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Le ass.professionali del Piemonte su L'Invalsi e la valutazione di sistema

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16/10/2005
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L'Invalsi e la valutazione di sistema

L'Invalsi ha annunciato la seconda fase della "rilevazione nazionale degli apprendimenti", che la Direttiva n. 49 del 6 maggio 2005 considera "obbligatoria in quanto connessa all'attuazione della riforma del primo ciclo del sistema scolastico introdotta dal decreto legislativo n. 59 del 2004 che ne disciplina i percorsi".
Come si vede, la questione è mal posta fin dall'inizio: la valutazione di sistema non può essere promossa e quindi pensata a sostegno di un processo di riforma, se mai ne dovrebbe, a distanza e con neutralità, o monitorare l'applicazione o valutare gli effetti. Questa forzatura nel senso dell'indirizzo e del controllo, oltre a tradire i compiti istituzionali dell'INVALSI, a comprometterne la terzietà e quindi a pregiudicarne la stessa credibilità, apre un altro contenzioso con le istituzioni scolastiche che non giova alla serenità della vita scolastica. Alcune organizzazioni sindacali contestano infatti questo modo di procedere e in particolare l'obbligatorietà delle prove, alcune scuole stanno deliberando di non aderire, altre si adeguano più o meno passivamente, tutte sono molto incerte e scontente.
Ancora una volta l'iter di applicazione della riforma incontra resistenze di varia natura, che il ministero continua a ritenere frutto di fomentazioni di facinorosi o di pura contrapposizione ideologica mentre gran parte del sistema scolastico le vive e le ritiene motivate come difesa degli spazi di autonomia, di professionalità e di buon funzionamento della scuola pubblica. Sul terreno più generale, del resto, varrebbe anche la pena ricordare che la legge 53 è una legge organica che prevede la riforma dell'intero sistema di "istruzione e formazione": nel momento in cui ne è ormai seriamente pregiudicata l'applicazione nella scuola "secondaria di secondo grado", diviene molto difficile accettare forzature (e spese inutili) nella "scuola primaria" e "secondaria di primo grado", soprattutto se di dubbia legittimità.
Le questioni in discussione sono sostanzialmente due: una è di natura più giuridica, l'altra è di natura più propriamente scientifica e professionale.
La prima questione, quella giuridica, riguarda l'obbligatorietà delle prove e attiene a questioni di carattere normativo. L'accelerazione e la forzatura del percorso di applicazione della legge nelle sue componenti di più lunga e complessa applicazione e durata (le indicazioni curricolari) avviene attraverso "direttive" che, introducendo il concetto di obbligatorietà, confliggono apertamente con l'autonomia delle scuole e con l'auspicabile natura non censimentaria dei rilevamenti.
Appare infatti ovvio che, in regime di autonomia, l'Invalsi propone (non impone) le prove, le singole scuole deliberano o meno l'adesione. Se questo significa pregiudicare di fatto la totalità del campione (che è un'evidente contraddizione in termini!) pazienza: la valutazione di sistema non è un censimento di alcune (presunte) conoscenze o abilità degli studenti! A meno che un provvedimento legislativo apposito non preveda esplicitamente l'obbligatorietà delle prove e ammesso che superi il vaglio di compatibilità con la legge che garantisce e tutela l'autonomia scolastica.
Del resto, la stessa "mission" /"missione" dell'Invalsi "è la gestione del Servizio Nazionale di Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione, in collaborazione con le istituzioni scolastiche e formative e con le Regioni, le Province e i Comuni." E ancora: "La stretta collaborazione tra le scuole e l'INVALSI è condizione fondamentale per la realizzazione della mission sia delle scuole sia dell'Istituto." È evidente che la "collaborazione" non può essere fondata sulla mediazione impositiva (più o meno velata e garbata) del Ministero. La collaborazione deve invece fondarsi sulla condivisione e soprattutto sul reciproco rispetto fra i soggetti interessati. Se condivisione e rispetto non ci sono o sono venuti meno, vanno ricostruiti, ma nel frattempo non si può andare avanti, come se niente fosse e purché sia.
Qui sta il nodo di fondo che è a tutti gli effetti di credibilità scientifica e di reciproca fiducia professionale e non di schieramento, anche al di là delle questioni giuridiche. Oltre l'obbligatorietà, restano infatti problemi sostanziali, se possibile ancor più gravi.
La seconda questione, quella scientifica e professionale, non meno significativa, riguarda l'attendibilità e la pericolosità di "queste" prove (non di qualsiasi tipo di prova) e attiene a problemi di natura più propriamente disciplinare, pedagogica, docimologica.
Da questo punto di vista è giusto ribadire con forza le profonde preoccupazioni per una metodologia complessiva e per prove specifiche che si prefiggono "verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli allievi" (e qui è la legge 53 a palesare preoccupanti incongruenze) e identificano poi la "valutazione dell'apprendimento" (Direttiva, n. 56/2004) con l'accertamento più o meno attendibile di quelle sue componenti isolate. Tutto ciò, oltre a essere scientificamente assai discutibile, è soprattutto pericoloso: induce pratiche imitative e adattive al ribasso e rischia di vanificare gli sforzi per una continua riqualificazione delle finalità e delle metodologie della scuola. Già altri paesi hanno conosciuto e sofferto le devastanti conseguenze dell'adeguamento della progettazione educativa al superamento dei test!
Non sono quindi ingiustificate le opposizioni anche nette a queste procedure: la prima questione mette infatti a rischio l'autonomia delle scuole e il modo di intendere i nuovi rapporti fra le potestà diverse che concorrono oggi a costituire la "repubblica" e, al suo interno, il sistema scolastico; la seconda mette a rischio la natura e la qualità culturale dei processi di insegnamento/apprendimento. Non si tratta quindi di cose da poco, per cui possa valere un atteggiamento possibilista, ispirato alla logica del "meglio qualcosa, anche se imperfetto o se sbagliato, che nulla". Quando sono in ballo questioni così ampie e complesse le soluzioni semplicistiche possono risolvere qualche problema immediato ma rivelarsi a lungo andare fatali.
La scuola ha bisogno della diffusione capillare di una cultura seria della valutazione (a tutti i livelli), non di forzature strumentali delle autonomie culturali e professionali a sostegno di un iter legislativo contraddittorio.
A queste condizioni, chi rifiuta oggi "queste" prove proposte/imposte dall'Invalsi non rifiuta "la" valutazione di sistema, ma "questo" sistema di valutazione.

Ottobre 2005

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