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Repubblica/Bologna: Qualche idea per svecchiare l´università

gianfranco pasquino

27/01/2007
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la Repubblica

LA SCOPERTA che persino l´Università di Bologna ha, non soltanto problemi di finanziamenti, nel complesso facilmente reperibili, con un po´ di impegno, ma anche problemi di funzionamento e di rinnovamento, non dovrebbe giungere inaspettata. Alcuni problemi sono risolvibili in sede locale, magari dopo avere fatto una piccola autocritica da parte dei professori, dei presidi, del Senato accademico (rappresentanti degli studenti compresi) e del Rettore. Altri necessitano di una prospettiva e di una soluzione nazionale. Per quanto riguarda i problemi risolvibili in sede locale, farei due osservazioni. La prima riguarda la possibilità di reperire fondi dai privati sia per l´istituzione di alcune cattedre su materie particolarmente importanti sia su progetti formulati in maniera attraente e innovativa sui quali potrebbero lavorare pro tempore molti giovani ricercatori che desiderano, anche per dimostrare quanto valgono, un compito gratificante piuttosto che un "posto" a vita. Non mi pare che questa strada sia stata esplorata con impegno e convinzione. Si è, invece, proceduto ad un reclutamento smodato di docenti, in special modo per le cosiddette "fasce alte", senza avere una visione complessiva e lungimirante di sviluppo, delle singole Facoltà e dell´Ateneo in generale, con conseguenze che definirò scriteriate

La seconda osservazione riguarda i fondi per la ricerca individuale. Per ragioni che mi sfuggono da qualche anno a questa parte ho notato un pericoloso slittamento di tempi (e di modalità). In un primo periodo, i fondi venivano assegnati, sulla base delle pubblicazioni individuali, entro giugno; poi si è passati a settembre; poi a novembre. Quest´anno non ho ancora ricevuto notizia delle avvenute assegnazioni, che peraltro riguardano l´anno 2006, con il rischio che qualcuno pensi di farci saltare un anno (ovvero il 2007) di fondi. Ho anche appreso che le nostre pubblicazioni non avranno una valutazione individuale con conseguente graduatoria, ma che siamo stati inseriti in fasce dove un docente che abbia scritto molto e pubblicato presso case editrici di prestigio finirà per trovarsi in compagnia, con la stessa assegnazione di fondi, con chi ha scritto un po´ meno e che avrebbe, con le regole degli anni passati, ottenuto meno. Tuttavia, quello che davvero non va, come mi è stato fatto notare da Vera Zamagni, è che questi fondi sono distribuiti comunque un po´ a tutti, anche a chi ha fatto poco e persino nulla, e non danno nessuno incentivo alla formazione di gruppi di eccellenza fra studiosi (e, incidentalmente, neppure ai Master di eccellenza che il Rettore, al contrario, "tassa" con qualche esosità eccessiva). Fin qui le problematiche locali.
Quanto al problema del ricambio e del rinnovamento, sarebbe stato il caso che Presidi e Rettore vi avessero pensato per tempo, autorizzando un numero minore di concorsi accuratamente selezionati per le fasce alte. Adesso, la soluzione non può che essere nazionale e quindi demandata al Ministro Mussi. Fortunatamente, nella riforma dell´impiego pubblico/Pubblica Amministrazione sembrano esistere alcune premesse potenzialmente migliorative. La mia proposta è che, a cominciare da Bologna, il Rettore proceda rapidamente a formare una Commissione di valutazione delle prestazioni in termini di pubblicazioni e di qualità dell´insegnamento per tutti i docenti ordinari e associati. Sulla base degli esiti, tutti coloro che risultassero al di sotto di un minimo, che dovrà essere fissato ad un livello qualitativamente elevato, qualora abbiano maturati i requisiti per andare in pensione, verranno pubblicamente incentivati a lasciare il posto.
Risultebbero in questo modo liberate molte risorse e aperte molte opportunità per il reclutamento, selezionato e oculato, di giovani ricercatori. Incidentalmente, le carriere dei "giovani" sono oggi più lunghe per almeno due ragioni. Primo, gli studenti si laureano mediamente (ma qui attendo le cifre esatte che vorrà fornire Andrea Cammelli) più tardi, verso i 26-28 anni e più, dei loro predecessori di venti-trent´anni fa. Secondo, fra laurea specialistica, master e dottorato, è improbabile che i laureati bravi riescano ad entrare in carriera prima dei trenta-trentacinque e che, quindi, arrivino alla qualifica di ordinari prima dei quarant´anni. Se in questo modo diventano davvero meglio preparati dei loro predecessori: nessun spreco; anzi, tanto di guadagnato per la ricerca e per l´Università. Sono consapevole che la mia proposta di svecchiamento è drastica. Se ci sono alternative migliori, sono disponibile a discuterne. Nel frattempo, sentiamo che cosa ne pensano il Rettore Calzolari e il Ministro Mussi.