Corriere: Da Bologna a Torino, i Tar salvano i prof dalla pensione
Università Accolti i ricorsi dei docenti che dovrebbero lasciare a 70 anni. La Consulta deciderà sulla legittimità della riforma
DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA — Baroni con l’elmetto. Aggrappati alla cattedra. Decisi a non farsi «rottamare ». Un esercito in crescita quello dei professori universitari over 70, gente dal nome e dall’albo d’oro spesso altisonanti, che ricorrono e la spuntano di fronte ai Tar di mezza Italia contro la decisione di molti Senati accademici di avvalersi della facoltà, concessa dalla legge 133 del 2008, di non concedere quella sorta di bonus al pensionamento che finora aveva consentito agli ordinari di mantenere il posto anche oltre i 70 anni: per un paio di anni, a volte di più.
L’ultima cartolina di una crociata che sta disseminando di ricorsi l’Italia accademica arriva da Bologna, dalla più antica università del mondo, l’Alma Mater. Una decina di professori ha ottenuto dal Tar emiliano-romagnolo la sospensione della delibera con la quale il Senato accademico aveva stabilito il loro pensionamento a partire dal primo novembre prossimo. A detta dei giudici amministrativi, l’Ateneo avrebbe dovuto valutare «le specifiche caratteristiche » dei singoli docenti, valutando meriti e titoli scientifici. Una lettura che non trova d’accordo il rettore dell’Alma Mater, Pier Ugo Calzolari (rettore in scadenza, oggi si vota): «La mia impressione è che la legge dica il contrario. E cioè: prima si decide se concedere o no la deroga dei 2 anni.
E solo nel caso la si dia, vanno esaminati i profili dei singoli. Ma il nostro Senato ha deciso all’unanimità di non dare alcun bonus».
Il problema è destinato a montare. Tra i 3 mila docenti dell’Alma Mater, i «pensionandi » sono circa 370 ed è ipotizzabile che, alla luce della decisione del Tar, saranno in molti a bussare alla porta dei giudici per garantirsi una «proroga» di stipendio e cattedra. Sarebbe una botta mortale per i bilanci, già agonizzanti, dell’Ateneo. Dice Calzolari: «La decisione di non concedere deroghe nasce, oltre che da motivi di ricambio generazionale (in nessun Paese al mondo i professori vanno in pensione a 70 anni), da questioni di spesa: a fronte di tagli governativi per 40 milioni, i pensionamenti ci consentono risparmi di 14 milioni per il 2010 e 31 per l’anno successivo ». Che, spalmati sull’intero universo accademico italiano, equivarrebbe a un contenimento di spesa tra i 600 e gli 800 milioni, per la gioia di Tremonti.
Il guaio è che la sentenza di Bologna è solo l’ultima di una serie. A Torino, al grido «non ci faremo rottamare», sono stati ripescati alcuni professori over 70 dal curriculum robusto (l’ingegnere Roberto Pomè, i giuristi Marino Bin e Sergio Chiarloni, il sociologo Guido Sertorio). A Bari sono una ventina i docenti che si sono rivolti al Tar. E alla Statale di Milano aumenta il numero dei ricorsi accolti. L’ultima parola la dirà la Consulta, alla quale alcuni Tar hanno chiesto un pronunciamento di legittimità costituzionale. Ma oltre che sui pensionati, l’austerity universitaria utilizza un’altra leva: il taglio dei corsi di laurea.
L’obiettivo è ridurli del 20% entro il 2010, nella convinzione che molti dei 5.879 corsi esistenti fino a due anni fa fossero in eccesso rispetto alle esigenze del mercato. E allora, sforbiciate alla Cattolica di Milano, alla Sapienza di Roma, a Siena, Pisa e Firenze, a Palermo. Pure a Genova hanno soppresso corsi. Ma non perché fossero inutili: mancano semplicemente i docenti.
Francesco Alberti