Corriere-Ce la farà Letizia Moratti
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ROMA - Ce la farà Letizia Moratti a condurre in ...
ROMA - Ce la farà Letizia Moratti a condurre in porto quella che in Italia è considerata un'impresa titanica, ovvero riformare la scuola? L'inizio non è stato dei più incoraggianti. In piazza c'era la protesta e nella sala del Palacongressi romano l'atmosfera era freddina. Applausi pochi e quasi tutti di circostanza. Se in agosto a Rimini i giovani di Comunione e Liberazione avevano accolto il ministro facendo la ola, il pubblico degli Stati generali è stato sicuramente più avaro. La regia della manifestazione, poi, non ha aiutato: i consulenti della Moratti hanno scelto il format televisivo del talk show e molti in sala se avessero avuto il telecomando avrebbero cambiato programma. Ma in fondo questi sono dettagli, il vero ostacolo che il ministro si troverà sulla via della riforma è un altro: la forza delle Regioni. Un prologo del braccio di ferro che si aprirà nelle prossime settimane lo si è avuto già nella fase preparatoria degli Stati generali. Le Regioni, furenti per essere state tagliate fuori dalla consultazione, hanno tuonato contro il testo predisposto dal professor Giuseppe Bertagna e la Moratti, per parare il colpo, nella sua relazione ha inserito il rapporto con il territorio tra i pilastri della riforma. L'impressione, però, è che la strada del dialogo sia cosparsa di chiodi.
Ieri il presidente della Conferenza delle Regioni, Enzo Ghigo, è stato abile. Ha incassato i successi ottenuti ("il ministro ha recepito le nostre critiche" ha detto) e ha chiarito che nessun ente locale ha intenzione di creare piani di studio "padani" per la scuola. Ma ha aggiunto che la bozza Bertagna non è la ricetta definitiva, bensì solo un punto di partenza sul quale discutere. E a lungo. Poi ha gettato nuova legna sul fuoco sostenendo che il passaggio dei docenti a dipendenti regionali "è un'ipotesi plausibile e anzi auspicabile". Che, però, ha il piccolo difetto di fornire ai sindacati nuove occasioni di protesta.
Ghigo sa che diversi governatori hanno progetti pesanti per la scuola. La legge sul federalismo - che ha riformato il titolo V della Costituzione - consente loro persino di legiferare. Una diessina moderata come la presidente della Regione Umbria, Rita Lorenzetti, sostiene correntemente che "le Regioni sono quantomeno concorrenti con lo Stato" in materia di istruzione. Il suo collega di partito Vasco Errani (Emilia-Romagna) ha minacciato un ricorso alla Corte Costituzionale "se il governo non cambierà sostanzialmente il proprio atteggiamento". Ma non è tutto. Anche i governatori del centrodestra la pensano allo stesso modo. Anzi. Il presidente della Lombardia Roberto Formigoni considera l'istruzione un suo vecchio pallino e dichiara che "una parte delle materie di insegnamento deve essere stabilita a livello regionale". Vuole creare percorsi formativi legati alle filiere produttive lombarde e alle aziende di eccellenza della regione. Ha giurato che si batterà per l'abolizione del valore legale del titolo di studio per poi poter mettere in concorrenza le scuole tra loro, con premi a chi attira più alunni.
L'offensiva delle Regioni, sui cui tempi non c'è alcun elemento certo, è destinata a creare contraccolpi dentro la stessa maggioranza di centrodestra (An e Biancofiore, si sa, sono di cultura più centralista) e soprattutto avrà l'effetto di terrorizzare la struttura ministeriale, che arroccata nel dicastero di viale Trastevere stenta a rendersi conto che gli assessori regionali non sono dipendenti da indottrinare a colpi di circolari. Sarà anche per questo che la Moratti sui tempi della riforma è stata prudentissima. Non ha voluto indicare date. Ha capito che sarà una lunga marcia.
Dario Di Vico