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JOBS ACT: rottamato l'articolo 18, ma non i contratti precari

Prima sintesi dello Schema di Decreto sul riordino delle tipologie contrattuali.

24/02/2015
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Lo scorso 20 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il “Decreto legislativo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” nell'ambito del quale, a dispetto delle osservazioni di entrambe le commissioni Lavoro (della Camera e del Senato), il Governo ha deciso di applicare anche  ai licenziamenti collettivi la nuova disciplina del licenziamento illegittimo; e il “Decreto Legislativo per il riordino degli ammortizzatori sociali ( qui una scheda di sintesi e commento di entrambi).

I due decreti producono un verticale abbassamento del livello dei diritti per quanto attiene la tutela del licenziamento, che anche se illegittimo non darà luogo a un reintegro, ma solo a un indennizzo crescente con l'anzianità, tranne nei casi di licenziamento discriminatorio o in pochi casi di disciplinare; e un trade off tra estensione (ben lontana da essere universale) della platea cui si rivolgono gli ammortizzatori sociali e la durata degli stessi.

Presentato al Consiglio dei Ministri l'atteso schema di decreto sulle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni e lo schema di decreto su conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Il primo dei due rappresenta un cardine dello scambio, assai discutibile, che il premier aveva proposto al Paese: eliminazione del caleidoscopio di contratti precari al prezzo di una drastica riduzione di diritti e tutele per il lavoro subordinato. Stando allo schema uscito dal Consiglio del Ministri quello scambio è truccato: l'articolo 18 è stato rottamato, la pletora di contratti precari no. Un ritorno all'800 nel rapporto capitale-lavoro, tutto sbilanciato a favore del primo termine, con la frammentazione e la complessità sociale del post fordismo. In estrema sintesi: ricattabilità estesa, azione collettiva inibita. Un sofisticato dispositivo autoritario e antisindacale.

Di seguito una prima sintesi dei principali temi che emergono nello schema di decreto sulle tipologie contrattuali.

La rottamazione dei co.co.co. è una bufala. L'eliminazione di co.co.co. e co.co.pro. più che una promessa è stata emblema del Jobs act così come Renzi lo ha voluto raccontare. La realtà è molto diversa. I contratti di collaborazione rimangono: in tutti i casi in cui sarà previsto da accordi collettivi; per enti di promozione e associazioni sportive affiliate alle federazioni nazionali; per l'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione ad un albo professionale, oltre che per componenti di organi di amministrazione e controllo di società o di collegi e commissioni.

Non solo. Rimangono intatti co.co.co. e assimilati (assegni di ricerca, docenze a contratto, ecc) delle pubbliche amministrazioni (oltre 100.000 posizioni aperte alla gestione separata INPS al 2013). Su questo fronte fino al 2017 le nuove norme non valgono in attesa della riforma del lavoro pubblico nell'ambito della delega della PA.

Tempo determinato, confermato il Decreto Poletti. Viene confermato nella configurazione prevista dal Decreto Poletti dello scorso Luglio: eliminazione dell'obbligo di causali, durata massima 36 mesi, che possono anche diventare 48 nel caso in cui gli stessi soggetti stipulino la proroga presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente. Una liberalizzazione tout cour del contratto a tempo determinato che, con tutta probabilità, una volta esauriti i robusti sgravi contributivi previsti per il contratto a tutele crescenti, eserciterà concorrenza spietata al contratto a temo indeterminato a tutele crescenti.

Confermata l'esclusione da questa normativa del personale docente e ata della scuola e di quanti svolgano attività esclusiva di ricerca o di coordinamento di ricerca o in enti di ricerca e università pubbliche o private, per questi non vale il limite del 20% sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato e i contratti possono avere la durata corrispondente a quella dei progetti di ricerca.

Part-time. La norma riconosce la possibilità di trasformare il proprio contratto di lavoro full time in part time per chi ha patologie oncologiche o cronico-degenerative che determinano una ridotta capacità lavorativa accertata da una commissione medica. Priorità nella trasformazione in part time anche per coloro che hanno parenti prossimi affetti dalle stesse patologie o con invalidità pari al 100%. Laddove non intervengano i contratti collettivi si prevedono i criteri per il lavoro supplementare consentito (15% per il part time orizzontale; 25% per part time verticale o misto) . Si prevede inoltre la possibilità, nel caso in cui il contratto collettivo di riferimento non contenga la specifica disciplina, di concordare avanti alle commissioni di certificazione clausole flessibili o elastiche (rispettivamente per il part time orizzontale o per il part time verticale e misto) relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa che può essere comunicata fino a due giorni prima dal datore di lavoro (prima erano 5). La nuova disciplina si applica anche al pubblico impiego, salvo quanto previsto da disposizioni speciali in materia.

Lavoro a chiamata: nessuna nuova cattiva nuova. Rimane per il lavoro a chiamata, una delle forme più precarizzanti introdotte dalla legge 30/03, l'attuale disciplina. Peccato, era un ottimo candidato alla rottamazione.

Job sharing e associazione in partecipazione: eliminate! Solo due le forme precarie davvero abrogate: il Job sharing, la meno fortunata tra le tipologie contrattuali introdotte dalla legge 30/03 che ha contato poche centinaia di attivazioni;  e l' associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro, una forma contrattuale odiosa (contro la quale Filcams e Nidil CGIL si sono ampiamente battute) che cumulava tutti gli oneri del lavoro subordinato e del lavoro autonomo, ma nessuno dei vantaggi né del primo che del secondo.

Somministrazione di lavoro. Eliminate le causali anche per il contratto di somministrazione a tempo indeterminato, il così detto staff leasing, che allarga il suo ambito di applicazione e viene posto per legge un limite quantitativo del 10% sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato.

Apprendistato. Già il Decreto Poletti era intervenuto violentemente su questa forma contrattuale allentando gli obblighi sul piano formativo che deve accompagnare il lavoratore, abbassando le retribuzioni per i giovanissimi che devono conseguire una qualifica, diminuendo la quota di assunzioni (dal 50% al 20%) obbligatorie per le aziende che vogliano assumere nuovi apprendisti. Lo schema di decreto in oggetto conferma tutto. Tra cui, aspetto gravissimo, la possibilità di attivare percorsi di apprendistato per i quindicenni ancora dentro l'obbligo di istruzione. Pessime notizie sul fronte delle retribuzioni per chi svolge l'apprendistato per qualifica, diploma o specializzazione professionale, oppure quello di alta formazione e ricerca: in questi casi per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo. Per le ore formative a suo carico il datore di lavoro riconosce al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta. Prima era previsto almeno il 35%. Da segnalare che vengono estese a questa forma contrattuale le nuove norme sul licenziamento ingiustificato e che, a fronte del ridimensionamento dei momenti di formazione, si afferma costituisca motivo per il licenziamento il non raggiungimento degli obiettivi formativi. Sull'apprendistato di primo e di terzo livello trovate qui una specifica scheda di lettura.

Sempre più lavoro Accessorio (Voucher): ancora incoraggiato il lavoro con voucher per il quale viene innalzato il tetto massimo da 5000 a 7000 Euro.

Demansionamento. Con modifica del codice civile si prevede la possibilità per l'impresa che cambi i propri assetti organizzativi di modificare le mansioni di un lavoratore con quelle appartenenti al livello di inquadramento inferiore. Il trattamento economico rimane però invariato, salvo quote accessorie legate alla modalità di svolgimento. Fanno eccezione eventuali accordi tra le parti che (al fine di conservare l'occupazione o conciliare vita e lavoro o acquisire una diversa professionalità) possono prevedere la modifica anche del livello di inquadramento e relativa retribuzione.