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Repubblica-Bari-L'Università e i vecchi mali da risolvere

IL DIBATTITO L'Università e i vecchi mali da risolvere BARTOLO ANGLANI L'ARTICOLO dell'amico e collega Ferdinando Pappalardo su Repubblica riapre la questione se i mali attuali dell'Univer...

02/08/2005
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la Repubblica

IL DIBATTITO
L'Università e i vecchi mali da risolvere
BARTOLO ANGLANI
L'ARTICOLO dell'amico e collega Ferdinando Pappalardo su Repubblica riapre la questione se i mali attuali dell'Università (e di quella di Bari in particolare) siano il frutto di comportamenti scorretti da parte di singoli, magari uniti in cordate, o il prodotto di leggi e regolamenti sbagliati. Io, pur sapendo bene che esistono individui e camarille particolarmente inclini al male, resto convinto che il problema deve essere affrontato dentro il quadro generale entro cui quei comportamenti si manifestano. Altrimenti si cade nell'illusione pericolosa che sostituendo uomini più onesti a uomini meno onesti tutto andrà per il meglio. Il male che affligge l'università italiana non è un male oscuro ma trova la propria genesi nelle 'riforme' dalle quali essa è stata investita nel recente passato.
È vero, ad esempio, che la proliferazione di corsi e corsicini discende da una interpretazione un po' maliziosa che alcuni hanno fatto della cosiddetta "autonomia". Ma io mi permetto di ricordare che tale proliferazione è figlia della sconsiderata parola d'ordine della "concorrenza" tra le università e della "aziendalizzazione" delle stesse, che ha trasformato il triennio in un corso già professionalizzante. Lo Stato prima istiga le facoltà, se vogliono sopravvivere, a concorrere con le altre a botte di offerte degne di Dulcamara, e poi le sgrida per aver aperto troppi corsi e aver dato troppi contratti.

Si moltiplicano le "offerte formative", le più disparate e immaginose, perché ogni facoltà si trova costretta a differenziarsi dalle altre ed a promettere mirabolanti titoli di studio che dovrebbero sospingere il neolaureato sulla soglia del mercato del lavoro. Si tratta in realtà di una truffa legalizzata, alla quale concorrono in egual misura onesti e disonesti, perché non è previsto altro modo per far sopravvivere le facoltà. Ma credo che, pur senza toccare la formula 3+2, si potrebbe attribuire al triennio un valore formativo più generale, identico in tutta Italia, attraverso la delineazione di pochi modelli, rinviando la specializzazione vera e propria al biennio.
Il sistema attuale dei concorsi costituisce anch'esso uno stimolo potentissimo alla corruzione. Tutti i moralizzatori sanno che nemmeno Savonarola sarebbe in grado di partecipare a una commissione di concorso senza commettere qualche porcheria ma se è la legge ad autorizzare il furto, bisogna cambiare la legge invece di gridare al ladro. Per esempio distinguendo i fondi destinati all'assunzione di giovani da quelli destinati alle carriere dei docenti, per evitare le guerre tra poveri che hanno caratterizzato gli ultimi anni. Occorrerebbe incoraggiare la mobilità e, tanto per cominciare, negare ai dottori di ricerca la possibilità di intraprendere la carriera nella stessa università in cui hanno studiato. In America si fa così. Si dovrebbe garantire agli associati la progressione ad ordinari in séguito a giudizi equi sulla produzione scientifica emessi da commissioni esterne, e non più attraverso i concorsi, perché non è giusto (ed è fattore di corruzione) che l'associato dell'Università X possa diventare ordinario perché a X ci sono i fondi per bandire un concorso mentre l'associato dell'università Y, benché provvisto di titoli di analogo valore, rimane indietro perché non 'trova' i fondi necessari per bandirsi la cattedra.
Un altro potente fattore di corruzione è dato dal fatto che le facoltà, tramite i commissari interni, sono interessate a promuovere candidati che già lavorano nella sede, perché la eventuale vittoria di un candidato esterno implica una spesa aggiuntiva che non viene coperta da entrate aggiuntive: e così via. Insomma, il sistema dell'Università italiana è congegnato in modo da favorire questi mali. Quando poi in questo sistema certe Università cominciano a provare i colpi della concorrenza ed a sentirsi emarginate nel contesto nazionale, tali processi diventano più intricati e ingovernabili. Purtroppo la lettura dei documenti che il partito dei Ds ha steso, in previsione di una prossima vittoria elettorale, lascia pensare che quand'anche il governo cambiasse nulla sarà fatto per riparare questa situazione. Inutile dunque strapparsi i capelli e gridare al ladro, finché il mondo dell'Università non riprenderà nelle sue mani almeno la capacità di discutere di se stesso, invece di farsi piombare dall'alto una 'riforma' come quella che abbiamo subìto.
(l'autore è ordinario di Letterature comparate nella facoltà di Lingue a Bari)