Buona scuola, approvato il ddl alla Camera. Ora la palla passa al Senato: determinanti i 25 della minoranza
Dopo il terremoto dell’Italicum, che ha sancito una frattura forse irreparabile tra il Pd renziano e alcuni big come Bersani, Epifani, Cuperlo e Speranza, il sì della Camera al disegno di legge sulla buona scuola registra un’altra scossa di assestamento tra i democratici
Andrea Carugati
Dopo il terremoto dell’Italicum, che ha sancito una frattura forse irreparabile tra il Pd renziano e alcuni big come Bersani, Epifani, Cuperlo e Speranza, il sì della Camera al disegno di legge sulla buona scuola registra un’altra scossa di assestamento tra i democratici. Per Renzi, i 316 sì sono un risultato abbastanza stretto, la maggioranza assoluta ottenuta al filo, circa 80 voti in meno di quelli che compongono, sulla carta, l’area di sostegno al governo a Montecitorio. Numeri alla mano, è uno voti più bassi per il governo, identico a quello di novembre sul Jobs act, approvato con 316 sì. Contano i non voti di una trentina di deputati Pd, 8 in meno di quelli che non avevano votato la fiducia sull’Italicum. Tra questi, tornano i nomi di Bersani, Cuperlo, Speranza, Epifani, Zoggia, D’Attorre, Stumpo, Pollastrini, Fassina, Bindi. Nomi di peso che, ancora una volta, su una norma chiave per il governo Renzi, fanno mancare il loro sì.
Nessuna spaccatura netta, però. Nessun voto contrario, a parte Civati e Pastorino che hanno ufficialmente lasciato il partito. Anche Fassina alla fine decide di rinunciare a un “no” esplicito, e dunque di restare nel gruppo con Bersani e Speranza. Almeno fino al termine dell’esame del ddl che a giugno sarà al Senato e poi tornerà alla camera per il sì finale. “Alla fine del percorso farò una valutazione politica e di merito, insieme agli altri”, spiega Fassina.
Il voto sulla scuola consolida nuovi equilibri dentro il Pd. Speranza e i duri di Area riformista marciano sempre più uniti con Cuperlo. Nasce quindi sulla scuola un’area di sinistra che, spiega uno degli aderenti, “punta a costruire un’alternativa a Renzi ma restando nel Pd con entrambi i piedi”. Cuperlo e Speranza hanno sottoscritto un documento rivolto ai senatori Pd, per chiedere loro “ulteriori modifiche” al testo di legge nel passaggio di giugno a palazzo Madama. Una lettera che ha raccolto 50 firme tra i deputati dem, e che è stata scritta d’accordo con i senatori della minoranza Pd, a cui viene passato il testimone della battaglia. Nel merito, i firmatari rivendicano alcune modifiche ottenute alla Camera, a partire dallo stralcio della norma sul 5 per mille e chiedono ai senatori dem di intervenire su alcuni “punti critici”, come la chiamata diretta degli insegnanti da parte del preside e “la discriminazione che colpisce gli insegnanti abilitati di seconda fascia e tutti gli altri precari”. Ma il punto politico fondamentale, per la sinistra dem, è che “ogni modello di riforma deve coinvolgere e venire condivisa dai soggetti che quell'investimento o modello di riforma dovranno tradurre in pratica e realizzare”. Senza dunque pensare di “piegare la resistenza di insegnanti, studenti, lavoratori precari”, con cui invece occorre “proseguire il confronto”. Insomma, per Cuperlo e Speranza occorre “saper ascoltare la voce delle piazze”.
Come si tradurranno questi concetti nella prossima battaglia a palazzo Madama? Al Senato i numeri sono assai più stretti per Renzi. E senza un esplicito apporto di senatori eletti con Forza Italia (dopo le regionali è possibile una implosione del gruppo), i 25 voti della minoranza Pd sono determinanti. I ribelli hanno già annunciato la volontà di ripresentare gli emendamenti bocciati alla Camera, a partire da quelli che eliminano gli sgravi fiscali alle famiglie per iscrivere i figli alle superiori private, quelli sui poteri dei presidi e sull’assunzione dei circa 600mila precari finora esclusi dal testo governativo. Miguel Gotor, capofila dei bersanani a palazzo Madama, auspica che “ci sia un ulteriore spazio di discussione, la Camera ha dimostrato che il testo non è intoccabile”. Il ministro Boschi apre: “Al Senato abbiamo un altro passaggio e riaffronteremo alcuni punti che sappiamo sono ancora discussi".
Dentro la minoranza, si consolida anche il “gruppo dei 50”, i deputati di Area riformista che hanno deciso di votare la fiducia e la legge elettorale. E che fanno riferimento al ministro Maurizio Martina e a Matteo Mauri. I cosiddetti “lealisti” “rivendicano con forza i cambiamenti importanti ottenuti” alla Camera, su aspetti come la maggior collegialità rispetto al ruolo dei presidi e il recupero degli idonei. Ma soprattutto definiscono come frutto della loro diplomazia con palazzo Chigi lo stralcio delle norme sul 5 per mille. Infine, incassano il via libera della Camera ad alcuni ordini del giorno che mirano ad “aumentare la collegialità e il pluralismo nel meccanismo del reclutamento degli insegnanti, con una commissione da affiancare ai presidi” e ad “evitare di creare ‘esodati’ della scuola”. Secondo Mauri, la vicenda scuola dimostra che “il nostro approccio riformista di confronto costruttivo e nel merito con il governo, e non di scontro continuo, produce risultati importanti”.
Dal ddl scuola emergono dunque, con ancora più nettezza, due minoranze, una più dura e una più collaborativa con il governo. E la fine di Area riformista e del tandem Speranza- Martina. I destini dei due delfini di Bersani appaiono sempre più distanti. Con il primo sempre più intenzionato a dare rappresentanza al malessere che c’è tra gli elettori Pd verso le scelte di Renzi, per essere pronto al congresso del 2017. “Nel mondo della scuola c’è una sofferenza vera, e noi vogliamo essere un ponte verso questi mondi”, spiega Speranza. Un ponte spesso difficile. Come dimostra il caso di Fassina, contestato da alcuni insegnanti fuori da Montecitorio. “Fuori dal Pd”, gli gridavano i manifestanti. Lui li ha rassicurati così: “La battaglia continuerà al Senato dove riproporremo gli emendamenti fondamentali. Un punto è chiaro: senza il consenso degli insegnanti, del personale scolastico e degli studenti la scuola non può funzionare”. Renzi, in una serie di sms ai deputati Pd, si dice “orgoglioso della vostra tenacia”. Tra i suoi, alla Camera, non è sfuggito che svariati firmatari del documento di Speranza e Cuperlo hanno votato sì alla legge. Tra questi anche alcuni componenti della commissione Cultura che più hanno lavorato alla riforma, come le deputate dem Mara Carocci, Maria Grazia Rocchi, Tamara Blasina e Gianna Malisani. Quest’ultima non aveva votato la fiducia a Renzi sull’Italicum e ora ha votato sì alla buona scuola. “Chi tra noi del Pd conosce bene la riforma e ci ha lavorato l’ha votata convintamente…”, sorride un deputato molto vicino al premier.