«Blocco degli scrutini? I sindacati sono divisi E io li ho già ricevuti per ben tre volte»
La ministra dell’Istruzione Stefania Giannini è in Aula e, nonostante le proteste passate, presenti e future dei «suoi» sindacati, si mostra tranquilla.
Che fate, li precettate?
Sorride. «Non è una decisione che spetta a me». Però sul blocco degli scrutini minacciato dai sindacati chiarisce: «Io ritengo che sia molto grave, la protesta si fa in tanti modi ma non scaricando sui ragazzi e sul momento cruciale della vita della scuola un punto di vista». La Camera sta votando la riforma della «Buona scuola». In piazza del Pantheon, i sindacati convocano un’assemblea aperta per dire no alla riforma. La ministra dell’Istruzione Stefania Giannini è in Aula e, nonostante le proteste passate, presenti e future dei «suoi» sindacati, si mostra tranquilla.
Il 5 maggio hanno scioperato oltre 600 mila prof, in ogni scuola sono pronte mobilitazioni, sit-in, flash mob, fino al blocco degli scrutini di giugno: non c’è troppa tensione intorno alla riforma?
«Il sindacato fa il suo mestiere. Ma io sono fiduciosa: sul blocco degli scrutini mi pare che ci siano già posizioni molto diverse, forse questa mossa non è così condivisa. Ma c’è un percorso di dialogo, con i sindacati ci rivedremo, anche se è bene ricordare che io li ho già ricevuti per ben tre volte».
Loro si lamentano di non essere stati ascoltati...
«Questa è una negazione dei fatti che sono avvenuti».
Secondo loro, le modifiche al ddl approvate in commissione Cultura non bastano.
«I cambiamenti si fanno sul merito delle cose, si tratterà di capire quali sono i punti su cui bisogna cambiare. I falsi miti sono stati già demoliti, vediamo cosa resta in superficie».
Il preside ad esempio: continuerà ad essere l’uomo dai superpoteri?
«Per il dirigente c’è il riconoscimento del principio di responsabilità legato all’organizzazione e alla progettazione dell’attività didattica della sua scuola, e questo non è il contrario della collegialità. Nel ddl non c’è alcun principio di dirigismo, né assenza di democrazia: se attribuisci responsabilità a chi dirige, gli dai gli strumenti per esercitare l’autonomia, inclusi i soldi, ma lo chiami anche al coinvolgimento degli organi della scuola, collegio docenti, consiglio d’istituto e comitato di valutazione: la responsabilità è complementare alla collegialità».
Tra i prof, quasi tutti, c’è la paura di un preside che faccia il bello e il cattivo tempo...
«Ma oggi è già così! Con la “Buona scuola” tutto quello che farà dovrà comunicarlo e motivarlo: la parola chiave è trasparenza, come si fa a parlare di corruzione?»
Ma il problema resta: chi lo controlla?
«Il principio di valutazione si applica a tutti, dai dirigenti, ai docenti al funzionamento complessivo della scuola. La scuola italiana si deve chiedere: vuole accogliere l’inizio di un serio processo di valutazione e autovalutazione? Perché il confronto è culturale».
A vedere il calo della partecipazione ai test Invalsi, sembra che la risposta sia no...
«Ho assistito con amarezza alla protesta anti Invalsi visto come simbolo della cultura della valutazione. Sul come valutare si deve discutere, ma bisogna pur partire con un sistema, no? In Lombardia c’è stata un’astensione vicina allo zero, ma nel Sud è stata quasi del 40%, proprio lì dove c’è maggiore sofferenza e dove l’intervento è più urgente: perché la scuola dell’obbligo deve combattere le disuguaglianze e dare a tutti pari opportunità».
Il tempo stringe, perché non assumere i precari per decreto?
«Lo stralcio del ddl è escluso: il precariato dei docenti è un debito pubblico umanizzato lasciato dai precedenti governi che va risolto una volta per tutte, ma non si può scorporare dal resto della riforma e il tema è così centrale per l’Italia che deve coinvolgere il Parlamento, cui chiediamo responsabilità».
Cosa dice ai prof?
«È comprensibile il timore del cambiamento, ma bisogna vincere la paura. A loro dico: abbiate fiducia nei vostri mezzi, siete voi i protagonisti di questa trasformazione, non la subite, non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza».
Anche lei andrà alla lavagna come Matteo Renzi?
«Il tema scuola appassiona entrambi, è una battaglia che condividiamo fin dall’inizio, ma poi ognuno usa i suoi strumenti. Io sto alla lavagna per mestiere, è meno scenografico che lo faccia io».