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Mess.Veneto-La scuola in crisi

LA SCUOLA IN CRISI di FULVIO SALIMBENI La riflessione di un mese fa sulla crisi dell...

01/08/2005
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MessaggeroVeneto

LA SCUOLA IN CRISI
di FULVIO SALIMBENI


La riflessione di un mese fa sulla crisi della scuola sembra aver avuto un certo riscontro fra i lettori, che hanno sollecitato un altro intervento in una materia che è avvertita come decisiva e cui il giornale ha deciso di concedere ulteriore spazio.
Di questo spazio il mio criceto siberiano e io abbiamo deciso d'approfittare di nuovo. Ecco, quindi, quanto gli ho scritto al riguardo.
"Caro Jurij, rispettando il tuo desiderio di bestiolina riservata quale sei e lo dimostri ritirandoti nel tuo tubino quando ci sono ospiti, per non farti notare di non rendere pubblica la risposta alla mia lettera del 19 giugno, mi limito a ricapitolarne, con il tuo consenso, i termini essenziali: il tema incomincia a sollecitare una nuova e meno casuale attenzione dell'opinione pubblica, di autorevoli giornalisti e veri esperti la questione non può essere circoscritta all'ambito puramente scolastico, ma richiede un allargamento del discorso al contesto politico della nostra società il contributo che può dare l'università alla soluzione del problema. Sembrandomi d'aver esposto correttamente il succo del tuo pensiero vedo che approvi soddisfatto con il baffetto ritto, lieto che il tuo padrone una volta tanto t'abbia compreso subito , cercherò di rispondere in maniera esauriente".
"Quanto al primo punto, la reazione positiva al precedente articolo dimostra che ormai non solo gli insegnanti, che nella scuola vivono quotidianamente, ma anche genitori che hanno i figli in età scolare e semplici cittadini avvertono con crescente disagio a quale livello di degrado sia stato ridotto quello che un tempo era un vanto della nostra nazione in nome d'un malinteso e immotivato aggiornamento selvaggio, condotto sull'acriticamente accolto modello statunitense: no, Jurij, non sparirmi nella tana come fai quando senti discorsi che giustamente ti sconvolgono, si tratta solo d'un cenno e nulla più, preliminare a un richiamo motivato che farò tra breve. Ti sono riconoscente, a questo proposito, per avermi segnalato il "Contrappunto" di Riccardo Chiaberge nell'inserto culturale del "Sole 24 Ore" di domenica 26 giugno, intitolato "A scuola i tagli cominciano dall'italiano", nel quale, tra l'altro, si sferrava un giusto attacco alla pletora di pedagogisti ma si potrebbero aggiungere pure sociologi e psicologi che spadroneggiano nelle sale ministeriali, pontificando su tutto con un linguaggio astruso e delirante, che è proprio quello che io pure ti denunciavo, confortato dal consenso di non pochi amici e colleghi, del pari sensibili all'argomento, tra i quali uno dei nostri migliori specialisti di storia del cristianesimo. Edmondo Lupieri, infatti, uscito dai tanto deprecati licei d'un tempo che avranno avuto tanti difetti, ma ci fornivano almeno una solida preparazione culturale di base e non una semplice e schematica istruzione, come stolidamente si vorrebbe oggi e da un'università dove non si temeva d'infliggere agli studenti programmi poderosi, che oggi varrebbero per almeno tre corsi se non più, nella consapevolezza che la cultura non s'acquisisce per grazia ricevuta bensì mediante un diuturno sacrificio e un costante impegno, oltre a essere un fine interprete delle origini cristiane e un apprezzato autore, insieme con la consorte, di romanzi gialli, segue con attenzione le vicende della scuola e la letteratura sull'argomento ed è lui che m'ha donato una copia d'un vero e proprio cahier de doléance, che si legge tutto d'un fiato per il brio e la vivacità con cui è scritto e per la passione che lo anima, opera d'uno che l'argomento trattato, conoscendolo dall'interno e per vissuta esperienza personale, sa metterlo a fuoco con estrema precisione e senza remore. L'autore, che si firma con lo pseudonimo Porfirio Perboni forse tu non hai mai sentito parlare ancora del maestro Perboni del Cuore di De Amicis perché sei giovanissimo, ma il guaio è che sono molti gli studenti universitari (sottolineo universitari) che non lo hanno mai sentito nemmeno nominare, per quanto sia uno dei testi capitali sui quali s'è fatta l'Italia liberale postunitaria , ne L'elogio della perfetta indecenza. Come evitare di fare l'insegnante e vivere felici, che, pubblicato qualche tempo fa da una qualificata editrice romana, la Armando, è stato ristampato pochi mesi orsono, mette spietatamente a fuoco tutti i mali, le ipocrisie e demagogie che hanno contribuito ad affossare un'istituzione fondamentale per il ben vivere di un'ordinata repubblica".
"E con questo richiamo alla politica per favore, non irrigidirti subito, mettendoti sulla difensiva, perché qui parlo di quella Repubblica ideale della quale discettava Platone nei suoi memorabili dialoghi, non certo di quella che pomposamente viene definita la II repubblica e ch'è così mediocre da far rimpiangere la I, cui pure non si lesinavano motivati rilievi vengo all'altro tuo spunto, quella del rapporto con la società. Ed è ora che mi permetto di ritornare un attimo agli Usa, perché proprio da lì e questo ci mostra come sia ottuso certo antiamericanismo preconcetto, che fa d'ogni erba un fascio, senza riuscire a distinguere tra gruppi di potere politico e finanziario, che ormai sono quasi un tutt'uno, classi sociali, sette religiose fondamentaliste (non rimproverarmi con la zampina, come fai quando non ti dò i pinoli, pensando che sia diventato un adepto del verbo Fallaciano: mi riferisco ai fanatici evangelici, per nulla da meno di quelli islamici) e intellettuali liberi e libertari che viene una delle contestazioni più decise allo smantellamento del sistema educativo oggi imperversante. Noam Chomsky, infatti, di recente ha pubblicato un libretto, tanto agile quanto polemico e documentato, su Democrazia e istruzione, da noi tradotto nel 2004 da un'editrice di Roma, la Edup, in cui richiamandosi alla lezione dell'ormai obliato John Dewey, perché con le sue concezioni in materia di democrazia partecipata, costruita dal basso, coinvolgendo in modo attivo il popolo, disturba gli attuali reggitori della cosa pubblica di là e di qua dall'Atlantico denuncia con il consueto vigore la volontà perversa di trasformare la scuola in una mera azienda o agenzia per svuotarla della sua funzione educatrice nell'accezione pregnate del termine, così da farne uscire non dei cittadini dotati di senso critico e consapevoli dei propri diritti e doveri, non facile preda dell'imbonimento mediatico e propagandistico, bensì dei semplici consumatori, incapaci d'opporsi alle seduzioni della pubblicità, in particolare di quella del potere attraverso un sapiente uso delle relazioni pubbliche. Noto che adesso non dondoli più dalle sbarrette, perplesso per il riferimento al corso di laurea goriziano nel quale insegno, ma ti tranquillizzo, perché Relazioni pubbliche è stato ideato dalla mia università proprio per forgiare dei veri esperti in materia, capaci di smascherare le distorsioni della disciplina, come posso verificare da tante delle tesi alle cui discussioni assisto e delle quali poi mi senti ragionare quando torno a casa e mentre la padroncina ti passa quei pinoli che tanto apprezzi. A ciò l'illustre studioso nordamericano aggiunge la liquidazione della scuola pubblica a tutto vantaggio di quella privata, il che mira a privilegiare i ceti abbienti, che possono permettersi di pagare rette altissime, estromettendo quelli meno dotati dal punto di vista economico e che costituiscono la maggioranza della popolazione, in questo modo favorendo l'esplicito progetto di ridimensionare la democrazia, riducendola a una dimensione meramente procedurale, mentre il potere decisionale effettivo viene concentrandosi sempre più in una ristretta oligarchia e aristocrazia, se tale può essere definita, del denaro, divenuto ormai misura unica del valore individuale. E ciò, come tu stesso sai, ascoltando la televisione e sentendo le nostre discussioni, poiché la tua gabbietta è nel soggiorno, sta avvenendo pure da noi, servilmente prostrati verso tutto quello che sappia d'America, grazie a chi, sgovernandoci da Arcore, vuol far passare quanto prima una tale idea d'istruzione-distruzione del senso civile, poco funzionale ai suoi progetti cesaristici".
"Garantendo che ti darò dei biscotti per risollevarti il morale, veniamo all'ultima questione da te posta, precisando che intendo riprendere l'argomento in maniera distesa in una terza lettera. Che può fare l'università di fronte a una simile realtà? Trattandosi di un'istituzione nella quale studiano giovani maggiorenni, al cui senso di responsabilità è giusto fare appello, credo si possa e debba rivolgersi loro con schiettezza, spiegando che la facilitazione indiscriminata dei piani di studio, la riduzione drastica dei programmi, la promozione facile agli esami, la moltiplicazione di moduli e la frammentazione dei corsi a nuclei orari risibili non è a loro sostanziale vantaggio, né li aiuta a prepararsi veramente alle difficoltà con le quali dovranno misurarsi una volta laureati, ma li predispone a divenire una massa di manovra facilmente manipolabile e dei cittadini solo di nome, certo non di fatto. Posto ch'è in un tale sistema e secondo tali modalità che si formano anche i futuri insegnanti, è facile dedurne quale sarà, proseguendo su quest'assurda rotta, il futuro della nostra scuola e, quindi, della nostra società".
"Topolino mio, dalla tua fuga nel tubino per non essere costretto a sorbirti la descrizione d'un simile inquietante scenario comprendo che ho superato i tuoi sacrosanti limiti di pazienza e, pertanto, ti saluto e, per farmi perdonare, ti lascio un pezzetto di mela, della quale sei sempre ghiotto. Buona notte, Jurij".