intervento di Gianni Carlini che illustrerà le proposte in campo per il reclutamento dei futuri dirigenti scolastici. Nel secondo giorno Fabio Bocci, docente di pedagogia e didattica speciale dell’Università Roma 3, affronterà il tema dell’inclusione a scuola tra culture, politiche e pratiche illustrando i risultati di una sua ricerca. A seguire interverrà la dottoressa Carmela Palumbo, Capo dipartimento del sistema educativo Istruzione e Formazione, sul delicato tema del rapporto tra dirigenza scolastica e sicurezza degli edifici; la dirigente scolastica Patrizia Colella affronterà il tema della sostenibilità nell’attività negoziale del dirigente scolastico. Farà le conclusioni Francesco Sinopoli, Segretario generale della FLC CGIL.
    Titone ha ringraziato anticipatamente tutti i relatori che offriranno, ciascuno dal proprio punto di vista, un valido contributo di idee al dibattito; ha quindi augurato buon Convegno a tutti i partecipanti, nella convinzione che anche da questo Convegno verranno proposte e stimoli per l’attività quotidiana dei DS nel governo delle scuole.

    Nella sua relazione introduttiva Roberta Fanfarillo, riprendendo le più importanti tematiche che riguardano la dirigenza scolastica, illustra gli argomenti affidati all’approfondimento dei relatori, che ringrazia per il loro prezioso contributo, sottolineando come inaspettatamente siano mutati lo scenario politico e le priorità politiche del governo e come tali cambiamenti incidano sul tema dell’autonomia differenziata applicata all’istruzione.
    La relazione affronta l’esame delle novità del CCNL Area dirigenziale istruzione e ricerca firmato l’8 luglio 2019 e di un tema molto sentito dalla categoria, quello relativo alla sicurezza degli edifici, sul quale da anni la FLC CGIL si batte per una modifica del Testo Unico che circoscriva più nettamente le responsabilità dei dirigenti scolastici ai soli rischi di esercizio, definendo in capo all’ente locale la titolarità della valutazione die rischi strutturali degli edifici scolastici.
    Vengono poi esaminate tutte le maggiori problematiche del concorso nazionale per dirigenti scolastici e del lavoro fatto dalla FLC CGIL in collaborazione con Proteo Fare Sapere per preparare i candidati alle prove e per sostenere la professionalità dei dirigenti scolastici nel primo anno di incarico, rappresentando i compiti e le responsabilità del dirigente scolastico in maniera coerente non solo al profilo previsto dall’art. 25 del DLgs 165/2001 ma anche ai compiti e alle responsabilità dei dirigenti scolastici delineate nei due CCNL rinnovati, il citato CCNL della dirigenza e il CCNL del comparto istruzione e ricerca firmato il 18 aprile 2018.
    In tal modo è stato possibile contrastare una interpretazione autoritaria del ruolo del dirigente scolastico che con sempre maggiore insistenza una parte delle organizzazioni sindacali della categoria tenta di affermare tra i dirigenti e in particolare tra i neo dirigenti scolastici, lasciando credere che le problematiche dei dirigenti scolastici nascano dall’esistenza dentro le scuole di vincoli e limitazioni ai loro poteri e sviando così l’attenzione da tutti i problemi che, anche in questa prima parte dell’anno scolastico, risultano drammaticamente accresciuti rispetto all’anno scolastico precedente e costituiscono un pesante limite alla realizzazione del diritto allo studio, dalle difficolta sul versante amministrativo, a quelle dei difficili rapporti con gli enti locali, a quelle derivanti dall’applicazione di norme nate per la generalità del pubblico impiego che non tengono conto della specificità delle scuole.
    Si tratta evidentemente, come sottolinea la relazione introduttiva, di un pesante fardello che occorre rimuovere, destinando alle scuole le risorse economiche e professionali necessarie allo svolgimento di un servizio di qualità, liberandole da imposizioni normative e adempimenti burocratici seriali che nulla hanno a che fare con il servizio di istruzione. Questi sono gli obiettivi che il sindacato persegue, per consentire ai dirigenti scolastici di promuovere la realizzazione delle finalità costituzionali della scuola che oggi ha davanti una sfida educativa importante, quella di formare i cittadini globali di domani attraverso l’acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile che vede nell’inclusività, nel rispetto dei diritti umani, della parità di genere, della cultura della pace e della non violenza, nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità i suoi valori fondanti. Si tratta degli obiettivi che l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile ha affidato all’istruzione e che per l’Italia sono ancor più importanti perché attraverso la loro realizzazione la scuola può e deve ostacolare la regressione culturale e politica che il nostro Paese sta vivendo.

    La mattinata è proseguita con la relazione di Mario Ricciardi sul tema “La dirigenza scolastica e l’autonomia differenziata”. Dopo aver ringraziato per l’invito al Convegno, ha iniziato dicendo che la speranza che il nuovo governo abbandonasse il progetto di autonomia differenziata è stata subito disillusa. Essa è ricomparsa al 20° punto del programma, sia pure con alcuni importanti mutamenti di rotta (LEP, fabbisogni standard, ecc.). L’intensità con cui il ministro Boccia si è messo al lavoro non lascia margini di dubbio sulle intenzioni del Conte bis. Purtroppo non è chiaro quale sia il metodo con cui il governo intende proseguire. Perché da una parte si pubblica la bozza di legge quadro sull’autonomia e quindi si riporta la discussione in Parlamento, dall’altra si continua a trattare con le singole regioni e si rinvia ad un momento successivo quello che dovrebbe essere l’atto prodromico, cioè la definizione dei LEP.
    Eppure, piuttosto che proseguire il lavoro, sarebbe stato necessario mettere a fuoco l’intera parabola della vicenda così come si è svolta nella storia della Repubblica e soprattutto fare il punto su alcune riforme istituzionali venute avanti in modo disordinato. Per tutte valga l’abolizione delle province: per legge non dovrebbero più esserci; in realtà non ci sono più le risorse, ma le strutture burocratiche e le competenze sono rimaste.
    Il regionalismo, teorizzato nella Carta Costituzionale, prese la sua prima forma negli anni Settanta con Regioni inquadrate ancora in un forte impianto centralistico.
    Negli anni Novanta, a causa della difficoltà delle istituzioni centrali a dare risposte ad alcuni problemi delle periferie e a causa della crescita della Lega Padana in regioni nevralgiche per il Paese, si cambiò passo e i governi cercarono la via del regionalismo a costituzione invariata con le leggi Bassanini.
    Nel 2001 anche questa strada apparve insufficiente e si passò alla riforma del titolo V della Costituzione.
    Negli ultimi anni, alcune regioni hanno ripreso con forza ad avanzare rivendicazioni sulla base delle procedure frazionate previste dall’art.116 del titolo V riformato:

    • Veneto e Lombardia riprendono una battaglia antica: esse, da un lato, di fronte alla crisi economica, per non far arretrare il livello dei propri servizi, hanno necessità di trattenere sul territorio quote crescenti delle tasse e dei tributi e, dall’altro, declinano in forme nuove parole d’ordine che hanno radici trentennali nell’organizzazione leghista
    • l’Emilia Romagna recupera parte dell’elaborazione di sinistra sul regionalismo, ha necessità di consolidare alcuni servizi che in quella regione hanno raggiunto livelli di eccellenza (sanità e scuola su tutti) ed è stretta dalla strategia di contrasto alla propaganda leghista.

    Lombardia e Veneto alla fine della scorsa legislatura, hanno promosso un referendum sul tema. Il governo in carica ha cercato di gestire questa spinta promuovendo gli accordi preliminari Gentiloni-Bressa, che hanno come tratto distintivo la scelta di escludere il Parlamento e negargli la possibilità di esercitare una sintesi nell’interesse dell’intero Paese.

    Il governo gialloverde ha aperto una nuova fase. Altre 5 regioni si sono associate alle prime 3 nell’avanzare rivendicazioni sul tema dell’autonomia differenziata. Ma Veneto e Lombardia sono rimaste le locomotive della vicenda e vale la pena di rilevare un atteggiamento di fondo comune: un deficit di trasparenza nella conduzione della discussione.
    Particolarmente insidiosa è la rivendicazione della gestione dell’istruzione da parte di entrambe le regioni. Essa sollecita la pancia di territori che da anni chiedono che venga garantito il diritto degli scolari alla continuità didattica, la presenza del personale necessario, la sicurezza delle strutture. La soluzione di questi problemi sarebbero concorsi regolari, maggiori risorse, migliori retribuzioni. Invece Lombardia e Veneto indicano la soluzione nel trasferimento della gestione del personale. Per esempio, per i dirigenti, Lombardia e Veneto chiedono di poter stipulare contratti distinti su tutte le materie coperte dalla contrattazione integrativa. È evidente che queste materie possono essere potenzialmente molto dilatate: a quali si guarda precisamente? Chi gestirà queste contrattazioni per i lavoratori? Resterà il principio di rappresentanza come lo conosciamo o a contrattare in quelle regioni saranno organizzazioni sindacali rappresentative sulla base di normative regionali?
    Si tratta evidentemente di una materia su cui aleggia il sospetto dell’intenzione di esercitare un controllo sul personale non finalizzato a migliorare il servizio, bensì a creare consenso e, in ultima analisi, a stravolgere alcuni caratteri fondamentali della nostra democrazia.
    Certo è invece che la soluzione regionalistica così intesa è in contrasto con la Costituzione, che prevede una retribuzione equa in coerenza con il lavoro che si svolge, non con il luogo in cui esso viene svolto.

    La crescita delle disuguaglianze, la penuria del lavoro, il ridimensionamento del welfare sono all’origine della disgregazione sociale. Particolarmente colpiti sono i giovani. Le nostre società li condannano a vivere in un eterno presente, inconsapevoli del passato e disillusi rispetto al futuro. La scuola è l’istituzione attraverso cui si può ricucire questa frattura, ma essa non può essere lasciata sola. Né può essere affidata alle cure di singole regioni senza neanche avere certezze sulle loro idee e sui loro progetti.

    Leggi la relazione di Mario Ricciardi

    È seguita la relazione di Anna Maria Santoro sul tema “Il dirigente scolastico nel rapporto con l’Amministrazione scolastica”. Per parlare di dirigenza scolastica, ha affermato, è necessario parlare anche di autonomia, perché sono nati insieme e sono segnati da un destino comune. Dirigenza e Autonomia sono due entità incompiute nel panorama della scuola italiana: fatte le norme sull’autonomia le scuole e la dirigenza scolastica sono state abbandonate a sé stesse. I supporti alle autonomie scolastiche non sono arrivati: gli organici funzionali, le stabilizzazioni, i Centri servizi (CIS), i Centri di supporto amministrativo (CSA). Non sono stati riformati gli Organi Collegiali come previsto dalla L. 59/97. Questo ha prodotto inefficienze e contraddizioni nella governance delle istituzioni scolastiche e ha fatto crescere il contenzioso e la sfiducia. La dirigenza scolastica viene considerata una dirigenza minore, dalla quale, al pari della scuola, tutto ci si aspetta e poco le si dà; la dirigenza deve ancora lottare per ottenere sul piano salariale la giusta perequazione retributiva. È passata quindi all’analisi delle difficoltà del rapporto tra dirigenza ed Amministrazione centrale e periferica, a cominciare dal modo in cui l’Amministrazione ha reclutato i dirigenti, attraverso percorsi ad ostacoli, e ritenendo che, fatto il concorso, tutto sia risolto. L’amministrazione ha tentato di spostare sulle scuole, sulla dirigenza, la chiamata dei supplenti annuali all’inizio di ogni anno scolastico a partire dal 2001: era il caos pianificato perché era ingestibile dalle singole scuole che avrebbero fatto a gara per accaparrarsi i supplenti; la reazione del sindacato portò alla finzione delle scuole polo. Per un certo periodo di tempo l’amministrazione ha imposto alle scuole di pagare con risorse proprie la nettezza urbana, le visite fiscali il pasto al personale in servizio durante la mensa. L’amministrazione trasferiva alle scuole le risorse del funzionamento amministrativo e didattico non prima di maggio, ad anno scolastico quasi finito: solo dal 2015 si è riusciti a farle assegnare da settembre alle singole scuole. Nel 2009 e 2010 sono state negate alle scuole le risorse del funzionamento amministrativo e didattico e non sono state trasferite ad esse le risorse per pagare i supplenti. In tante scuole, per non lasciare senza stipendio i supplenti, hanno fatto ricorso alla cassa scolastica per poter pagare almeno i netti stipendiali. Per non restituire le risorse sottratte alle casse scolastiche, la direzione generale del MIUR di quegli anni ha sostenuto che, se le scuole avevano fatto fronte alle spese per le supplenze, voleva dire che avevano le risorse finanziarie necessarie; pertanto i residui attivi andavano radiati. In tal senso avevano esercitato pressioni sulle scuole attraverso i revisori dei conti.
    Ha ricordato che negli anni dal 2013 al 2017 la FLC CGIL si è fatta promotrice dei tavoli tecnici sulle semplificazioni amministrative: in quei tavoli si è intervenuti sullo strapotere dei revisori dei conti; sul mercato elettronico che continua ad essere penalizzante per le piccole spese e per la rapidità e qualità degli acquisti; sulla necessità dell’istituzione dell’help desk; sullo strapotere delle banche e delle compagnie assicurative; sul comportamento da padroni assoluti delle ragionerie provinciali dello Stato (vedi decorrenza contratti 1° settembre 2019 domenica); sulla questione INPS Passweb che vuole scaricare sulle scuole incombenze da sempre di sua competenza, con DS e DSGA nella posizione di dover certificare e calcolare perfino gli importi pensionistici di docenti e Ata; sull’inefficienza del SIDI, che costringe le scuole a rivolgersi a ditte private che vendono applicativi veloci e di maggiore efficacia.
    Attraverso i parlamentari delle Commissioni competenti si è intervenuti anche sulla scuola come parte della Pubblica Amministrazione, proponendo che ogni legge che riguardi P.A. e scuola deve essere applicata dal 1°settembre e che la decretazione ministeriale adegui la nuova normativa alla specificità scolastica.
    La scuola non può farsi carico di incombenze altrui come è successo per i controlli sui vaccini che è competenza dei Comuni o delle ASL. Le scuole hanno la finalità di essere al servizio dell’educazione, dell’istruzione e della formazione; non devono occuparsi di lavori seriali (graduatorie, ricostruzioni di carriera, pensioni, TFR…) che nulla hanno a che fare con le loro finalità istituzionali.
    È scandaloso poi che tutte le risorse assegnate alle scuole e non spese vengano portate via dai POS agli inizi di dicembre per essere restituite, quando va bene, a maggio dell’anno successivo con la conseguenza di lasciare le scuole senza risorse e il personale senza retribuzione accessoria.
    Sarebbe opportuno poi l’istituzione di un ufficio territoriale per il contenzioso: il DS non può essere costretto a fare l’avvocato di sé stesso e dell’Amministrazione.
    Un fatto positivo è la sottoscrizione il 19 novembre scorso del CCNI sulla formazione: dopo 10 anni questa materia è stata ricondotta a contrattazione; viene restituita piena titolarità sulla formazione alle singole scuole e ai suoi organi collegiali; alle scuole verrà assegnata una risorsa economica in base all’organico; se le scuole lo vorranno, potranno consorziarsi con altre scuole.
    Ha affrontato il problema della responsabilità del DS in materia di sicurezza degli edifici scolastici: la gestione di un edificio scolastico di proprietà dell’Ente Locale non può gravare, dal punto di vista della responsabilità, sul DS che non ha poteri di intervento ma solo di segnalazione.

    Ha ricordato infine le battaglie della FLC CGIL contro la precarietà del lavoro nella scuola e per il rinnovo del CCNL. Avere rispetto e cura per la scuola vuol dire : programmare posti, concorsi regolari e assunzioni; recuperare i tagli operati dal piano Gelmini-Tremonti; mettere la dirigenza nelle condizioni di poter sostituire gli assenti sin dal primo giorno; fare un CCNL che rispetti l’Intesa del 24 aprile scorso; aumentare le risorse contrattuali necessarie per retribuire DSGA e loro sostituti e collaboratori del DS; avviare la contrattazione integrativa al MIUR sulla retribuzione di posizione e risultato dei DS e risolvere la questione dell’incapienza del FUN a seguito delle nuove assunzioni.
    Concludendo, l’Amministrazione non ha guardato all’Autonomia scolastica quale autonomia funzionale e al suo Dirigente come colui che risponde ai principi costituzionali, ma ha guardato alla scuola come ad un ufficio e al dirigente scolastico non nella sua specificità ma come un dirigente qualsiasi, salvo pagarlo meno. La dirigenza scolastica è una dirigenza della comunità educante che deve potersi esercitare nella massima libertà. Per questo deve essere liberata dalle molestie burocratiche che non appartengono alla dimensione educativa e formativa. La FLC CGIL vuole una scuola e una dirigenza libere di dedicarsi principalmente alla dimensione didattica e capaci di essere presidio di cultura e di diffusione del sapere, soprattutto per le classi subalterne.

    Leggi la relazione di Anna Maria Santoro

    Seconda sessione

    I lavori del pomeriggio si sono aperti con l’intervento di Pierluigi Mastrogiuseppe Direttore Studi, Risorse e Servizi dell’ARAN. Ha ricordato che con l’individuazione dei quattro comparti e delle quattro aree di contrattazione del pubblico impiego ad essi associate, siglato con CCNQ nel 2016 (in attuazione delle modifiche all’art.40 del DLgs 165/2019 apportate dal “Decreto Brunetta” DLgs 150/2009 art.54), sono state individuate, all’art.7, le quattro nuove aree dirigenziali: Area delle Funzioni Centrali, Area delle Funzioni locali, Area dell’Istruzione e della ricerca, Area della Sanità. Per ciascuna Area la finalità è quella di armonizzare ed integrare negli specifici CCNL una parte comune - riferita agli istituti applicabili ai lavoratori di tutte le amministrazioni afferenti all’Area - ed eventuali parti speciali o sezioni, dirette a normare taluni peculiari aspetti del rapporto di lavoro non pienamente o immediatamente uniformabili o che necessitino di una distinta disciplina.
    Seguendo questo solco, l’intervento del Direttore dell’ARAN si è focalizzato sull’esposizione dei principali aspetti che contraddistinguono il CCNL dell’Area Istruzione e Ricerca siglato l’8 luglio scorso e che interessa il periodo 1° gennaio 2016 - 31 dicembre 2018. Il Dott. Mastrogiuseppe ha inizialmente voluto portare l’attenzione della platea sulla complessità dello svolgimento delle trattative nel settore pubblico le quali, dopo la firma, devono essere sottoposte al controllo e alla verifica della copertura finanziaria e della sostenibilità da parte del MEF e della Corte dei Conti, controlli che possono, di fatto, influire sulla trattativa appena firmata. Ciò rende necessaria una valutazione, costante e continua in itinere, sugli effetti della trattativa sulla spesa pubblica per evitare importanti eventuali discostamenti rispetto a quanto è stato oggetto di firma. In questo caso specifico i controlli hanno contribuito a migliorare il Contratto sul versante della chiarezza.
    All’interno della cornice normativa di riferimento, i lavori che hanno portato alla firma del CCNL sono stati rivolti a un iniziale pulizia e semplificazione della normativa, stratificata e poco chiara, mettendo ordine nella sua successione; alla conferma delle fasi contrattuali dell’Informazione e del Confronto del datore di lavoro con il sindacato; alla semplificazione dei livelli di contrattazione, escludendo la contrattazione regionale e riconoscendo, al fine di evitare rallentamenti, un unico livello di contrattazione integrativa in sede MIUR.
    Il dott. Mastrogiuseppe, nel corso del suo intervento, ha ricordato i decreti legislativi 74 e 75/2017, i cosiddetti “Decreti Madia”, che hanno parzialmente ridisegnato i rapporti di forza tra Legge e Contratto: in particolare, il DLgs 75, apportando delle modifiche e integrazioni al DLgs 165/2001, permette l’intervento della contrattazione collettiva nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, nei limiti previsti dalle norme di legge, a parziale superamento dell’esclusività riconosciuta alle norme di legge dal DLgs 150/2009, “Decreto Brunetta”. Nulla, invece, è cambiato rispetto all’esclusione dalla contrattazione collettiva delle materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali.
    Nel Contratto Area Istruzione e Ricerca siglato in estate è stata riconosciuta la specificità della funzione del dirigente scolastico in un apposito articolo, richiamando l’art. 25 del DLgs 165/2001e il concetto di comunità educante in coerenza con il CCNL 2016-2018 al quale si fa riferimento esplicitamente in diversi punti. Rispetto al tema del trattamento economico affrontato nel Titolo IV del Contratto, un forte impegno ha richiesto la ricerca di una concreta armonizzazione del valore della retribuzione di posizione parte fissa dei dirigenti scolastici ed Afam al livello, più alto, delle altre dirigenze appartenenti alla stessa Area: ciò è stato raggiunto attraverso la costituzione di un fondo di circa 90 milioni di Euro, 20 dei quali riguardanti i dirigenti scolastici che ha portato, di fatto, ad un incremento stipendiale.
    Al fine di garantire una stabilità stipendiale alla dirigenza scolastica, la regola che è stata seguita in sede di contrattazione è stata quella di definire tale retribuzione per tutte le posizioni dirigenziali, comprese quelle vacanti - prive di titolare.
    Rispetto alla differenziazione della retribuzione di risultato, si è preso atto di un sistema non rodato di valutazione delle prestazioni riguardante la dirigenza scolastica: per questo non si applicano, ma potranno essere oggetto di successivi confronti, le linee di indirizzo Madia riguardanti la valutazione delle prestazioni, nelle quali si richiede di far corrispondere alla differenziazione della valutazione una differenziazione dei premi, in modo da avere una regolazione della retribuzione di risultato che veda una maggiorazione stipendiale a chi ottiene una valutazione più elevata.
    Sul tema della responsabilità disciplinare, l’intenzione delle parti sottesa nella scrittura dello specifico Capo V è stata quella di definire un unico corpo normativo che includesse, nella cornice normativa dettata dal DLgs 165 e delle regole del procedimento disciplinare da esso normate, tutte le responsabilità che caratterizzano la figura del dirigente, le specifiche fattispecie di responsabilità disciplinare, gli obblighi e le sanzioni. In altre parole, si è cercato di definire un unico codice all’interno del Contratto.
    Durante il suo intervento, il Dott. Mastrogiuseppe ha posto l’attenzione su alcune novità presenti nel Contratto, ad esempio: l’ampliamento delle tutele per chi deve sottoporsi a terapie salvavita, estendendole anche agli effetti collaterali delle terapie stesse, comportanti un’incapacità lavorativa; la costituzione di un Organismo paritetico per l’innovazione presso il MIUR per i dirigenti scolastici, avente la funzione di accompagnamento e confronto stabile su tematiche collegate all’innovazione organizzativa e alla formazione; l’introduzione dell’istituto delle ferie e riposi solidali basato sulla cessione delle stesse, su base volontaria ed a titolo gratuito, ai colleghi con particolari esigenze di assistenza.
    Il Dott. Mastrogiuseppe ha riconosciuto, nel corso del suo intervento, che il Contratto Area Istruzione ha fatto da apripista a tutti i successivi contratti riguardanti l’area della dirigenza pubblica e che, per la prima volta, vi è stato un forte impegno delle parti a ricercare un sistema normativo comune per il personale dirigente del comparto, operazione non facile viste le storie contrattuali molto diverse che contraddistinguono il settore. Esso segna la ripresa dell’attività negoziale e il riavvio delle relazioni sindacali.

    È seguita la relazione di Anna Armone, esperta di diritto amministrativo, sul tema “L’applicazione alle scuole delle leggi per la pubblica amministrazione”. Ha esordito affermando che la scuola è inserita in un quadro normativo complesso e non poche sono le contraddizioni che derivano dalla difficoltà di applicare leggi e adottare comportamenti pensati per aree della pubblica amministrazione con caratteristiche e finalità molto diverse da quelle del settore dell’istruzione e dell’autonomia scolastica. Occorre definire la collocazione giuridica della scuola nel più ampio contesto della P.A. per poter comprendere la quotidiana difficoltà delle istituzioni scolastiche nell’applicazione delle leggi generali, pensati per aree che nulla hanno a che fare con l’istruzione come la sanità o la finanza pubblica, a contesti specifici caratterizzati da norme di settore, norme territoriali, vincoli legati alla specificità della funzione. L’autonomia scolastica risponde a connotazioni specifiche non sovrapponibili alle peculiarità di altre autonomie costituzionali; essa, infatti, pur godendo di personalità giuridica, si configura come un’autonomia funzionale dipendente dall’azione amministrativa di altri soggetti ed è caratterizzata dalla presenza di più centri decisionali (es. organi collegiali) con potere deliberativo. Rispetto alle articolazioni centrali (Ministero e Dipartimenti) e territoriali (USR) del MIUR le autonomie scolastiche rappresentano centri di costo ai quali vengono trasferite competenze che in passato restavano affidate alle amministrazioni centrali (art. 14 del DPR 275/99) come la gestione delle risorse finanziarie, materiali ed umane. L’appesantimento burocratico della scuola, per quanto supportato dai servizi di assistenza previsti dalla L. 107/2015, comporta la concentrazione del focus dell’azione amministrativa sulle priorità derivanti dalla gestione strumentale (attività amministrativo contabile, acquisizione di beni e servizi, privacy, trasparenza, gestione del personale, sicurezza…) piuttosto che sugli obiettivi di missione della scuola (istruzione, educazione, formazione). Le scuole autonome, quindi, devono adattarsi a norme - e di conseguenza a funzioni e competenze – previste per altri settori dello Stato e ad essi funzionali, basti pensare agli adempimenti legati ai diritti della persona come la salute (es. vaccinazioni) e la privacy (es. nomina DPO). A quanto detto si aggiungano le norme di settore, le azioni determinate dalle politiche territoriali dell’istruzione e del continuo fiorire di orientamenti giurisprudenziali. Al fine di evitare sovrapposizione di funzioni e norme, vuoti normativi, elementi di contraddizione e l’insostenibile appesantimento burocratico che certamente non concorre al rispetto dei principi di economicità, efficacia ed efficienza della P.A., occorre ripensare alla semplificazione dell’azione amministrativa della scuola attraverso alcuni possibili passaggi quali

    • la chiara definizione del ruolo della struttura territoriale di supporto alle autonomie scolastiche
    • l’individuazione di un livello regionale di applicazione della normativa sulla trasparenza e la prevenzione della corruzione
    • il ricorso a centrali di committenza per l’acquisizione di beni e servizi
    • la nomina di un unico DPO regionale e l’adozione di format applicativi per la normativa relativa alla privacy (azioni che, peraltro, garantirebbero notevole risparmio di spesa e garanzia di uniformità nell’attuazione delle azioni per la privacy).

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    I lavori pomeridiani sono proseguiti con la relazione di Gianni Carlini dell’Ufficio di Presidenza nazionale di Proteo Fare Sapere sul tema “Reclutamento dei dirigenti scolastici: le proposte in campo”. Carlini ha iniziato riprendendo la parte dell’intervento di Anna Armone sulla necessità di mettere mano all’art.1 comma 2 del D. Lgs. 165/01 che include le scuole tra le pubbliche amministrazioni e prevede per esse l’attuazione di norme pensate per le pubbliche amministrazioni. Il DS non può essere esperto al massimo livello su sicurezza, trasparenza etc… In questo il pericolo più grave è costituito da un’organizzazione sindacale che afferma “per essere dirigente, lo devi fare anche tu”. Viste le dimensioni e la complessità delle attuali istituzioni scolastiche sarebbe necessario il middle management; dovrebbero essere disponibili nelle scuole risorse economiche per poter pagare chi collabora alla gestione della scuola, soldi ma anche esoneri dal servizio. Le modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici sono state oggetto di controversie negli ultimi Concorsi, con ricadute sulle persone e polemiche sulla trasparenza e correttezza della pubblica amministrazione. Il lavoro del dirigente scolastico è riconosciuto di grande importanza nella scuola e nella comunità e ai concorsi partecipano in tantissimi. I concorsi attivano processi di sviluppo delle competenze dei partecipanti, mentre il periodo di prova predisposto dall’amministrazione ha fatto registrare spesso qualità nella formazione molto scadente o assente: qualcuno l’ha definito “il nulla tra una pausa caffè e un’altra”. I neo DS immessi in ruolo il 1° settembre scorso stanno aspettando le iniziative di formazione a loro destinate.
    È assolutamente sbagliata la posizione di chi vorrebbe modificare il profilo del DS, chiaramente ed efficacemente definito nell’art. 25 del DLgs.165/01; se ne parla tanto perché si vorrebbero ridisegnare i poteri all’interno della scuola, perché sono viste come problemi le relazioni all’interno delle scuole. Carlini si è quindi soffermato sull’evoluzione del concorso per dirigenti dal ”90 ad oggi, sottolineando lo scarto tra i programmi previsti nei bandi ed il mestiere effettivo. Ci sono alcune proposte che mirano a cambiare le modalità di reclutamento. Nel documento Cerini si pensa di selezionare sulla base di test psico-attitudinali o sulla base delle esperienze fatte: già tre Concorsi fa erano previsti valutazione e punteggi per essere ammessi ai Concorsi ma ci furono un’infinità di ricorsi da parte degli esclusi, tutti vinti; i test psico-attitudinali poi sono più rischiosi: quali attitudini si dovrebbero accertare? Attualmente si effettua una preselezione sulla base di una banca dati di 4.000 test, a volte scritti anche in modo scorretto, dai quali sono tratti i 100 della prova preselettiva e la selezione avviene tra chi è più capace di mandare a memoria: il concorrente può non sapere nulla, non deve capire ma ricordare. Sarebbe meglio non pubblicare prima i quiz ma estrarli il giorno della prova. C’è poi il serio problema della valutazione da parte delle commissioni: è ingiustificabile nell’ultimo concorso lo scarto tra le 38 commissioni, tra quelle che hanno superato il 30% di bocciature e quelle che non hanno bocciato. Il fatto è che nelle Commissioni ci sono valutatori casuali, non formati. Per selezionare efficacemente i futuri DS bisogna investire, pagare dedicando tempo e formazione ai valutatori. Le altre proposte sono palliativi. Ci si potrà esercitare sulle modalità di cambiamento dei concorsi: per esempio concorsi ogni tre anni, una prova scritta, una prova orale e un vero anno di prova con veri valutatori che decideranno sull’anno di prova. Il valutatore deve essere formato ed avere competenze, non può essere un soggetto “di cui ha considerazione il Direttore regionale”.
    Bisogna restituire al Sistema Istruzione le risorse sottratte nel passato: non ci sono risorse umane negli uffici scolastici; le scuole vanno avanti per i buoni sentimenti di quelli che suppliscono alle mancanze del sistema. Il Concorso è l’ultimo dei problemi, ma deve essere nazionale e su base regionale: assurdo lo spostamento forzato dei concorrenti da una regione all’altra nell’ultimo concorso.

    Leggi la relazione di Gianni Carlini

    A conclusione dell’intensa ed impegnativa giornata, Roberta Fanfarillo e Raffaele Ciuffreda sono intervenuti sul problema dell’assegno ad personam, sulla situazione che si è creata per il comportamento del MEF e di alcune tesorerie territoriali che, contravvenendo a quanto scritto nel CCNL dell’8 luglio 2019, non stanno corrispondendo o stanno riducendo unilateralmente l’assegno previsto.

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Torna l’appuntamento in cui le lavoratrici
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