ANDU: Riforma Gelmini dell'università. Repubblica e Corriere pro Gelmini. E senza contraddittorio
Repubblica e Corriere non offrono spazio alle posizioni critiche sulla riforma Gelmini
12 novembre 2009 14:42 | ANDU - Associazione Nazionale Docenti Universitari |
Repubblica e Corriere non offrono spazio alle posizioni critiche sulla riforma Gelmini. In occasione della presentazione del DDL governativo su 'governance' e reclutamento la grande stampa ha ospitato diversi articoli-spot, seguendo la falsariga dei comunicati stampa minsteriali. L'ANDU (Associazione Nazionale Docenti universitari) affida alla sua mailing list due lettere, inviate rispettivamente a "La Repubblica" e al "Corriere della Sera", che non sono state però pubblicate.
La prima, di Paola Mura (Università di Padova), è un commento all'intervento di Mario Pirani "O la Gelmini corre o la riforma fallisce" su Repubblica dell'11 novembre 2009:
La seconda, di Salvatore Nicosia (Università di Palermo), si riferisce ai vari articoli di presentazione del DDL sul Corriere della Sera del 30 ottobre 2009:
https://www.stampa.cnr.it/RassegnaStampa/09-10/091030/index.htm
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1. LETTERA di Paola Mura a Repubblica NON PUBBLICATA.
Sono un professore associato dell'Università di Padova (una di quelle 'virtuose' il cui rettore fa riferimento ad AQUIS), e sono diventata tale con un concorso fatto 'dopo il 1999', quindi "passata attraverso il filtro di una sana competizione per merito" (Pirani su Repubblica del 9-11) e lavoro nell'Università da più di trent'anni. Come spesso in questo periodo, sull'Università mi ritrovo in totale disaccordo col giornale che su altri temi rappresenta bene il mio pensiero. La valutazione assolutamente positiva del 'DDL Gelmini' mostra infatti che delle due l'una: o non si è capito bene il contenuto del testo o non si conosce bene l'Università italiana (o tutte e due).
Come si può sostenere che il parere favorevole dei rettori sia la prova che il "metodo sia stato quello giusto e consenta di promuovere scelte ampiamente condivise"? Il DDL dà ai rettori il più ampio potere di gestione che abbiano mai avuto, sul modello dell'amministratore delegato di un'impresa, che comanda e non coordina (in una visione miope e vecchia anche dell'impresa).
Certo che i rettori sono d'accordo. Ma l'Università non è un'impresa e non 'produce un prodotto' qualsiasi, produce cittadini con le massime conoscenze possibili, nel nostro Paese, con gli investimenti che sono a questo dedicati e con la preparazione che le scuole arrivano a dare. Non ha per suo compito precipuo quello di sfornare quadri intermedi per fabbriche manifatturiere. Tendenzialmente insegna a pensare e a risolvere problemi nei vari campi in cui si esplica: curare malattie, progettare (circuiti, nuove tecnologie, modalità abitative sicure, strutture), cercare fonti di energia future, insegnare a gestire un'economia non basata sulla finanza fine a se stessa, portare ad una agricoltura e alimentazione sostenibile e sana, insegnare i valori, la storia e gli aspetti culturali delle civiltà, oltre a insegnare ad insegnare, a tutti, persino a leggere, scrivere, far di conto e ragionare in sequenza logica).
Se l'industria italiana (sia la piccola industria che caratterizza buona parte dell'Italia, sia Confindustria, che sta cercando di ridurre l'Università a un suo bacino di raccolta di forza lavoro poco qualificata, come è il prodotto della mediocrissima università americana, tolte le poche 'grandi') non vede in questo un 'prodotto interessante', il problema e' suo, che rimane un industria piu' legata al XIX-XX secolo che al XXI.
Nonostante le grida populistiche sul 'togliere potere ai baroni' della ministra e di tutti quelli che le fanno il coro, questa 'riforma' concentra tutto il potere nelle mani proprio dei baroni, intesi come professori ordinari legati ai poteri forti, accademici ed extraaccademici, gli unici che potranno fare parte degli organi di gestione, oltre agli esterni nominati non si sa bene da chi e a quale livello. Ma lo sa il ministro Gelmini che nei CdA delle università ci sono sempre stati rappresentanti del territorio (enti pubblici, industria, commercio) e che spesso non partecipavano alle riunioni, se partecipavano non prendevano posizione e se la prendevano spesso non avevano capito tutti i lati del problema?
Quanto ai concorsi, sia chiaro che quando si lascia l'ultima parola alla prova locale, è sempre il barone di turno che decide, e che non siamo in presenza di nessuna tenure track, perché la legge, proprio per non
toccare quel potere che tanto dichiara di voler smantellare, scrive che gli atenei POSSONO decidere di chiamare chi ha fatto l'abilitazione nazionale.
E ci risiamo, se il tuo barone ti vuole, ti fa il concorso locale (che continua, piu' o meno indirettamente, a gestire), se non ti vuole, puoi anche essere il più bravo ma resti con la tua coccarda di 'idoneo', 'per la gioia dei bambini e per la gioia di mammà.
Il risultato che stanno cercando in tanti, da destra e da sinistra fin dal 1980 e' quello di distruggere la III fascia della docenza, che permette uno sbocco credibile, dignitoso e utilissimo all'università per tutti quei
giovani che vorrebbero entrare nell'Universita' stessa e poter contemporaneamente vivere (anche se non hanno famiglie abbienti alle spalle) e di render l'Università statale un bacino eterodiretto, da sfruttare.
'Che tutto cambi perche' niente cambi (anzi peggiori). Mi sembra di averlo già sentito.
Paola Mura - Università di Padova
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2. LETTERA di Salvatore Nicosia al Corriere della Sera NON PUBBLICATA.
Per l'ostinata, sentimentale convinzione che il Corriere sia sempre il Corriere vorrei offrire l'altra metà di solo alcune delle mezze verità delle quali è fatto il paginone sul DDL sull'Universita' del 30 ottobre 2009.
Partecipazione dei privati al Consiglio di Amministrazione delle Università: in misura limitata è prevista gia' dalle leggi attuali. Aumentarla al 40% sarebbe naturale se Imprese, Fondazioni e mecenati finanziassero la ricerca e la didattica al 40%; ma questo in Italia non succede, né il DDL governativo lo prescrive come requisito. Che cosa amministrerebbero questi signori allora? Denaro non loro, un'Istituzione nella quale non rischiano nulla? Nessuna Università americana lo ammetterebbe. Nessuna industria, banca o cooperativa di nessun Paese lo accetterebbe.
Carriere dei ricercatori a contratto: nell'articolo sembrano ampie e dritte. Nessuno in Redazione ha voluto scrivere un occhiello per ricordare ai lettori che per le attuali norme sul pubblico impiego ci sarà solo 1
assunzione ogni 5 pensionamenti circa. Questa perciò diventerà in realtà una fascia di docenti precari, che dovranno fare ricerca e didattica (come quelli di ruolo attuali) ma alla fine dei sei anni saranno giudicati solo sulla ricerca.
Stipendi dei prof: credo bene che lo stipendio iniziale salirebbe a 2.100 euro: questo è semplicemente l'attuale stipendio di un Associato. Sparisce lo stipendio di 1.300 perché spariscono i Ricercatori di ruolo. Meglio del Mago Silvan.
Troverò il professore in cattedra, esulta una studentessa. Giusta aspirazione; ma in cattedra, o in Biblioteca o in Laboratorio ne troverà 1 su 5 attuali. Dovrà dimenticarsi gli esami orali guidati, le revisioni dei progetti a piccoli gruppi, le pazienti correzioni della sua Tesi inclusi gli errori di grammatica.
Un complimento ai redattori dell'articolo bisogna pur farlo: per avere trovato un vera perla, la studentessa di Chimica che mette in ridicolo il Corso di Chimica dei coloranti. Una Chimica che è vecchia quanto il mondo (della porpora scriveva già Omero) ma sempre nuova. Se dalla lavatrice di questa Vispa Teresa il bucato non esce tutto di un colore lo si deve proprio a quella chimica: strano che in Italia occorra rammentare questi semplici fatti.
Sinceramente
Salvatore Nicosia - Facoltà di Ingegneria Università di Palermo