Unità: Non rinasce la città degli studenti aquilani
Il Rettore: abbiamo affittato edifici e capannoni, ma mancano gli alloggi Don Epicoco: «Il potere cerca l’audience». Sparito il sussidio ai disoccupati
Marco Bucciantini
C'è un dente cariato nella bocca spalancata dell’Aquila: è quel gruppo di case colorate e gioviali, quel paese nuovo che riceve da ieri 94 famiglie. Vendute come uno splendido sorriso, quelle case sono un quadro. Ma la parete è vuota. L’economia è ferma. I centri storici - che sono l’urgenza delle comunità locali che vogliono tornare a sentirsi tali - sono ammassi di pietre e ferri e tavole. Le gru stanno a guardare. Ci sono 15 mila persone senza lavoro. E 27 mila ragazzi e ragazze che aspettano di sapere se potranno studiare all’Aquila. L’accusa del rettore Ferdinando Di Iorio è precisa: «Abbiamo fatto il massimo per garantire la riapertura di ogni Facoltà e di tutti i corsi di laurea. Abbiamo affittato edifici e perfino i capannoni industriali per tenere le lezioni. Ma non sappiamo dove far dormire gli studenti». Sarebbe compito della Regione e dell’azienda del diritto allo studio. Il rettore già a giugno aveva chiesto di provvedere, si scontrò con Bertolaso, proprietario degli spazi aquilani: «La Protezione Civile si è appropriata del territorio. Ha una visione dell’occupazione degli spazi che definirei inquietante». Di Iorio ha un rimpianto: «La scuola della finanza a Coppito. Poteva servire da casa dello studente ma...»,maci stanno gli sfollati, che dovevano essere accasati, e le case sono in ritardo.
Dietro il set televisivo c’è un’occasione sprecata: «Ho migliaia di richieste d'iscrizione ai corsi vincolate alla possibilità di avere dei posti letto. L’Università è la realtà più viva del territorio, l’economia si basava sui 27 mila studenti, la metà dei quali fuorisede ». Quanto accade è simbolico: «Hanno reclamizzato la donazione della casa dello studente fatta dalla Lombardia e dalla Curia, bene, grazie, 100 posti letto, che show, ma saranno pronti fra due anni e adesso, subito, ne servirebbero 4 mila». Quelli di Coppito, per essere chiari. Fra gli studenti italiani era scattata la simpatia per questa terra straziata e Medicina aveva fatto registrare il record di iscritti al concorso d’ammissione. «Chi ha passato l’esame nicchia: vuole pernottare vicino alla Facoltà». Per rassicurarli, il rettoratoha affittato lo stabile della scuola allievi della Telecom, chiusa dopo il terremoto, e l’ha “donata” all’azienda per il diritto allo studio. Intorno al quadro dunque c’è una città seppellita. «Il potere ha bisogno di sistemare le famiglie in questi alloggi, perché questo fa audience. Ma l’alloggio e la casa non sono la stessa cosa. La casa è più di un tetto. È un gioco di relazioni sociali », lo dice il prete - donLuigi Epicoco, che è anche antropologo - e lo ripete il presidente di Confindustria Antonio Cappelli: «L’emergenza è ricostruire i paesi: non solo ungruppo di casemaun tessuto economico complesso». L’industria era già in crisi, poi venne quel giorno «ed è peggio di allora. Oggi siamo vittime e disillusi»: è sconfortato il presidente di Cna, Agostino Del Re. Le “sue” piccole attività di artigianato e commercio sono ferme al 6 aprile: «Siamo convinti che bisognava provvedere prima alle imprese che alle chiese. Il governo ha invertito le priorità, la città è immobilizzata, nel centro storico si sono perse mille e 200aziende, altre 2mila in periferia. Sono evaporati 7 mila posti di lavoro», e altri 8 mila nell’industria e nei servizi. Gente in cassa integrazione, o con il sussidio dello Stato, «che però è arrivato solo per i primi tre mesi, poi basta», rivela Liliana Biasini, titolare di due centri estetici nel cuore infartuato della città. Deve ancora pagare 8 anni di mutuo per gli edifici e si arrangia: «Vadoa casa delle clienti, a fare unamanicure... ». Il marito è assicuratore, lo studio è franato, lavora da casa, il giro d’affari si è dimezzato. Fuori piove, è una giornata strana, vogliono imporre una festa. Liliana vuole solo ricominciare: «Costruirò una struttura di legno, richiamerò le tre ragazze che lavoravano con me».