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Gelmini vuol dire sfiducia

Rinviata di nuovo. La riforma approderà in Senato solo dopo il voto di fiducia del 14 dicembre. È una conquista del movimento. E ora studenti, ricercatori, precari e docenti scriveranno insieme la loro legge

03/12/2010
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il manifesto

Roberto Ciccarelli
Gelmini ultimo atto. La riforma dell'università approvata alla Camera sarà esaminata dal Senato dopo il voto di fiducia al governo previsto martedì 14 dicembre. Questo nuovo slittamento deciso dalla conferenza dei capigruppo di palazzo Madama, il terzo dopo quelli del 30 settembre e del 13 ottobre alla Camera, è definitivo. Se il governo Berlusconi sarà sfiduciato dalle camere, il disegno di legge Gelmini non avrà più alcuna speranza di essere rianimato dalle requisitorie ideologiche de Il Corriere della Sera, né dai ricatti del ministro Gelmini che, a poche ore dalla riunione al Senato di ieri, ha richiamato l'attenzione sul suo cono d'ombra: «Sono a rischio concorsi e finanziamenti, per questo è urgente la calendarizzazione al Senato e l'approvazione della riforma dell'università».
Non è nuova il ministro, e la sua ombra che siede al ministero dell'Economia, a tali manifestazioni di infondata protervia. Dopo avere spinto quest'estate il Senato ad approvare il ddl in prima lettura in cambio dell'erogazione del finanziamento ordinario per l' università, dopo averne vincolato l'approvazione alla Camera al ritornello «meglio questa riforma che niente», al termine del giro di giostra parlamentare il ministro ha provato a scuotere i ricercatori con l'arma finale del corporativismo. Senza questa riforma, nei prossimi tre anni non verranno banditi 1500 concorsi da professori associati e la vostra carriera terminerà su un binario morto.
Questo circolo vizioso ha accompagnato le ultime ore del ddl. Non è mancato il polverone sollevato dagli economisti bocconiani e dal plotone di consulenti ministeriali che ha mai fatto mancare una parola di saggezza. L'hanno chiamata «meritocrazia», in realtà è una manciata di noccioline lanciata dai professori ordinari per premiare i più meritevoli segugi che si aggirano nei loro mandamenti. Un'impostazione del resto confermata dagli altri due pilastri della riforma: la governance degli atenei, che concentra tutto il potere nelle mani dei rettori e del consiglio di amministrazione, garantendo un'amplissima discrezionalità economica da parte dei potentati locali (e del ministero dell'Economia) nella selezione dei ricercatori a tempo determinato.
Gelmini ha dovuto ammettere che, se il 14 dicembre la maggioranza non avrà i numeri, calerà il sipario sul ddl al quale ha legato per sempre il suo nome. Quel giorno, fuori dal Palazzo, e dalle sue congiure, gli studenti torneranno ad assediare il parlamento. «Manteniamo alta la guardia - afferma Claudio Riccio, portavoce di Link - siamo consapevoli del fatto che abbiamo ampi margini di vittoria, una parola sconosciuta al movimento studentesco fino a poco tempo fa». «È un segnale di speranza - ribadisce Francesco Brancaccio di Uniriot - anche per gli operai di Pomigliano e per i migranti di Brescia. Gli studenti e i precari stanno dimostrando che solo attraverso la lotta espressa in forme determinate e di massa di può parlare all'intero paese». Domenico Pantaleo, segretario Flc-Cgil, ha puntualizzato: «Lo slittamento del ddl è una vittoria del movimento degli studenti. La determinazione delle opposizioni parlamentari è certamente motivata dalla grande spinta che viene dalle università».
L'avvertimento lanciato al governo da Anna Finocchiaro, capogruppo Pd al Senato, è dunque servito: prima si approva la legge di stabilità, poi si vota la sfiducia e solo dopo il ddl Gelmini. La «vittoria» che Finocchiaro rivendica per il proprio partito non basta a spiegare le ragioni della sua conversione durante l'iter parlamentare del ddl a partire dalla Camera con Walter Tocci e Manuela Ghizzoni. È noto, infatti, che la linea Pd sull'università è stata condizionata dalle posizioni confindustriali dei lettiani, che ben si è sposata con la linea baronale di sinistra di Luigi Berlinguer, l'autore della riforma del «3+2» - l'antesignana della «riforma» Gelmini. La prepotente affermazione del movimento degli studenti - preceduto da quello dei ricercatori della Rete 29 aprile - sta chiudendo il ciclo della dismissione dell'università pubblica e della sua trasformazione in un apprendistato al lavoro precario, schiavistico e informale.
Le intuizioni, le competenze e l'immaginazione dimostrate da questo movimento gli conferiscono il diritto a scrivere e ad attuare la vera riforma dell'università, il giorno dopo la caduta di questo governo. Vent'anni dopo la Pantera, una nuova generazione ha dato un colpo all'ideologia neo-liberista delle riforme. «Questo movimento - afferma il fisico torinese Alessandro Ferretti della Rete 29 aprile - non è una banale rivolta luddista, è un movimento di cervelli senza precedenti che ha capacità di proposta. È un diamante nel buio». «Una generazione blindata come il governo ha fatto a Roma due giorni fa - continua la sociologa veneziana Francesca Coin - schiacciata da una situazione economica drammatica, sta dimostrando di avere la capacità di guidare il paese fuori dalla crisi politica».
Conto alla rovescia Mancano pochi giorni al voto di fiducia al governo di martedì 14 e alla manifestazione. La strada del ddl Gelmini è sempre più incerta