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Repubblica-Palermo-LA fuga dei docenti

LA FUGA DEI DOCENTI MAURIZIO MURAGLIA Chi fa l'insegnante sa bene che è difficile trovare in giro persone che non abbiano magari un familiare o un parente insegnante, disponibili non dico ...

31/05/2005
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la Repubblica

LA FUGA DEI DOCENTI
MAURIZIO MURAGLIA
Chi fa l'insegnante sa bene che è difficile trovare in giro persone che non abbiano magari un familiare o un parente insegnante, disponibili non dico a condividere ma almeno a comprendere lo stress da professione docente. L'immaginario sociale sugli insegnanti infatti appare più incline a sottolineare alcuni vantaggi della professione, legati alle vacanze estive, natalizie, pasquali, o al giorno libero o ancora alle diciotto ore di lezione.
Che lascerebbero, nell'arco delle 36 ore mattutine settimanali, un 50 per cento di libertà rispetto al quale lamentarsi eccessivamente può apparire a qualcuno persino scandaloso.
Eppure, come segnalava domenica Repubblica, gli insegnanti fuggono e cercano la pensione. C'è evidentemente qualcosa che va approfondito da parte di chi vuol capirci qualcosa di questo mestiere. Da quando insegno, e sono ormai quasi vent'anni, ho tratto sempre una certa inquietudine da questa strana condizione di libertà e schiavitù che connota il mio lavoro, da questa inestricabile commistione tra condizione impiegatizia e dimensione intellettuale che colora le mie giornate. Mi ha sempre imbarazzato quel tacito patto di cui, sempre domenica, parlava su questo giornale Augusto Cavadi, per il quale sono stato costretto a barattare le mie libertà con uno stipendio basso e con una condizione del tutto avalutata della mia professione. Non so in quante professioni sia così difficile come nella nostra capire se si sia bravi o meno. Non ci sono indicatori oggettivi. Lo stesso gradimento della cosiddetta "utenza" è un parametro discutibile. I ragazzi possono essere contenti di due insegnanti diversi per motivi che - se appena si osservasse come i due docenti lavorano - si capirebbero subito.
Faccio fatica a non ricordare come la scontentezza dei docenti italiani risalga a molto prima di questa stagione morattiana. Convengo con chi sostiene che questa riforma abbia potuto far la parte della goccia e che invece sarebbe stato bene da parte di questo governo provare a svuotare pian piano il vaso colmo. Ma il vaso era colmo già da tanto tempo e pochi si sono veramente preoccupati di comprendere la questione di fondo della professione e metter mano a una riscrittura dello stato giuridico degli insegnanti. Solo i contratti dicono qualcosa della professione docente, ma non ho mai creduto che il sindacato possa cogliere la questione di fondo del lavoro docente in tutta la sua complessità. Il sindacato fa il suo mestiere e coglie della professione gli aspetti legati all'organizzazione del lavoro. Ad altri enti spetterebbe cogliere la dimensione intellettuale. Ma i docenti raramente considerano questi enti un riferimento, mentre gli uffici sindacali sono ben più popolati.
Il recente libro di Paola Mastrocola "La scuola raccontata al mio cane" rappresenta la scuola come un luogo da cui fuggire e dà la colpa a tutte le innovazioni degli ultimi anni. Sintomaticamente alcuni miei colleghi mi hanno esortato a leggerlo, con un certo entusiasmo. Anch'io raccomando di leggerlo per capire bene cosa non dovrebbe essere un insegnante. Una studiosa che, pur non essendo anzianissima, non fa altro che rimpiangere i bei tempi in cui il suo professore declamava ispirato la letteratura in classe senza neppure rivolgere uno sguardo agli studenti, è destinata a non comprendere non dico cosa è diventata la scuola oggi, ma come oggi sono i ragazzi e come si riconfigurano i saperi.
Non riesco a esser convinto che le riforme ministeriali abbiano il potere di determinare l'impossibilità di riuscire a fare una scuola che appaia sensata e vitale e che sia destinata a studenti reali, non vagheggiati. E non riesco a convincermene per il semplice fatto che questa scuola sensata e vitale esiste eccome, dalle elementari alle superiori, se solo si ha voglia di andare in giro per le scuole e documentarsi. Così come esistono docenti alle soglie dei sessant'anni che si guardano bene dal fare la domanda di pensione per il semplice fatto che la loro passione per l'insegnamento risulta relativamente scalfibile dai decreti legislativi e dalle circolari ministeriali.
Riterrei pertanto di rimettere all'ordine del giorno la questione che Augusto Cavadi sollevava nel suo prezioso articolo di domenica. Si tratta di una questione che può essere sempre rimessa all'ordine del giorno perché nessuna riforma può impedirlo. Riusciamo a insegnare le discipline della mattina in maniera da rendere significativa l'esperienza scolastica dei nostri bambini e dei nostri ragazzi? È possibile intraprendere percorsi di riflessione condivisa che riescano a ragionare su che vuol dire fare italiano, storia, matematica, scienze ai nostri giovani? Non hanno risorse i Collegi dei docenti per mettere al lavoro gli insegnanti su queste cose? È proprio necessario fare la scuola dei progetti anziché mettere mano al progetto della scuola? Non potremmo ripartire da queste cose soltanto mettendo a frutto l'articolo 6 (autonomia di ricerca, sperimentazione, sviluppo) del regolamento dell'autonomia che non attende approvazioni ministeriali?
Non riesco a immaginare un insegnante che vuol fuggire dalla scuola avendo la maggior parte dei suoi alunni bravi. Non è arrivato il momento di dirsi che la questione docente è in fondo la questione dell'insuccesso degli studenti? Ed è così scontato, come sostiene la Mastrocola, che l'idiosincrasia dei nostri studenti alle fatiche scolastiche sia tutta determinata dalle innovazioni psicopedagogiche e dalle riforme politiche? Non vanno prese in considerazioni variabili di ordine sociologico, psicologico, pedagogico, finanche didattico? È possibile mettere in campo una discussione che sia realmente sistemica e affronti tutti i corni del dilemma? Una professione che per statuto non può non ragionare in termini di complessità potrà mai abdicare alla complessità quando ragiona di se stessa? E ridurre ogni aspetto della questione alle fumate bianche o nere di viale Trastevere?
Maurizio Muraglia