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“Gli errori ci fanno crescere” Morin e la sua scuola di vita

Il maestro deve correggere, commentare, diventando una sorta di direttore d’orchestra

30/06/2015
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la Repubblica

L’autorità degli insegnanti è così in crisi perché la scuola non ha saputo adattarsi alla nuova autonomia dei giovani». Il filosofo Edgar Morin non crede all’educazione che viene dall’alto, alla matita rossa e alle punizioni. È favorevole a un dialogo continuo nella magnifica avventura della conoscenza, “L’aventure de la méthode” come spiega nel suo libro appena pubblicato in Francia. Da tempo Morin s’interroga sulle nuove frontiere della pedagogia, e nell’ultimo saggio tradotto in Italia, “Insegnare a vivere”, immagina una rivoluzione dell’istruzione del ventunesimo secolo, una “metamorfosi”, dice, che possa ricostruire le fondamenta dell’insegnamento, al passo con la nostra civiltà, sempre più interconnessa e multidisciplinare. «È sbagliato privilegiare una cultura scientifica, tecnocratica, sacrificando una cultura umanista » spiega l’intellettuale francese, 94 anni, che ci riceve nel suo ufficio al Cnrs. dove viene sempre meno. «Mi faccio prendere dalla pigrizia, non dovrei, divento casalingo, si dice in italiano?» racconta Morin con un grande sorriso. “Insegnare a vivere”, titolo del libro pubblicato dall’editore Raffaello Cortina, è un’espressione usata in passato da Jean-Jacques Rousseau.

Cosa significa insegnare a vivere?
«Imparare non significa solo conoscere la grammatica, la matematica, un po’ di geografia e storia. La scuola deve occuparsi della nostra doppia aspirazione: realizzarci come individui, nelle nostre attitudini, capacità, e costruire legami all’interno di una comunità. Se c’è solo l’individualismo, diventa egoismo. Se c’è solo la comunità, si crea frustrazione. I professori devono prima di tutto avere la consapevolezza che i ragazzi vanno accompagnati in questa doppia aspirazione».
Lei propone di introdurre lo studio della conoscenza, l’epistemologia, già alle elementari. Perché?
«La conoscenza della conoscenza è la prima cosa da imparare. In particolare, per ridare spazio e dignità all’errore. Se guardiamo al Novecento, vediamo solo una sequenza di sbagli: la gente è stata comunista, fascista, ha creduto in rivoluzioni o ideologie fallimentari. Anche molte scoperte sono state fatte in seguito ad errori. La conoscenza non è un percorso lineare ma pieno di insidie, dubbi, correzioni».
L’errore deve essere accettato e non punito?
«Ogni errore va analizzato, compreso: è una straordinaria opportunità per progredire. La scuola insegna molte certezze, ma nessuno spiega ai ragazzi che la vita è fatta soprattuto da incertezze: la salute, l’economia, le guerre. Già alle elementari i bambini devono essere educati all’incertezza che fa parte dell’esistenza e devono saper riconoscere errori e illusioni. Il modo migliore per poterlo farlo è avere un approccio alla conoscenza multidisciplinare».
È il “pensiero complesso”, che lei ha definito anni fa?
«La separazione delle materie oggi non ha più senso. È`tutto il sistema di educazione contemporaneo, fondato sulla disgiunzione fra scienza e cultura umanistica, che bisogna rivoluzionare. Purtroppo la maggiore resistenza a questo approccio viene dagli insegnanti. Non hanno più il prestigio di un tempo, vengono contestati dalle famiglie e perciò si rifugiano nella difesa della sovranità delle loro materie. È un peccato».
Lei parla di una “rigenerazione dell’Eros” nella scuola. Cosa c’entra l’Eros? « L’Eros, nel senso di desiderio, è presente nell’amore per il sapere che gli insegnanti hanno avuto quando hanno scelto il loro mestiere, e che oggi devono ritrovare. Nei bambini e nei giovani, l’Eros è presente in quella meravigliosa curiosità` per tutte le cose, spesso purtroppo delusa da un insegnamento che taglia la realtà`in pezzi separati, e con il quale anche la letteratura diventa noiosa nell’era semiotica ».
È contrario ai voti, alle pagelle?
«I giudizi degli insegnanti sono più importanti dei voti. Forse in alcune materie scientifiche si possono mantenere i voti, ma nelle discipline umanistiche non credo ai voti».
Come usare Internet e le nuove tecnologie nella scuola del ventunesimo secolo?
«L’insegnante non deve più distribuire come priorità`il sapere agli allievi, ma deve correggere, commentare, diventando una sorta di direttore d’orchestra, in un dialogo continuo. Deve anche stimolare lo spirito critico. Internet offre un’informazione libera ma fa circolare anche leggende e teorie folli. Ci troviamo di fronte al problema permanente della conoscenza umana: distinguere tra vero e falso. L’unico modo di lottare contro la diffusione del falso è avere più fonti di informazione. La pluralità permette la ricerca della verità».

Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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