Gli standard europei che la nostra scuola non sa raggiungere
di Lorenzo Bini Smaghi
a decisione di rinviare al Parlamento la proposta di riforma sulla cosidetta «Buona scuola» può essere l’occasione per aprire una più ampia discussione su alcuni aspetti essenziali (dopo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato ieri dal Corriere ) sul ruolo dell’istruzione in una società avanzata. In un mondo globalizzato, in cui i ragazzi che escono dalla scuola si confrontano con i loro coetanei di tutto il mondo, l’accesso a pari opportunità è essenziale. Nel confronto internazionale, il sistema italiano presenta due gravi svantaggi.
Il primo è connesso alla durata del ciclo scolastico, più lunga degli altri Paesi europei di ben un anno. Ciò significa che un ragazzo italiano finisce gli studi in media a 19 anni, contro i 18 dei suoi coetanei europei, arrivando dunque più tardi all’università o sul mercato del lavoro. Peraltro, questo anno aggiuntivo non sembra tradursi — secondo i test internazionali — in una maggior capacità di apprendimento. La questione è stata sollevata da tempo.
La Germania, che aveva un sistema simile a quello italiano, ha recentemente adottato una riforma. In Italia il cambiamento si scontra contro due ostacoli. Il primo è la proposta avanzata da alcuni gruppi di pressione di mantenere immutata la durata del ciclo ma di cominciare la scuola un anno prima, a cinque anni, diversamente da quanto fatto negli altri Paesi. Il secondo ostacolo è di tipo organizzativo. La riforma deve essere programmata per tempo, 4 anni prima se il liceo viene ridotto da 5 a 4 anni (come in Germania). Inoltre, nell’anno del passaggio definitivo al nuovo sistema deve essere organizzata una sessione di esami di maturità per un numero doppio di esaminandi.
L’incapacità di programmare una tale transizione in Italia sembra essere il vero problema, o la foglia di fico dietro la quale si nasconde la conservazione.
Il secondo problema è il modo in cui il ciclo scolastico viene organizzato nel corso dell’anno. L’Italia è l’unico Paese ad avere un periodo di vacanze estive di circa 3 mesi, e invece vacanze più brevi e meno frequenti durante l’anno. Eppure, importanti studi scientifici dimostrano che periodi lunghi di interruzione riducono l’efficacia dell’istruzione scolastica. Ad esempio, uno studio del 2007 di Alexander, Entwisle e Olson, della John Hopkins University, intitolato proprio Le conseguenze durature del divario di apprendimento estivo , dimostra, sulla base di una serie di valutazioni empiriche, che il gap educativo tra studenti di diversa estrazione sociale tende a ridursi durante il periodo scolastico, ma aumenta nuovamente nel periodo delle vacanze estive. In altre parole, la scuola riesce a ridurre le disuguaglianze sociali, ma tale risultato viene poi vanificato durante i periodi di vacanza protratti. Più lunghe sono le vacanze, meno efficace è la scuola nel dare pari opportunità agli studenti più poveri. Il motivo è evidente. Le famiglie facoltose possono permettersi vacanze che consentono di sviluppare il capitale umano acquisito durante l’anno, con viaggi di studio, visite a musei o altre attività intellettuali che invece non sono accessibili alle fasce più deboli della popolazione. L’effetto distorsivo è ancor maggiore per gli studenti che vengono rimandati a settembre, date le diverse risorse a disposizione per poter accedere a corsi di ripetizione privati. Anche questo è un sistema che esiste solo in Italia, e contribuisce ad accentuare le disuguaglianze tra i ragazzi che vengono da famiglie povere rispetto a quelle benestanti.
La ricerca mostra peraltro che è difficile per i ragazzi mantenere una concentrazione elevata a scuola per un periodo superiore a due mesi. Questo è il motivo per cui nella maggior parte degli altri sistemi educativi europei il trimestre viene interrotto a metà da una settimana di vacanza, in autunno, inverno e primavera, oltre alle vacanze di Natale e Pasqua. L’Italia non si è invece adeguata.
Il motivo per non cambiare sistema sembrerebbe essere che in Italia fa più caldo ed è difficile tenere i ragazzi in classe a fine giugno a ai primi di settembre. Tuttavia, per i numerosi istituti stranieri che operano in Italia — internazionali, inglesi, francesi, tedeschi o svizzeri — e finiscono l’anno scolastico a fine giugno e cominciano il nuovo ai primi di settembre, con un mese in meno di vacanze estive rispetto all’Italia, il caldo non sembra essere un ostacolo così insormontabile. Come non lo è in altri Paesi europei, inclusi quelli mediterranei.
Per essere davvero «buona», la scuola italiana richiede profondi cambiamenti, alcuni dei quali riguardano l’organizzazione e la struttura del ciclo scolastico che non sono considerati nell’attuale progetto di riforma. Rifiutare questi cambiamenti significa continuare a penalizzare i ragazzi e le ragazze italiane, soprattutto quelli delle famiglie meno abbienti.