Corriere- L'esame di maturità
L'esame di maturità di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI No news good news . Quel mezzo milione di giovani che a giugno affronteranno gli esami di (ex) maturità si possono dire fortunati ...
L'esame di maturità
di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI
No news good news . Quel mezzo milione di giovani che a giugno affronteranno gli esami di (ex) maturità si possono dire fortunati per l'assenza di notizie. Nonostante le molte voci di prove trasformate, test unificati e orali aboliti, finalmente arriva una rassicurazione: il ministro ha deciso che ogni cosa resterà come prima. Per ora, nessuna sorpresa, tranne la composizione delle commissioni, che saranno formate da professori dell'istituto e da un solo esterno, il presidente. Senza trasferte si spenderà meno e si eviteranno stress. È bene non cambiare le regole durante la corsa. Sono dentro un limbo singolare questi maturandi. Di anno in anno i ritardi accumulati da riforme soltanto verbali li hanno resi involontariamente estranei al vento delle innovazioni. Quel che è fatto è fatto. Mezzo secolo di chiacchiere, di fughe in avanti e di brusche frenate è alle loro spalle. La scuola li consegna fra qualche mese alla vita senza avere ancora deciso quale formazione essi avrebbero dovuto ricevere. Si arrangeranno, all'università o sul posto di lavoro.
Bisognerebbe invitarli egualmente agli Stati Generali convocati a Foligno il 19 e il 20 prossimo. La loro vicenda potrebbe essere utile per vedere chiaro dentro la concitata discussione sulla riforma. Con loro la società non ha avuto fretta. Vivono e vivranno fino a trent'anni in casa dei genitori. Mediamente sono trattenuti nel sistema scolastico almeno un anno di più dei loro coetanei del resto d'Europa. Sono giovani-vecchi e hanno la statistica sicurezza di dover invecchiare ancora molto, prima di uscire dalla precaria condizione di forzata adolescenza sociale. Se si iscriveranno all'università, impiegheranno otto anni in media per laurearsi.
Soltanto tre su dieci riusciranno comunque a prendere la laurea. Se decideranno di andare a lavorare, avranno bisogno di un paio di anni per trovare posto.
Sono già un pezzo di storia. A giugno potranno idealmente rivolgersi a politici, ideologi e contestatori canuti per ringraziare tutti delle rose che non sono state colte, delle cose che potevano essere e non sono state, delle massimalistiche fantasticherie e delle timidezze conservatrici. Qualche volta questi ragazzi devono avere la sensazione di non esistere, come il cavaliere di Italo Calvino: ogni cento studenti di vari istituti che affrontano gli esami di Stato, soltanto otto hanno frequentato il liceo classico (6 femmine e 2 maschi) e diciotto quello scientifico. Eppure degli altri non si sente quasi mai parlare.
Sarebbe interessante, a Foligno o altrove, farsi dire da questi giovani se i 13 anni di istruzione che stanno per completare siano stati troppi o troppo pochi. Questo, in fondo, è il nocciolo della riforma. Essi ci possono aiutare a capire se le loro competenze linguistiche, matematiche e scientifiche, formate negli attuali istituti e risultate scarse alle analisi nazionali e internazionali, OCSE compresa, patiscano di una insufficienza di tempo oppure di una povertà di didattica, siano problema di estensione oppure di sostanza.
Si discute molto di cicli scolastici in questi giorni. Ma accanto ad essi c'è il ciclo esistenziale di intere generazioni che bisogna vedere in quale misura coincida con gli attuali schemi pedagogici. Talvolta fra tecnicismi, rancori ideologici e strumentalizzazioni politiche molti parrebbero dimenticare, come in quelle partite di scacchi narrate da Borges e giocate da troppo tempo, quale sia la posta sul tavolo. Essa è la condizione complessiva delle nuove generazioni.
Materia che chiede realismo e pacatezza. Gente che pagherà dopo lo studio il primato europeo di disoccupazione giovanile e che constata tutti i giorni l'inadeguatezza della macchina che deve fornirle conoscenza e formazione, ha interesse a discutere ogni intervento sul sistema scolastico, a prescindere dalle divisioni partitiche e dalle enfasi contingenti. Per i ragazzi che a giugno concludono il percorso senza essersi potuto giovare di equilibrate innovazioni, ormai l'intera discussione arriva troppo tardi. Ma gli altri possono tarre grande vantaggio dal dibattito che si apre. Riceverebbero solo danno da ogni pressione emotiva e di piazza creata intorno agli Stati Generali. Ai quali hanno invece l'esigenza vitale di partecipare. In prospettiva la questione della scuola è la questione del miglioramento globale della condizione giovanile.