«Contro la riforma una guerriglia vietnamita»
Rottura irreversibile tra scuola e il Pd: contro il Ddl i sindacati annunciano ricorsi
Roberto Ciccarelli ROMA
Si sono sedute sull'asfalto bollente di metà pomeriggio in piazza delle Cinque Lune. Una ventina di maestre e docenti delle superiori ieri portavano al collo un cartello che, dopo la protesta di Bologna, ha fatto il giro del paese: «docente in sciopero della fame». In pochi minuti, strette tra un cordone di polizia lungo venti metri e alcuni blindati che vigilavano imponenti sopra le loro teste, hanno ricreato un'aula ideale. In tondo, c'era tutto: una lavagna, simboleggiata da uno striscione nero sul quale un gessetto bianco ha scritto «No al preside sindaco». L'aula è stata ricreata da un capannello formato da un centinaio di persone che ascoltavano attente. Poi le docenti si sono incatenate ai polsi e hanno iniziato a leggere gli articoli che la costituzione dedica all'istruzione e alla scuola. In coro, come un rito laico, a recitare la costituzione come un vangelo. Una fotocopia contro l'arroganza senza limiti di un goVerno che metterà domani la fiducia al Sénato su uno dei provvedimenti più contestati e impopolari degli ultimi anni. La rottura tra questo mondo e il partito democratico qui sembra irreversibile. La lettura della costituzione è uno dei simboli più forti visti nel primo giorno di mobilitazione unitaria dei sindacati della scuola: Flc Cgil e Cobas, Snals e Gilda, Cisl e Uil, gli autoconvocati delle scuole romane. In cinquecento volevano andare a manifestare davanti al Senato «come si fa a Londra dove i manifestanti protestano al parlamento o a Downing street ha urlato ad un microfono Piero Bemocchi (Cobas) solo in Italia questo non è possibile». Il corteo che domani partirà da Bocca della Verità e arriverà a Campo de' Fiori «passerà sotto il Senato mentre voteranno questa legge incostituzionale». Ieri la vigilanza era altissima. Per fare cinquanta metri i sindacalisti hanno dovuto contrattare con la Digos oltre un'ora sul marciapiede davanti ad una delle entrate degli uffici dei senatori, in una curva stretta che da Corso Rinascimento porta al Lungo Tevere. Carabinieri in tenuta antisommossa e scudi a terra osservavano attenti. Striscioni di ogni tipo contro la rifor ma, molti fai-da-te e ready-made, con vignette e disegni che irridono il «giglio magico» nelle pose più divertenti e turpi: ministro dell'Istruzione Giannini, quella delle riforme Boschi, al centro l'inviso «preside del consiglio» Renzi. Dal camioncino dell'amplificazione si vendono a pochi euro le magliette bianche già viste a Roma durante gli imponenti flash-rnob a piazza di Spagna: «La scuola statale è un patrimonio nazionale da difendere» c'è scritto. Tra donne e uomini di mezza età, portamento dignitoso da docente, scorre un brivido quando dal microfono viene scandito il futuro prossimo che attende la scuola: «Questa piazza sfiducia il governo ha detto Eugenio Ghignoni, segretario Flc-Cgil Lazio ma il governo sappia che verrà sfiduciato nelle urne. Dopo questa fiducia Renzi arriverà al 15%». Applausi, l'indignazione è vibrante. «La responsabilità del caos nelle scuole da settembre sarà solo del governo» continua Ghignoni. In termini più chiari: il governo si è messo contro tutti, ma proprio tutti i sindacati, che conoscono il metodo per far saltare il banco. A sua volta Bemocchi prevede una «guerriglia vietnamita» alla ripresa dell'anno scolastico: «I presidi lo sanno, dovranno girare con gli avvocati per difendersi dai ricorsi». La Gilda ha fatto sapere che ricorrerà alla Corte Costituzionale e lancerà un referendum abrogativo. Se solo la metà di questi avvertimenti a un governo che si è messo contro il suo stesso elettorato per un mero puntiglio ideologico è vera, la scuola conoscerà un tasso di conflittualità mai vista. Al marchionnismo molecolare del «preside manager» che cancella la libertà di insegnamento e apre la breccia al clientelismo (ma solo dal 2016) risponderà subito con gli strumenti del ricorso a catena: «Sono 70mila i precari che ricorreranno in tribunale ipotizza Marcello Pacifico dell'Anief chi ha frequentato i corsi di abilitazione Pas o i Tfa ha diritto all'assunzione, senza baratti o ricatti». «Il maxiemendamento non modifica l'impianto della riforma. La fiducia rappresenta un atto criminale contro la democrazia sostiene Danilo Lampis coordinatore nazionale dell'Unione degli Studenti Indipendente- mente dalla dittatura della maggioranza, e da ciò che accadrà ín aula, intendiamo bloccare in ogni modo l'applicazione di questa riforma».