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Repubblica-Palermo-La famiglia si difende dalla scuola

LE IDEE La famiglia si difende dalla scuola MAURIZIO BARBATO Forse non tutti sanno che il numero chiuso già esiste nelle scuole superiori. Se è vero che la tentazione di contingentare gli acce...

26/11/2005
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la Repubblica

LE IDEE
La famiglia si difende dalla scuola
MAURIZIO BARBATO
Forse non tutti sanno che il numero chiuso già esiste nelle scuole superiori. Se è vero che la tentazione di contingentare gli accessi serpeggia tra presidi e docenti, come risposta malthusiana al boom delle iscrizione nei licei, è bene sapere che già ora non tutta l'offerta formativa è aperta a tutti gli studenti.
Nella Scuola dei Progetti (così è più esatto chiamare, piaccia o no, quella che una volta era detta con un hopefull thinking "scuola dell'autonomia"), i corsi progettuali finanziati dallo Stato, dalle regioni o dall'Europa sono, nella realtà dell'esperienza quotidiana, di tre tipi. Vi sono i progetti utili: quelli che effettivamente trasferiscono qualche competenza precisa, l'alfabetizzazione informatica, le lingue straniere, l'educazione alimentare o sessuale, e simili. I progetti velleitari, che puntano a trasmettere comportamenti sani, come le varie educazioni civiche (alla legalità, etc): i quali, velleitariamente appunto, poggiano su una specie di intellettualismo etico di tipo socratico rivisitato, secondo cui "commette il male solo chi non conosce il bene", quasi che un pacchetto di ore fosse ciò che è richiesto per indurre condotte virtuose e socialmente costruttive. Vi sono in ultimo i progetti inutili (o dannosi).
Per esempio tutti i blabla attitudinali, quali "l'apprendimento ad apprendere", la versatilità al lavoro flessibile, oppure l'orientamento sulla base della conoscenza delle proprie motivazioni. Ebbene, siccome utile e inutile sono facilmente distinguibili anche dai giovani e i progetti più ambiti sono quelli utili, nasce la necessità di limitarne la frequenza. Da cui il numero chiuso. Se non tutti, quasi, i progetti utili portano un tetto massimo di iscrizioni. Quasi si trattasse di master e dottorati di ricerca
Anche a Palermo, dicono i dati, da qualche tempo è in corso un'impennata verticale delle iscrizioni nei licei, mentre calano tecnici e professionali. Vi sono licei che hanno più o meno raddoppiato in questi anni gli iscritti e aprono succursali. Lo stress si abbatte sulle strutture già inadeguate prima, e che ora cominciano a versare in una permanente precarietà. E si risente anche nella qualità dell'insegnamento: studenti, non sempre motivati, abbassano il livello e la scuola reagisce, con immutabile demagogia, adattando al ribasso gli standard effettivi di preparazione richiesti. In ogni occasione si sentono le lamentele di docenti liceali: che hanno completato solo una parte del programma degli anni pretendenti, e l'hanno svolto più superficialmente.
Le cause di questa ipertrofia liceale sono riconosciute da tutti. Si parla di una risposta (passiva) al previsto svuotamento di specificità che subiranno con la riforma scolastica i tecnici (che diventano licei tecnici) e i professionali (che passeranno nel marasma della formazione professionale regionale). Ma vi è un'altra causa probabile, che non viene ripetuta altrettanto volentieri. Ed è che studenti e famiglie cercano di mettersi al riparo, come possono, dalla deriva pseudomodernizzante e sperimentalistica che ha catturato la scuola di questi tempi. L'aumento di iscrizione nei licei, a sentire le voci vive e i commenti reali, si ha l'impressione che sia un fragoroso e impotente "No" opposto a quello che sta succedendo nella scuola da molti anni a questa parte (e ben prima della Moratti). Nella scuola arriva ormai tutto e il contrario di tutto, ogni scusa è buona - detto rozzamente - tra progetti arditi e campagne umanitarie, per trascurare la lezione in classe e lo studio a casa. La scuola diventa il terreno aperto delle più spericolate scorribande delle agenzie più diverse accreditate da poteri esterni, lontani. I genitori lo sanno, e sperano nei licei, visti come gli istituti, di tutti, i più simili alla scuola tradizionale, dove si studiavano meno cose - gli oggi deprecati contenuti delle materie - ma precise e basilari. E dove, soprattutto, gli studenti erano indotti, bene o male, a concentrare le loro intelligenze nella disciplina dello studio, anziché disperdersi nella superficialità dell'informazione.
Date le premesse, non è impossibile che anche a Palermo qualche preside manager e qualche collegio dei docenti avventuriero vogliano sperimentare il numero chiuso. Sarebbe una sciagura tra le tante: quindi è probabile. Un comodo adattamento tra la Scilla delle richieste della scuola di massa e la Cariddi delle necessità della scuola azienda, competitor sul mercato dell'istruzione.
Il numero chiuso è supremamente iniquo, perché ferisce la speranza, il sacrosanto diritto a provare. Presceglie chi ha diritto a studiare sulla base di ciò che lo studente ha già appreso dalle famiglie e dalle scuole di provenienza destinategli in sorte. Elimina in base a ciò che non si è appreso nelle famiglie e nelle scuole di provenienza destinate dalla sorte. Ma soprattutto è una violazione del principio di responsabilità formativa. Il numero chiuso, ovunque si applichi, anche all'Università, impedisce brutalmente che entrino i soprannumerari, quando giustizia e responsabilità imporrebbe ai luoghi dell'istruzione di autoequilibrarsi attraverso la valorizzazione nel corso degli studi dei meritevoli e capaci.
Tenere aperti gli accessi e poi regolarli con la qualità degli studi, sarebbe la giusta risposta all'assalto ai licei da parte di studenti con vocazioni e attitudini diverse. Invece il numero chiuso predilige la soluzione più comoda: limitare gli accessi e poi tenere bassi i livelli per chi è dentro. Leggi e regolamenti penalizzano le scuole piccole e le classi poco numerose accorpandole o abolendole. La cosiddetta competizione tra le scuole incoraggia tra i presidi il gigantismo, dimenticando che scuole e classi dovrebbero avere un limite massimo (e non solo un limite quantitativo minimo). Il numero chiuso scioglie il dilemma, perché permette di risolvere il sovraffollamento senza rischio di perdere gli iscritti che già ci sono e senza bisogno di ciò che oggi, nella Scuola dei Progetti, è solo una perdita di tempo: lo sforzo per l'alta qualità di tutti i giorni.
Con le burocrazie e i tecnicismi più illusionistici, questa scuola sta rovesciando gli ideali della scuola unica. Voleva essere la scuola delle pari opportunità aperte a tutti e delle garanzie ai meritevoli e capaci, uno degli strumenti con cui la Repubblica tentasse di moderare gli spiriti animali della società. Andiamo verso una scuola fotocopia della società: privilegio ed esclusione. E il numero chiuso riflette i tempi. Poi verranno i fuochi delle tante banlieu in cui la società si frammenta.