Pensioni, colpo di mano del Governo sul sistema previdenziale
Nell'incontro del 16 luglio con le parti sociali il Governo presenta un emendamento al decreto anti-crisi che prevede un aumento graduale dell'età pensionabile per le donne nel pubblico impiego a partire dal prossimo anno.
Il Governo ha illustrato alle organizzazioni sindacali l'emendamento che ha intenzione di presentare al Decreto Legge anticrisi al fine di equiparare l'età pensionabile tra uomini e donne nel pubblico impiego. Secondo l'emendamento, il requisito anagrafico richiesto alle donne, per andare in pensione, viene incrementato di un anno ogni due a partire dal 1° gennaio 2010.
Dopo avere più volte dichiarato per bocca del ministro Sacconi ed anche dello stesso Presidente del Consiglio che quell'argomento sarebbe stato affrontato in futuro ma che per il momento non era all'ordine del giorno, improvvisamente si scopre la necessità di rispondere in tempi brevissimi alla Corte di Giustizia Europea che nel novembre del 2008 aveva richiesto all'Italia di provvedere alla suddetta equiparazione. L'occasione si rivela utile anche per ritoccare l'intero sistema previdenziale pubblico adeguando, a partire da 2015, i requisiti dell'età anagrafica all'incremento delle speranze di vita accertato dall'Istat; ancora una volta saranno le donne a fare le spese di questa nuova e restrittiva misura.
La CGIL è stata l'unica organizzazione a reagire in modo estremamente negativo a questa ennesima manomissione del sistema previdenziale. Abbiamo ancora nelle orecchie le parole del Presidente del Consiglio che dichiarava che era necessario rendere più flessibile la possibilità di pensionamento e quindi di consentire alle donne che lo avessero voluto, di rimanere al lavoro oltre l'età dei 60 anni. Parole di pura propaganda perché la situazione è già così: se una lavoratrice del pubblico impiego vuole andare in pensione a 60 anni è obbligata a richiederlo esplicitamente altrimenti continua a lavorare fino al raggiungimento dei 65 anni. Il sistema ideato dal Governo è invece tutt'altro che flessibile: è obbligatorio.
Pensare inoltre che tale norma peggiorativa delle condizioni previdenziali delle donne rimanga limitata alle lavoratrici del pubblico impiego è pura fantasia, perché se rimanesse limitata solo al lavoro pubblico si presenterebbe come gravemente discriminatoria.
Giustamente la nostra segretaria confederale, Morena Piccinini, ha dichiarato che "La parità tra uomo e donna deve partire e realizzarsi dall'accesso al mercato del lavoro e non può partire dall'ultimo passaggio".
Siamo in un paese in cui occupazione femminile e possibilità di accesso a lavori qualificati e di responsabilità per le donne rimangono largamente deficitari. Siamo in un Paese in cui ci si ostina a non riconoscere che il lavoro di cura e il lavoro domestico (che molto spesso è un doppio lavoro per una parte consistente di lavoratrici) rappresentano una ricchezza che dovrebbe essere inserita a pieno titolo nel Welfare e negli elementi che contribuiscono alla formazione del PIL nazionale.
Anche nel campo previdenziale, come in tutti gli altri settori del nostro intervento sindacale, non siamo privi di proposte. Il sistema previdenziale va rivisto perché ci sono generazioni e tipologie di lavoratori che sono senza copertura pensionistica o quella che gli si prospetta non supera il vello dell'indigenza e della povertà. Noi non crediamo che la cosa si risolva togliendo a chi già possiede poco per dare a chi ha niente. Non è la solidarietà tra poveri che ci può venire proposta, ma occorre una equa distribuzione del reddito e della ricchezza che pure in questo paese esiste e di cui pochi godono i frutti mentre la maggioranza gode delle ristrettezze.
Ci opporremo in tutti i modi ad un provvedimento iniquo.
Roma, 17 luglio 2009