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Far vincere la scuola

di Fabrizio Dacrema

17/05/2015
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ScuolaOggi

Quale sia l'esito del conflitto in corso, la scuola rischia di uscirne comunque sconfitta. Se vince il governo sarà sottoposta a una torsione autoritaria e alla inevitabile conflittualità diffusa che ne conseguirà. Una riforma imposta alla scuola produrrà un guadagno politico alquanto incerto per il Premier e effetti di cambiamento della scuola sicuramente nulli…tutti sanno che la scuola non si cambia contro chi ci lavora e studia.

Se invece perde, il ritiro della riforma potrebbe far cadere anche l'atteso organico funzionale e l'opportunità di una ripartenza per l'autonomia scolastica. 

È ancora possibile trasformare questo conflitto in un gioco a somma positiva che faccia vincere la scuola?

I tempi sono molto stretti ma, paradossalmente, la palese incongruenza e inefficacia di diversi aspetti del disegno di legge aprono alla possibilità di poter ottenere soluzioni migliori.

Molti parlamentari della stessa maggioranza non sono convinti di diversi aspetti del disegno di legge. Questa è l'impressione che abbiamo tratto nei tre incontri avvenuti alla Camera nei giorni scorsi su richiesta delle 32 associazioni che hanno sottoscritto l'Appello “La Scuola che cambia il Paese”. 

Sotto la spinta della mobilitazione l'art. 1 è stato completamente riscritto. Ora l'autonomia scolastica torna a ispirarsi ai valori costituzionali dell'innalzamento dei livelli di istruzione e del contrasto alle diseguaglianze. Non solo, il nuovo art. 1 individua nella cooperazione il metodo di governo più efficace della comunità educativa.

Precisi vincoli politici posti dal governo hanno impedito alla settima commissione della Camera di rendere coerenti tutti i punti chiave del disegno di legge con le finalità dell'art. 1. 

Per questo le 32 associazioni dell'Appello "La Scuola che cambia il Paese" hanno precisato le loro proposte di modifica del disegno di legge (illustrate ai parlamentari con slide reperibili sul profilo Facebook “La scuola che cambia il paese”) e torneranno a incontrare i parlamentari in occasione del passaggio al Senato del disegno di legge.

Un primo versante di proposte di modifica riguarda alcuni punti chiave decisivi per una riforma che contrasti le diseguaglianze: programmare il finanziamento della delega per il diritto alla studio, chiarire che l'organico dell'autonomia non è prioritariamente finalizzato alla copertura delle supplenze, fare un uso perequativo il 5 x 1000 finalizzandolo al miglioramento di tutte le scuole, impedire che attraverso le norme attuative del Jobs Act si sviluppi un canale di formazione professionale in apprendistato, alternativo alla scuola e con caratteristiche scarsamente formative.

Le altre proposte di modifica riguardano il rilancio del metodo della cooperazione. Uno stile di governo delle scuole opposto alla concentrazione di poteri nel dirigente scolastico che decide gli indirizzi della scuola, sceglie gli insegnanti e assegna premi retributivi.

L'individuazione nel potere di comando del dirigente scolastico della leva per promuovere il cambiamento della scuola è un errore talmente grave da indurre il sospetto che, in realtà, l'obiettivo sia rafforzare una catena di comando centralistica lungo la linea governo-amministrazione scolastica-dirigente scolastico.

Se invece il problema è come far partire il motore dell'autonomia scolastica allora altri sono gli stimoli su cui puntare: dialettica tra autovalutazione di istituito e valutazione esterna, valorizzazione delle competenze professionali degli operatori, spazi di partecipazione attiva di tutta la comunità educativa, interazione con le esigenze e la programmazione dei contesti territoriali.

Gli indirizzi del piano dell'offerta formativa triennale devono quindi essere indicati dal consiglio istituto, l'organo collegiale che rappresenta l'intera comunità educativa e non certo da un organo monocratico quale il dirigente scolastico. 

Da modificare anche la chiamata nominativa e la rinnovabilità triennale degli incarichi da parte del dirigente scolastico: oltre agli evidenti rischi di arbitrii e clientele, si pone l'insegnante in una posizione di instabilità e insicurezza rispetto alla sede di servizio (gli albi territoriali potrebbero anche coincidere con l'attuale dimensione di una provincia). 

Indebolimento della posizione del docente e concentrazione dei poteri nel dirigente scolastico determinano un cambiamento qualitativo nel rapporto di lavoro degli insegnanti, fino ad oggi considerati lavoratori dipendenti ma non subordinati. Ogni forma di subalternità degli insegnanti è, infatti, incompatibile con la loro autonomia professionale e con la libertà di insegnamento, tutelata dalla Costituzione a presidio del pluralismo culturale della scuola pubblica.

Il miglioramento dell'incontro tra le esigenze progettuali delle scuole e le specifiche competenze professionali degli insegnanti può, invece, essere realizzato senza ricorrere alla chiamata nominativa. L'incontro deve avvenire su base volontaria: le scuole esprimono quali sono le curvature professionali necessarie alla realizzazione della propria offerta formativa e i docenti che le posseggono, a domanda, chiedono di essere assegnati alle scuole richiedenti. Le modalità di regolazione e promozione di questa forma di mobilità professionale sono di competenza della contrattazione. Per rispondere alle esigenze progettuali delle scuole occorre poi puntare anche sui processi di formazione del personale e di certificazione delle competenze professionali.

Infine appare davvero inutile scomodare un tema impegnativo come la valorizzazione del merito con un fondo di 200 milioni, circa diciottomila euro per istituzione scolastica. L'attribuzione del potere unilaterale di decisone al dirigente scolastico e l'invenzione di un improbabile comitato per la valutazione dei docenti (dirigente, colleghi, genitori, studenti)  che dovrebbe individuare i criteri sottopongono i docenti a un’autorità salariale doppiamente illegittima: perché priva di passaggi negoziali e perché costituita da soggetti privi delle competenze necessarie per valutare la professionalità degli insegnanti.

Se si vuole realizzare la valutazione e la certificazione delle competenze professionali aggiuntive al profilo base dei docenti, acquisite con la formazione e l'esperienza, la strada è un'altra. Si devono definire procedure di individuazione e validazione delle competenze e costituire soggetti valutatori con competenze valutative specifiche, caratterizzati da terzietà e indipendenza. Come per la mobilità il processo di certificazione delle competenze dovrebbe essere attivato a domanda dell'interessato. In ogni processo di valorizzazione professionale il punto di partenza non può che essere la persona che lavora che aspira al riconoscimento delle competenze professionali sviluppate e arricchite nel corso della propria esperienza lavorativa.

Si tratta solo di considerazioni sparse forse utili a rendere l'idea di come la questione sia allergica all'improvvisazione di cui Governo e Parlamento stanno dando prova.

L'esiguità delle risorse disponibili rende decisamente più credibile assegnare i 200 milioni al fondo per la contrattazione di scuola per il riconoscimento del lavoro aggiuntivo e flessibile connesso all'attuazione del piano dell'offerta formativa. 


Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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