Elementi per un’analisi territoriale del sistema universitario italiano
di Gianfranco Viesti
E’ stato recentemente pubblicato, nella collana dei working paper della Fondazione Res, uno studio sulla struttura e sulle trasformazioni recenti del sistema universitario italiano lette in chiave territoriale: un confronto fra regioni e circoscrizioni all’interno del paese, e contemporaneamente, per quanto possibile, in comparazione internazionale. Quanto – e per quali caratteristiche – è differenziato il sistema universitario italiano nelle sue articolazioni regionali? Come è cambiata la situazione negli ultimi anni, alla luce delle grandi trasformazioni normative e della crisi economica e quali sono le tendenze evolutive?
Lo studio non fornisce una compiuta risposta a questi interrogativi. Si tratta, infatti, del primo di alcuni lavori preliminari alla redazione del Rapporto Annuale 2015 della Fondazione, dedicato all’università italiana; il Rapporto sarà predisposto per fine 2015 e mira a contenere una più sistematica analisi e soprattutto una sintesi e interpretazione dei grandi cambiamenti degli ultimi anni, da cui trarre anche implicazioni per le politiche universitarie. Nello studio non vengono poi considerati alcuni importanti aspetti: la “terza missione” delle università, pur rilevantissima per il suo impatto territoriale; le relazioni della formazione universitaria con il mercato del lavoro e con l’occupabilità dei laureati; i risultati dei recenti concorsi per l’abilitazione nazionale (ASN) che possono fornire informazioni molto interessanti sulla qualità del personale docente; gli indicatori di “qualità” della didattica. L’analisi dei cambiamenti nelle normative sul finanziamento dell’università, e del loro impatto territoriale sarà infine contenuta in un successivo working paper. Si tratta, quindi, di un contributo ancora parziale, finalizzato ad avviare una prima discussione. Anche riprendendo dati e valutazioni già note, il lavoro giunge tuttavia ad alcune prime conclusioni, di seguito sintetizzate.
Il ritardo nell’istruzione universitaria dell’Italia, rispetto agli altri paesi europei, è molto forte; in tutte le sue regioni, ma in misura più intensa nel Mezzogiorno, specie per i più giovani. Il numero limitato di laureati ha un forte impatto sulle competenze medie della forza lavoro, e quindi sulla produttività delle imprese. Esso rappresenta anche un notevole freno ai processi di mobilità sociale.
I dati recenti sulle immatricolazioni nelle università italiane sono molto negativi. Al netto della fisiologica riduzione delle iscrizioni rispetto agli anni di avvio dei nuovi cicli, vi è una forte contrazione delle iscrizioni negli ultimi anni, con minori tassi di passaggio dal diploma alla laurea. Questo fenomeno è più accentuato nel Mezzogiorno, e in particolare nelle Isole; e si somma in quei territori a tendenze demografiche negative, producendo una flessione molto forte degli immatricolati. Flettono di più i passaggi all’università dai diplomi non liceali e, ancora una volta nel Mezzogiorno, le iscrizioni di studenti di famiglie meno abbienti. L’Italia è l’unico paese che vede ridursi il numero di studenti universitari.
La mobilità geografica fra regioni degli studenti all’atto dell’iscrizione riguarda circa un quinto del totale. I flussi in uscita sono molto differenziati per regione, anche all’interno delle grandi circoscrizioni. Tuttavia, mentre al CentroNord la mobilità è prevalentemente interna all’area, molti studenti del Mezzogiorno si iscrivono in atenei del CentroNord. Emilia, Lazio e Toscana sono le regioni che beneficiano di più di questi flussi. All’interno del Mezzogiorno la percentuale di studenti che si iscrive nel CentroNord è molto diversa fra regioni, come pure la scelta delle destinazioni. I flussi in uscita dalla Campania sono molto contenuti, quelli dalla Sicilia in forte aumento.
Anche se la durata media degli studi in Italia non differisce molto rispetto ad altri paesi, mostra grandi diversità interne. I percorsi universitari degli studenti degli atenei del Nord sono molto più veloci di quelli degli studenti del CentroSud; corrispondentemente bassa la percentuale di fuoricorso. Lo scarto è netto per i corsi triennali mentre si riduce moltissimo per i biennali. Non è agevole spiegare questi fenomeni, che possono dipendere da una pluralità di cause. E’ sensibile, e maggiore nel Mezzogiorno, l’abbandono dopo il primo anno. Il giudizio degli studenti sulla disponibilità di strutture negli atenei è anch’esso differenziato, con una situazione molto peggiore nei grandi atenei del CentroSud.
Il numero di docenti universitari italiani si è fortemente ridotto negli ultimi anni; pur nelle difficoltà delle comparazioni internazionali, il loro numero appare più basso rispetto agli altri paesi europei. Il rapporto studenti/docenti è in Italia sui valori più alti in comparazione internazionale. All’interno del paese è fortemente squilibrato, con una situazione peggiore al Sud rispetto alle altre circoscrizioni, nonostante il forte aumento dei docenti nei primi anni duemila. Le figure precarie (assegnisti) sono molto aumentate: ma la loro presenza è molto maggiore al Nord, rispetto al Centro e ancor più al Sud. Anche gli amministrativi si sono ridotti: la loro presenza territoriale è più omogenea di quella dei docenti. Infine, è in calo il numero dei dottorandi, fortissimo nel Mezzogiorno.
In Italia ci sono 96 istituzioni universitarie, di cui 67 statali, un numero che appare comparabile, se non inferiore, a quello degli altri grandi paesi. La loro distribuzione territoriale è omogenea, con una densità maggiore al Centro, dove ci sono diversi piccoli atenei. Nel dopoguerra il Sud ha recuperato il suo storico ritardo; negli ultimi 25 anni, poi, le università sono aumentate sensibilmente, nel NordOvest, nel Centro e nel Sud. Ci sono attività universitarie, alcune con un limitato numero di iscritti, in 164 comuni italiani (un numero in forte contrazione). Nell’ultimo quinquennio l’offerta didattica (corsi) si è sensibilmente contratta.
L’Italia ha il livello di tassazione studentesca più alta fra i paesi dell’Europa continentale (esclusa l’Olanda); è significativamente aumentato negli ultimi anni. Le tasse universitarie sono molto diverse all’interno del paese, molto più alte al Nord rispetto al CentroSud. Ma se si rapportano al reddito procapite regionale, le differenze si riducono molto: alcune regioni (specie, ma non solo, al Nord) hanno tuttavia un livello di tassazione rapportato al reddito più alto della media. Sono significative alcune differenze fra atenei interne alle regioni. Gli studenti esonerati sono una percentuale maggiore nel NordEst e nel Mezzogiorno. La percentuale di beneficiari di borse di studio, così come la disponibilità di posti alloggio e mensa e la spesa delle università per servizi agli studenti, è molto più alta al CentroNord rispetto al Mezzogiorno.
La spesa per l’istruzione universitaria è in Italia molto più bassa rispetto ai paesi Ocse, sia misurata sul PIL, sia rispetto al numero di studenti (anche tenendo conto della diversa durata degli studi). E’ inferiore anche la sola componente pubblica. La spesa si è ridotta negli anni più recenti, in particolare a seguito delle riduzioni operate sul Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). Sul totale delle entrate delle università è aumentato sensibilmente il peso della contribuzione studentesca e delle entrate finalizzate da soggetti diversi dal MIUR. Normalizzate rispetto al numero di docenti, e ancor più di studenti, le entrate sono maggiori per gli atenei del Nord rispetto a quelli del CentroSud. Fra il 2008 e il 2012 l’FFO è diminuito più della media nazionale per gli atenei del Centro e, ancor più, del Mezzogiorno (specie per i grandi). Sul totale delle spese delle università, nel Mezzogiorno è maggiore il peso degli stipendi e minore quello dei beni durevoli e dei servizi agli studenti.
La recente valutazione della ricerca universitaria (VQR) è stato un esercizio complesso, e con aspetti controversi, anche se di fondamentale importanza per le sue ricadute sul finanziamento degli atenei. I suoi esiti mostrano una qualità della ricerca sensibilmente inferiore negli atenei del Mezzogiorno rispetto al resto del paese. Lo scarto è contenuto per ingegneria e per altre aree scientifiche, molto forte per le aree umanistiche. Forti anche le differenze interne al Mezzogiorno: alcuni atenei (Sannio-Benevento, Catanzaro, Napoli-Suor Orsola, Foggia, Salerno e Teramo) hanno risultati migliori; le grandi università molto peggiori. Rispetto alla precedente valutazione (VTR) si ha un sensibile peggioramento, con un vero e proprio tracollo della qualità della ricerca negli atenei più grandi. Ma vi è anche una forte varianza dei risultati; e non è chiaro in che misura tutto ciò dipenda dalle differenti metodologie delle analisi.