Rigore senza sviluppo, questo il piano economico del Governo
Una ragione in più per lo sciopero del 6 maggio. Il Documento economico e finanziario e il Piano di riforme solo un elenco di buoni propositi. Confermati i tagli e il disinvestimento sulla conoscenza. E i sacrifici sulle spalle dei soliti noti.
Una ragione in più per scioperare il prossimo 6 maggio. Il Documento economico e finanziario (DEF) e il Piano nazionale di riforme (PNR) approvati a fine aprile sono solo un elenco di buoni propositi, ma in realtà confermano tagli e disinvestimenti sulla conoscenza, sacrifici per chi li ha già fatti, e non contengono nessuna idea di sviluppo né una visione del futuro. Due i pilastri su cui poggiano: tagli subito e investimenti e sviluppo di là da venire; risparmi gettati nel calderone del risanamento dei conti per compiacere l'Unione europea.
È il solito meccanismo fumo negli occhi di programmi e riforme solo annunciati, ma sempre rinviati.
Il Def e il Pnr si muovono sul solco asfittico dell'ultima legge di stabilità (vedi notizia correlata). Si conferma il vuoto di idee di questo Governo nella politica economica, nello sviluppo e nell'innovazione.
Lo sciopero generale del 6 maggio, proclamato dalla CGIL, si carica di ulteriori ed importanti significati. È una grande opportunità per dire no alla politica di questo Governo e ai suoi ultimi provvedimenti, odiosi e pericolosi. Per trasformare il disagio e le paure in un importante momento di lotta e di speranza. E soprattutto per riaffermare il ruolo della scuola, dell'università, della cultura e della ricerca per il futuro dei giovani e per lo sviluppo democratico della società italiana.
DEF e PNR nei settori della conoscenza. L'analisi della FLC CGIL
35 miliardi di manovra per consolidare le finanze pubbliche. Ancora una volta sulle nostre spalle. Basta leggere il Def e il Piano nazionale di riforme approvati mercoledì 20 aprile dal Consiglio dei Ministri per rendersene conto.
Nel giro di quattro anni i nostri conti pubblici devono essere riportati in pari, ma le misure sono drastiche e tagliano soprattutto i servizi. Di contro la reale prospettiva di crescita è molto bassa (1%).
Il documento impegna il Governo su obiettivi ambiziosi, alcuni persino condivisibili quali ad esempio migliorare l'efficienza della P.A., ridurre la pressione fiscale, investire in capitale umano e tanti altri su cui non ci soffermiamo, ma non precisa mai come e quando si possa raggiungerli.
L'impianto ripropone le vecchie ricette e cioè tagli indiscriminati alla spesa pubblica e agli investimenti, nessun intervento a favore della crescita, dell'occupazione, della conoscenza, della redistribuzione dei redditi e dei giovani. Tutto a favore della parte più ricca del Paese, contro gli interessi del mondo del lavoro e dei pensionati.
L'unico fine è dimostrare agli organismi europei che siamo virtuosi e ci muoviamo nel solco della strategia “Europa 2020” e dei suoi obiettivi. In realtà è una proposta di rigore senza sviluppo che inciderà negativamente sul futuro del Paese.
È una manovra che non prevede nessun investimento per la conoscenza. E presenta, tra gli altri, tre grandi aspetti negativi.
I principali aspetti negativi della manovra per i nostri settori
Il primo. Non c'è nessun programma di investimenti pubblici a favore di scuola, università, Afam e ricerca.
Il Def conferma tutti i tagli operati finora dalle diverse finanziarie e che andranno avanti per i prossimi anni come prevede la legislazione vigente.
Si tratta di riduzioni clamorose che si sono abbattute a partire dal 2008: tagli degli investimenti pubblici all'offerta formativa, riduzione dei diritti dei lavoratori e della contrattazione (attraverso la riduzione del salario in caso di malattia e la regolazione per legge di materie prima riservate all'ambito contrattuale), aumento di finanziamenti pubblici a scuole e università private (con la L. 297/2010 sono stati assegnati 1 miliardo al pubblico e mezzo al privato).
I tagli di cui stiamo parlando sono noti.
Scuola. In tre anni sono stati tagliati oltre 130 mila posti di docenti e Ata, i fondi per l'autonomia scolastica (legge 440/97) sono passati da 185 milioni del 2008 a 87 milioni nel 2011, le spese per il funzionamento, 2009 e 2010, sono state azzerate.
Università. In tre anni sono stati tagliati il FF0 (11,31%), il Piano triennale della ricerca (52,39%) e il diritto allo studio (40,67%).
Ricerca. I tagli al fondo ordinario degli Enti di ricerca oscillano dal 9 al 20%; sul fondo ordinario gravano inoltre anche i vincoli imposti dal Miur per finanziarie i cosiddetti progetti di ricerca “bandiera”. Tutto ciò è surreale se si considera che il fondo ordinario degli enti, dopo i tagli, non è sufficiente neanche per pagare gli stipendi e che i progetti imposti mancano di una trasparente valutazione.
Al CNR, il più grande Ente del paese, addirittura sono state bloccate le assunzioni ed è stato imposto il tetto di spesa.
Il secondo aspetto negativo. Il Def stima un aumento del Pil italiano dell'1,1% nel 2011 che nel 2012 si attesterà intorno all'1,5%. Di contro la spesa a favore dell'istruzione in rapporto al Pil, già al di sotto della media Ocse dell'1,20%, scenderà di un ulteriore 0,80%.
L'Italia già ora spende in istruzione soltanto il 4,5% del Pil rispetto ad una media Ocse del 5,7%. Nella ricerca spende soltanto lo 0,56% a fronte di una media Ocse del 3%.
I risparmi dichiarati, ma non quantificati, frutto dei tagli andranno nel gran calderone dei conti pubblici, non certo investiti per migliorare il sistema. Dunque nessuna volontà di qualificare la spesa, ma solo tagliarla.
Le risorse pubbliche italiane vanno in direzione opposta rispetto a quelle delle grandi democrazie europee che, pur in un periodo di gravissima crisi
economica, hanno deciso di investire proprio in capitale umano e conoscenza, destinando più finanziamenti pubblici alla scuola e alla ricerca.
Il PNR più che un vero Piano di riforme sembra un lungo elenco di cose da fare a futura memoria, senza l'indicazione di una misura concreta. Insomma: tagli subito, sviluppo a fine legislatura. Il Governo del fare che non fa che parlare.
Basta leggere il capitolo “investimenti e capitale umano” per rendersi conto che siamo di fronte a delle scatole vuote. Ad esempio gli interventi a favore dell'edilizia scolastica sono rinviati a fine legislatura, senza nessun impegno preciso, con l'unico proposito di non determinare alcun impatto sulla finanza pubblica.
Il Governo non solo lascia le cose stanno, ma le peggiora presentando un piano senza futuro e senza speranza per scuola, università e ricerca, avendo deciso di dedicare la piccola quota di crescita del Paese (1%) al rientro dei conti pubblici senza prevedere investimenti né in conoscenza né in altri settori strategici.
Pochi giorni fa, durante l'audizione al Senato, il vice direttore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha fatto presente al Governo che alcune spese come l'istruzione non sono comprimibili perché “determinanti per lo sviluppo”. Inascoltato!
Il terzo aspetto negativo. È aumentata la pressione fiscale ed è diminuito il potere d'acquisto delle famiglie. Le retribuzioni dei pubblici dipendenti sono state bloccate dall'ultima manovra finanziaria di Tremonti. Niente rinnovi dei contratti, niente scatti d'anzianità (salvo il recupero del 2010 per la scuola), niente progressioni di carriera, allungamento dell'età pensionabile per le donne. Misure che solo per la scuola hanno comportato un risparmio (a danno di docenti, dirigenti e Ata) di oltre 7 miliardi di euro.
Il mancato recupero dell'inflazione negli ultimi due anni, secondo l'Istat, ha ridotto il potere d'acquisto delle famiglie del 3,16%. Nel frattempo l'inflazione è di nuovo in crescita (2% dall'inizio dell'anno). Il danno per i lavoratori è enorme.
Addirittura il prossimo anno ci sarà un rialzo della pressione fiscale. Secondo il Def la pressione fiscale salirà dal 42,5% al 42,7%.
Il Governo dice di volere rinnovare l‘intero sistema fiscale con un graduale passaggio della tassazione “dalle persone alle cose”, ma quando? Anche su questo non c'è niente di operativo. I tempi previsti dal PNR sono molto lunghi, attraverso un percorso a ostacoli: la conclusione dei lavori dei tavoli tecnici, l'approvazione di una legge delega e i successivi decreti attuativi.
Intanto il peso fiscale sui lavoratori dipendenti (categoria che assolve puntualmente quest'obbligo) si attesta intorno al 51%. Anche in questo caso siamo lontani, lontanissimi dall'Europa e dalla media Ocse (33,7%).
Di nuovo, tagli subito e benefici, se mai ci saranno, lontani anni luce, mentre i bisogni di lavoratori, studenti, precari, famiglie sono, questi sì, urgenti.
Il futuro del Paese è a rischio
Le conclusioni sono molto amare e le nostre preoccupazioni sono molto alte non solo per il destino di scuola e università, della ricerca e dell'afam che pure sono i settori che ci interessano più da vicino, ma soprattutto per il destino del Paese.
La Cgil sul fisco ha avanzato delle proposte molto serie chiedendo al Governo di discuterle con i sindacati: introduzione della patrimoniale, maggiore tassazione delle rendite finanziarie, lotta all'evasione, vuol dire essere in linea con l'Europa e allentare la pressione fiscale su lavoratori e pensionati, recuperando risorse per gli investimenti e lo sviluppo.
Con le non misure del Governo le prospettive di uscita dalla crisi si allontanano pericolosamente.
Si profila, per l'Italia, un ruolo sempre più marginale nel contesto europeo.
Il futuro si presenta come il prolungamento interminabile di un presente insopportabile e senza speranza. Questa situazione non è più tollerabile.