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Repubblica/Bologna: Giovani e precariato tra realtà e pregiudizi

UNIVERSITÀ

14/11/2007
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la Repubblica

GILIBERTO CAPANO
GIOVANI ricercatori, precariato e università: una questione delicata che, molto spesso, viene affrontata o in modo strumentale ovvero senza la minima contestualizzazione. Credo che, per uscire dalla retorica dei "cervelli in fuga" e del "precariato", si debba partire da alcuni dati quantitativi. L´Italia è un paese che ha 3 ricercatori ogni 1000 occupati (la metà rispetto alla media UE) e questo a causa non solo delle scarse possibilità che l´università e gli enti di ricerca pubblici hanno di assumere ricercatori, ma anche per il notevole sottodimensionamento della ricerca privata.
In questo contesto generale di sottofinanziamento, merita osservare come, nel corso degli ultimi anni, sia consistentemente aumentato il numero degli aspiranti ricercatori. A questo proposito è interessante la serie dei dati relativi al numero di giovani che hanno ottenuto il titolo di dottore di ricerca negli ultimi anni: 2900 nel 1998, 4139 nel 2002, quasi 10.000 nel 2005. Questo dato corrisponde al progressivo allargamento delle ammissioni al dottorato. Se, infatti, generalmente, negli anni Novanta accedevano ai programmi di dottorato circa 4500 laureati all´anno, negli ultimi anni il numero degli ammessi è di circa 12/13000. A fronte di questi numeri, il sistema universitario, che pure ha aumentato negli ultimi anni il personale docente e ricercatore del 20%, può pochissimo. Nel periodo 1999-2006, a fronte dei 55mila dottori di ricerca prodotti, sono stati banditi circa 17mila posti da ricercatore (molti rispetto al decennio precedente), per una media di circa 2000 all´anno. Ma, come abbiamo visto, nel prossimo futuro, avremo più di 10.000 dottori di ricerca all´anno.
Il declamato svecchiamento a causa dei limiti di età, annunciato per i prossimi anni, poco potrà fare di fronte a questi dati: tra il 2006 e il 2016 andranno in pensione circa 17.000 docenti, ma noi avremo prodotto almeno 100.000 dottori di ricerca. Questi dati ci dicono che con le attuali risorse finanziarie il nostro sistema universitario potrà assorbire, se andrà bene, non più del 20% dei dottori di ricerca.

Se non accadrà qualcosa a livello sistemico (più risorse pubbliche in università, più risorse private in ricerca), la gran parte dei dottori di ricerca dovrà necessariamente orientarsi verso altre professioni. Il che, intendiamoci, non sarebbe affatto un male: nei paesi più avanzati il dottorato non è considerato solo lo stadio iniziale della formazione del ricercatore, ma anche il terzo livello formativo. Anche qui, però, come al solito, siamo indietro: il dottorato nel nostro ordinamento è concepito come un titolo meramente accademico e non viene considerato come requisito formativo qualificante né del sistema economico né delle pubbliche amministrazioni. Fra l´altro, il doveroso allargamento del reclutamento nei dottorati aumenta la possibilità che una certa parte dei dottori di ricerca conseguano un´ottima formazione disciplinare ma non diventino eccellenti giovani ricercatori. Insomma: l´ampliamento dell´accesso al dottorato ha come effetto, evidentemente, l´abbassamento della qualità media dei dottori di ricerca.
Di fronte a tutto questo, pare normale che chi non vede, ragionevolmente, possibilità di trovare una posizione stabile in Italia cerchi di andare all´estero, come è normale che si possa decidere, una volta conseguito il dottorato e magari avendo fatto qualche successiva esperienza di ricerca, di mettersi sul mercato del lavoro, riorientando le proprie preferenze. Pare meno normale che si possa rivendicare, per il solo fatto di essere dottori di ricerca ovvero assegnisti, il diritto a una posizione stabile. Avere conseguito un titolo di terzo livello e fatto esperienze ulteriori di ricerca rappresenta comunque un ottimo atout professionale. Dal canto loro le università, e i professori, dovrebbero essere capaci di investire le scarse risorse a disposizione in base a criteri meritocratici, reclutando i migliori (quindi non necessariamente quelli che hanno fatto il dottorato in casa) cercando, responsabilmente, di non illudere la schiera degli aspiranti ricercatori rispetto al futuro.
giliberto capano