Approvato definitivamente il disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione e della contrattazione
Questa legge, assieme all'accordo quadro sulla riforma dei contratti e alla legge 133/08 determina un profondo cambiamento negativo nella pubblica amministrazione e una riduzione degli spazi contrattuali e dei diritti.
>> Lavoro e diritti: la crociata di Brunetta contro i dipendenti pubblici <<
Ribadiamo il giudizio negativo già espresso sul disegno di legge delega che nel suo iter è, se possibile, ulteriormente peggiorato. In allegato il nostro commento (in grassetto le modifiche apportate dalla Camera).
La legge 15/09 deriva direttamente dal piano industriale presentato dal ministro Brunetta nel maggio 2008 su cui Cgil Cisl e Uil avevano espresso un giudizio pesantemente negativo.
Secondo il Ministro è la rivoluzione copernicana che renderà efficienti e competitive le pubbliche amministrazioni, ma la filosofia di fondo è quella che ha contraddistinto il suo operato fino ad oggi: i pubblici dipendenti sono tutti fannulloni, costano troppo e il sindacato, è un intralcio. E quindi la legge ha l’unico scopo di evitare la contrattazione integrativa e limitare il ruolo del sindacato, bloccare le carriere, ridurre ulteriormente il potere d’acquisto dei pubblici dipendenti, umiliarli con il continuo richiamo a valutazioni, provvedimenti disciplinari, punizioni anche economiche.
Il Ministro introduce un sistema autoritario, incentrato su una dirigenza sottoposta ad un pesante controllo politico.
Il Governo ha la delega per introdurre strumenti di valorizzazione del merito e di incentivazione della produttività anche mediante “il principio di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento degli incentivi” e quindi: risorse solo ai singoli che verranno giudicati meritevoli; valutazione positiva che diventerà titolo per la carriera, anche per le progressioni economiche; parte delle economie conseguite con i risparmi sui costi di funzionamento erogate solo al personale direttamente coinvolto. Il Governo toglie la possibilità di contrattare l’ordinamento del personale: infatti si prevede che le progressioni di carriera avvengano solo per concorso pubblico con riserva di posti per gli interni non superiore al 50%. Inoltre è prevista la riserva di accesso dall’esterno nelle posizioni economiche apicali.
Questa legge ci riporta al periodo delle qualifiche funzionali il cui effetto è stato che le carriere sono state bloccate per 15-20 anni, mentre sono state la contrattazione integrativa e la riforma degli ordinamenti ad accelerarle. Ora, invece, sono introdotte pesanti limitazioni e controlli sui costi della contrattazione integrativa.
Alla base della legge c’è un criterio molto vecchio: il pubblico impiego è unico, composto da amministrazioni uguali con uguali fini istituzionali. Oggi, invece, esistono realtà diverse con compiti diversi e alcune come l’università, la scuola, la ricerca, gli enti locali hanno una forte autonomia. Queste norme non permetteranno alle Amministrazioni di adeguare l’organizzazione del lavoro alle proprie esigenze, tanto più che le norme potranno essere derogate dalla contrattazione o dai regolamenti solo se espressamente previsto dalla legge. Ma se l’applicazione risulterà incompatibile con le autonomie si potrà applicare solo alle amministrazioni centrali dello Stato; quindi le amministrazioni autonome eserciteranno la loro potestà legislativa o regolamentare con la conseguente frammentazione delle regole e dei diritti. E’ la tomba dei contratti nazionali come cornice di solidarietà.
Le norme previste dal disegno di legge ora approvato definitivamente non portano allo snellimento delle procedure e ad una vera efficienza né pongono un freno alle dinamiche clientelari che hanno dilatato a dismisura la spesa pubblica. La legificazione del rapporto di pubblico impiego riporta a situazioni già viste: un intervento improprio della politica nell’organizzazione del lavoro e nelle relazioni sindacali.
Se questa azione non fosse dettata da pregiudizio e facili slogan, il ministro si accorgerebbe che i contratti già consentono di valutare i dipendenti, di distribuire in modo equo le risorse del salario accessorio, di formarli, di sottoporli a sanzioni in caso di inadempienze rispondendo meglio alle esigenze e alle finalità di una moderna pubblica amministrazione.
Roma, 25 febbraio 2009
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