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Manifesto: Religione via dagli scrutini. Il Tar del Lazio: non vale per i crediti formativi alla maturità

Accolti i ricorsi di alcune associazioni contro l'ordinanza Fioroni

12/08/2009
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il manifesto

Stefano Milani ROMA
Non c'è più religione, verrebbe da dire con una battutaccia. Ma in realtà è esattamente quello che ha deciso il Tar del Lazio che di fatto ha bloccato i docenti di religione cattolica a partecipare «a pieno titolo» agli scrutini e decidendo che il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico finale. Tanto basta perché oggi la scuola italiana possa definirsi po' più laica. E visto i tempi che corrono anche avanzare di un centimetro è come vincere una maratona. La questione è annosa, risale ai tempi in cui a sedere sulla poltrona più alta di viale Trastevere era il ministro Fioroni, che emanò alcune ordinanze ministeriali - avallate anche dall'attuale ministro Gelmini - per gli esami di Stato del 2007 e 2008 che prevedevano la valutazione della frequenza dell'insegnamento della religione cattolica ai fini della determinazione del credito scolastico, e la partecipazione «a pieno titolo» agli scrutini da parte degli insegnanti della materia.
Ci ha pensato ora una sentenza del Tar (n. 7076 del 17 luglio 2009) a riazzerare tutto, accogliendo due ricorsi presentati da alcuni studenti e studentesse insieme a numerose associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche. Secondo il giudice amministrativo «l'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica». A peggiorare la situazione sono intervenuti poi i recenti tagli al personale docente inferti del ministro «unico» Mariastella Gelmini, che hanno eliminato anche la più remota speranza di poter istituire corsi alternativi per carenza di insegnanti.
Oltre al merito della questione, la sentenza del Tar è importante soprattutto perché dà una concreta applicazione al principio supremo della laicità dello Stato enunciato dalla Corte Costituzionale (n.203/1989) come «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale», precisando che «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico». La scelta di avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica deve essere perciò assolutamente libera e in nessun modo condizionata.
La notizia fa felice tutte quelle associazioni coordinate dalla Consulta romana per la Laicità delle istituzioni e dall'associazione «per la Scuola della Repubblica» che da anni portano avanti questa «battaglia di civiltà» e che giudicano la sentenza «illuminante». Ad esse il Tar ha riconosciuto la richiesta di salvaguardia dei valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che «sono tutelati - secondo i giudici amministrativi del Lazio - direttamente dalla Costituzione e che quindi come tali non possono restare estranei all'alveo della tutela del giudice amministrativo».
Antonia Sani, tra le prime firmatarie del ricorso, non si accontenta e fa sapere che le associazioni e le confessioni delle altre religioni continueranno ad operare «per garantire il rispetto di tali limiti», auspicando che il ministero dell'Istruzione ora «prenda atto dell'illegittimità delle ordinanze e non le riproponga negli anni a venire». Consapevole che «la strada è ancora lunga» lancia già la prossima sfida: collocare l'ora di religione cattolica fuori dall'orario obbligatorio. Ovvero buttare giù quel concordato che dura da più di vent'anni. Era il 16 dicembre 1985 quando veniva emanato il Dpr 751, la storica intesa Falcucci-Poletti attuativa del nuovo regime concordatario per l'insegnamento della religione cattolica (Irc) nelle scuole statali e degli Enti locali.
E se una battaglia tira l'altra, sul piatto rimangono poi tutti quei privilegi esclusivi a chi insegna nella scuola pubblica il verbo di Gesù. Rimane, ad esempio, l'anomalia tutta italiana voluta nel 2003 dall'allora ministro Letizia Moratti che mise a busta paga dello Stato tutti gli insegnanti di religione, che sono scelti e nominati dalla Curia. E che se poi il Vescovato non rinnova l'incarico annuale a uno di loro, questi può accedere alle graduatorie per l'insegnamento di altre discipline, magari superando in punteggio colleghi entrati in ruolo per regolare concorso e non per nomina vescovile. Non proprio una prova di carità cristiana