L'appello delle Associazioni: Sì allo stralcio per i precari e a paletti chiari sull’iter del DDL
di Antonio Valentino
È un buon appello - quello al Parlamento delle 27 Associazioni - per introdurre modifiche al DDL sulla Buona Scuola: perché parte da giuste preoccupazioni e avanza proposte di buon senso. È certamente di buon senso, considerando la problematicità delle materie del DDL, considerare soprattutto l’ipotesi di stralciare la questione della stabilizzaione dei 100 mila precari, vista la sua urgenza e prevedere un Decreto Legge ad hoc.
Bisogna comunque essere consapevoli che lo stralcio non comporta operazioni unicamente tecniche.
I nuovi assunti – questa la previsione del DDL che sarebbe bene non stravolgere, perché ne è un punto cardine assolutamente condivisibile - non andranno a coprire solo posti vacanti e disponibili, ma contribuiranno a coprire l’intero “organico dell’autonomia”. Che, come è ormai noto, prevede l’utilizzo del personale assunto in base alle specifiche “esigenze didattiche, organizzative, progettuali”, espresse dalle scuole ed esemplificate nell’articolo 2. E non solo, quindi, assumendo a riferimento esclusivo le classi di concorso vigenti.
Questo sembra di capire dal testo del DDL. D’altra parte, questa è “la necessità” cui far fronte, se si vuol far partire la stabilizzazione e permettere alle scuole un utilizzo più flessibile e mirato delle risorse a disposizione.
Si tratta, come ben si intuisce, di operazione complessa, perché ha a che fare non solo con la copertura di posti vacanti e disponibili, ma anche con “dotazioni” aggiuntive che dovrebbero concorrere a qualificare e potenziare l’offerta formativa delle scuole. Operazione che richiede quindi una declinazione delle competenze professionali disponibili in funzione dei bisogni e delle attese degli allievi.
I risultati scolastici, le rilevazioni INVALSI e l’Auto Valutazione di Istitituto in corso dovrebbero offrire materia importante e utile al riguardo.
In prima battuta, andrebbe probabilmente evitato il meccanismo della individuazione dei precari da parte delle scuole (previsto dal DDL), e andrebbe piuttosto considerato quello della domanda degli interessati alle scuole per le quali hanno i titoli; dando così a queste la possibilità di selezionare il personale nella misura prevista regionalmente e sui posti disponibili per le esigenze espresse (posti comuni, di sostegno, “funzionali”).
Gli aspetti più problematici e più densi della questione dovranno, se si accetta la proposta dello stralcio, essere ripresi specificamente e approfonditamente nel corso dell’iter parlamentare, avendo queste, tra l’altro, implicazioni squisitamente sindacali. Si tratta infatti di temi che si intrecciano con quelli del profilo giuridico del personale e della struttura e sostenibilità delle attuali classi di concorso.
Parentesi. È fondamentale che su questi terreni si arrivi a cambiamenti significativi. È evidente però che una carriera docente meno rigidamente protetta rispetto alla situazione attuale – che sia costruita cioè in prospettiva guardando in modo più mirato alla centralità dello sviluppo professionale e alle esigenze delle scuole rispetto alle quali gli insegnanti sono risorse “funzionali - richieda, assieme ad aggiornamenti del profilo, anche garanzie professionali solide (e quindi passaggi contrattuali chiari). Voglio dire che non aiuta il buon funzionamento delle scuole il fatto che oggi si può rimanere a insegnare in una scuola vita natural durante, a prescindere; e che siano assenti stimoli esterni che spingano gli insegnanti a ripensare in termini più motivati e dinamici il proprio impegno professionale. Chiusa parentesi.
Sì quindi allo stralcio, per rendere compatibili i tempi della sua approvazione con le operazione di immissione in ruolo dei precari, sin dal 1° settembre prossimo. Ma un altro punto dovrebbe essere fermo: l’operazione “stralcio” non deve significare allentamento dei tempi dell’iter parlamentare del DDL. Deve, ad esempio, restare ben solido l’impegno di approvare comunque il DDL in tempi utili per rispettare le scadenze dallo stesso previste (iniziare a raccogliere esigenze e attese di allievi e territorio tra ottobre e novembre 2015 – avendo ovviamente a disposizione i dati per partire –; ed essere nelle condizioni di costruire il proprio Piano Triennale dell’offerta formativa, compresivo anche delle richieste di organico complessivo).
Questo perché non sarebbe un bel messaggio per nessuno rinviare al 2017 i cambiamenti previsti. La scuola ha decisamente bisogno di segnali efficacemente riformatori. Ma i tempi di approvazione del DDL sono una variabile importante per comunicare l’urgenza del cambiamento.
Una considerazione infine sul tema della governance che, nel DDL, è materia inopportunamente “delegata” e che nell’appello è tema giustamente centrale.
Si tratta di problematica su cui si addensano oggi timori profondi e attese messaniche. E che ha come nodo inesplicato il ruolo del DS dentro la governance di Istituto; e più precisamente il peso che il Dirgente dovrà avere nella gestione della “comunità” dei docenti. E, più in generale, l’idea di scuola che sostanzi le scelte al riguardo.
A quest’ultimo proposito, il cuore del contendere (che ben si coglie anche dentro l’appello) è, in tutta evidenza, la scelta tra un’idea di scuola come “impresa colletiva” (per usare l’espressione di Piero Romei) - da una parte - (con tutto quello che comporta in termini di modelli organizzativi che prevedano ruoli di responsabilità condivisa dei docenti e valorizzino le funzioni di coordinamento, di cooperazione e presidio, che già ora svolgono in tante scuole); e – dall’altra - la scuola come organizzazione il cui fulcro sia il DS.
Non so però se la questione, messa in questi termini contrapposti, sia ben posta.
Penso piuttosto che la logica del tutto sbilanciata del DDL sulla figura del DS sia viziata probabilmente dal pregiudizio che la prima delle due idee di scuola – che enfatizza l’impresa collettiva - significhi opacizzazione del ruolo del DS e che il tema della governance possa essere affrontato saltanto a piè pari la questione docente che pure il documento iniziale della Buona scuola aveva giustamente posto al centro della riflessione. Sappiamo d’altra parte che una organizzazione complessa, ad alto tasso di cultura generale e specifica della sua più consistente componente interna (la maggior parte del personale è laureata) richiede dirigenti capaci, che dispongano di strumenti di guida e di governo potenziati ed efficaci – e non ambigui - che nessuna persona di buon senso pensa di mettere in discussione.
Studiare in quest’ottica dispositivi e strumenti che rafforzino la funzione del DS, senza relegare in ruoli impiegatizi e “dipendenti” il personale scolastico, può diventare allora esercizio non divisivo e più promettente.