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Repubblica-Palermo-La stagione difficile dei docenti di religione

La stagione difficile dei docenti di religione AUGUSTO CAVADI Se il quadro è realistico, b...

02/09/2005
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la Repubblica

La stagione difficile dei docenti di religione
AUGUSTO CAVADI


Se il quadro è realistico, bisogna avere l'onestà di riformulare i dati di partenza: prima ancora di contare quanti chiedono l'esonero dall'ora di religione, va riconosciuto che la quasi totalità degli alunni - di fatto - non ne fruisce. I dirigenti scolastici lo sanno ma non lo dichiarano a voce alta perché non si ritengono responsabili a pieno titolo in questo ambito e perché temono di infastidire gli "uffici catechistici" delle curie vescovili, i quali - da parte loro - ne sono tanto consapevoli da cercare in cento modi di correre ai ripari (corsi di preparazione all'insegnamento, convegni obbligatori di aggiornamento &).
Ma il fallimento storico dell'insegnamento della religione è davvero una faccenda interna alla Chiesa cattolica? Se - come prescrivono a tutt'oggi i programmi ufficiali - si tratta dell'insegnamento della religione cattolica, la risposta è affermativa. In questa ipotesi non resta che attendere gli sviluppi inesorabili e registrare l'estinzione di fatto di questa anomala materia scolastica. Quando sarà il 90% della popolazione scolastica a evitare l'ora di religione, la verità effettiva diventerà palese. Se invece - come vuole la prassi degli insegnanti più illuminati (e, guarda caso, anche più entusiasticamente seguiti dagli studenti) - si modificasse la struttura dei programmi, trasformando l'ora attuale in "storia delle religioni", si andrebbe verso una soluzione radicalmente costruttiva. Dappertutto, in Sicilia in particolare, una conoscenza solida, elementare ma rigorosa, dell'Ebraismo, del Cristianesimo (in tutte le sue molteplici confessioni: cattolica, ortodossa, protestante, anglicana) e dell'Islamismo sarebbe davvero provvidenziale. La scuola ne trarrebbe vantaggi enormi: sia in funzione dell'approfondimento di altre aree disciplinari (la storia, la filosofia, l'arte, le letterature greca, latina, italiana e straniere&) sia in ordine alla formazione civica dei cittadini di un'isola crocevia di immigrazione e, più in generale, di un pianeta globalizzato.
È ovvio che, in questa ipotesi pedagogico-didattica, lo Stato laico dovrebbe riappropriarsi del diritto-dovere di scegliere gli insegnanti della "storia delle religioni" con meccanismi pubblici del tutto identici rispetto alla matematica o all'educazione fisica. Ed è altrettanto ovvio che tali insegnanti, assunti esclusivamente sulla base delle competenze certificabili, non avrebbero alcun interesse istituzionale a convertire gli alunni, più di quanto ne possa avere un docente attuale di filosofia per convincere ad abbracciare il kantismo piuttosto che l'hegelismo. Essi sarebbero a servizio della consapevolezza critica di ogni alunno: affinché il cattolico possa, esattamente come il musulmano, sapere che cosa gli propone la sua religione e scegliere di conseguenza. Anche il ragazzo educato ateisticamente avrebbe, in questa impostazione scolastica, la possibilità di aprirsi a prospettive diverse rispetto ai condizionamenti familiari o di restare ateo ma per scelta personale. Per la Chiesa cattolica sarebbe, nell'immediato, una perdita di potere ma, come la storia insegna, anche un'occasione per fare spazio alla ricerca della verità nella libertà. Dunque, in ultima analisi, un'opportunità in più per ciò che le dovrebbe stare più a cuore del suo stesso potere: l'effettiva crescita - insieme alla coscienza dell'umanità - dei valori evangelici annunziati da Gesù di Nazareth. Ne guadagnerebbero, insomma, la laicità dello Stato e la vitalità delle diverse comunità religiose (non solo cristiane): troppi vantaggi per sperare che la politica scolastica si incammini in questa direzione entro i prossimi mille anni.