La ricerca è un lavoro? La battaglia dei ricercatori per l’ammortizzatore sociale
la querelle sulla natura della ricerca (è o non è un lavoro?), lungi dall’esaurirsi in una disputa puramente accademica, è al centro della battaglia combattuta dall’ADI e dalla FLC-CGIL (oltre che da CNRSU, LINK, Rete29Aprile, tra gli altri) a partire dallo scorso maggio per estendere anche ai precari della ricerca la DIS-COLL, l’ammortizzatore sociale pensato per i lavoratori precari.
Marco Viola
La ricerca è un lavoro? Probabilmente non lo era nel XVII secolo, agli albori della Royal Society, quando costituiva più che altro un hobby alternativo per quei gentiluomini che non amavano la caccia alla volpe. Ma oggi, nel XXI secolo, ben pochi negherebbero che quella del ricercatore sia una professione vera e propria. Tra questi pochi pare vi fossero il Ministro del Lavoro Poletti e il Sottosegretario Faraone (anche se, come vedremo, quest’ultimo è stato poi fulminato sulla via di Damasco). Diciamolo fin da subito: la querelle sulla natura della ricerca (è o non è un lavoro?), lungi dall’esaurirsi in una disputa puramente accademica, è al centro della battaglia combattuta dall’ADI e dalla FLC-CGIL (oltre che da CNRSU, LINK, Rete29Aprile, tra gli altri) a partire dallo scorso maggio per estendere anche ai precari della ricerca la DIS-COLL, l’ammortizzatore sociale pensato per i lavoratori precari. Ripercorriamone tappe principali.
La carriera accademica – Visto con gli occhi degli studenti, il mondo accademico appare distinto grossomodo in due macro-categorie: i “professori”, veri e propri titolari di una cattedra, e i loro “assistenti”. Da un punto di vista normativo però le cose non stanno proprio così – anzi, non dovrebbero stare affatto così. La carriera universitaria è infatti caratterizzata da diverse tappe più o meno obbligate che cominciano (solitamente) dopo il conseguimento della laurea magistrale, con il dottorato di ricerca: 3 anni in cui l’aspirante ricercatore/professore si dedica a una particolare ricerca e fa pratica così con i ferri del mestiere. Dopo il dottorato, prima dell’ingresso in ruolo come professori, gli aspiranti accademici debbono continuare a “farsi le ossa” con un periodo di lavoro precario, aggrappandosi ad assegni di ricerca o ad altri contratti dalla durata variabile. Durante questo periodo non di rado coadiuvano un professore nelle sue mansioni didattiche (benché il loro contratto non lo preveda), e non beneficiano praticamente di nessuno dei diritti di un lavoratore a tempo indeterminato, come la maternità. Un percorso impervio, insomma, dove la selezione “darwiniana” rischia di premiare non le menti più brillanti ma semplicemente le persone con un background famigliare che offre più garanzie…
2015*
* Il resoconto che segue è basato su un articolo apparso il su UniNews24. Chi lo avesse già letto oppure fosse piuttosto interessato a conoscere gli ultimi sviluppi può andare direttamente alla sezione 2016
Nasce la DIS-COLL – Lo scorso marzo, in seno al Jobs Act, nasce la DIS-COLL, un’indennità di disoccupazione rivolta a collaboratori coordinati e continuativi (Co.Co.Co.) e a progetto (Co.Co.Pro.). La DIS-COLL è un tentativo di tamponare le carenze del sistema di protezione sociale per quanto riguarda i precari, che ormai sono una regola più che un’eccezione nel mondo del lavoro, fornendo loro un piccolo reddito per i mesi successivi alla scadenza del contratto, nel periodo necessario a reinserirsi nel mondo del lavoro. Tuttavia, la lettera della legge lasciava qualche margine di ambiguità sul fatto che certe figure restassero dentro o fuori dal perimetro dei beneficiari. Tra queste, i ricercatori – dottorandi, borsisti e assegnisti di ricerca – che pure versano i contributi alla gestione separata INPS.
ADI e FLC: la ricerca come lavoro – A questo punto entrano in gioco l’ADI (Associazione Dottorandi e dottori di ricerca Italiani) e la FLC-CGIL, con l’obiettivo esplicito di ottenere il riconoscimento della DIS-COLL anche per i precari del mondo accademico. Nel farlo, si appellavano alla Carta Europea dei Ricercatori, che dal 2005 dovrebbe essere la “Stella Polare” per i governi europei in materia di diritti e doveri dei ricercatori . Nella Carta si trova infatti scritto: “Tutti i ricercatori che hanno abbracciato la carriera di ricercatore devono essere riconosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. Si dovrebbe cominciare nella fase iniziale della carriera, ossia subito dopo la laurea, indipendentemente dalla classificazione a livello nazionale (ad esempio, impiegato, studente post-laurea, dottorando, titolare di dottorato-borsista, funzionario pubblico)”.
Poletti: la ricerca non è un lavoro – Il 13 maggio 2015, la domanda di ADI e FLC – “anche i ricercatori avranno diritto alla DIS-COLL?” – è stata pronunciata in un’interrogazione parlamentare per bocca dell’On. Anna Ascani (PD). Il destinatario della domanda, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ha risposto fin da subito “no”: a suo avviso infatti lo statuto giuridico di dottorandi, assegnisti e borsisti di ricerca non sarebbe equiparabile ai collaboratori coordinati e continuativi, e di conseguenza “la situazione dei soggetti [di cui sopra] non è assimilabile ai Co.Co.Co. che prestano la loro attività nel contesto di un vero e proprio rapporto di lavoro” – casomai, si può configurare come un momento di “preparazione” alla carriera accademica vera a propria (che di norma, però, inizia dopo i quarant’anni; cf. Rapporto ANVUR 2013, pag. 255).
#Nonèunhobby! – Com’era facile a prevedersi, i ricercatori non hanno preso troppo bene l’implicito ma inequivocabile messaggio veicolato dalle parole di Poletti, cioè che il loro non fosse un vero e proprio lavoro. Pertanto, volenterosi di affermare che la ricerca #Nonèunhobby!, il 28 maggio ADI e FLC hanno organizzato un presidio davanti al Ministero del Lavoro, per rivendicare l’estensione dell’indennità anche a dottorandi, borsisti e assegnisti. Risultato? Un incontro cordiale col Direttore Generale dell’Ufficio Ammortizzatori Sociali, qualche promessa di “verificare se ci sono le condizioni” e di “aprire un’interlocuzione”: l’equivalente istituzionale, insomma, di quando in un colloquio ci si sente dire “le faremo sapere…”.
#PerchéNoiNo? – A questo punto, a cavallo dell’estate del 2015, la battaglia di ADI e FLC prende nuovo vigore, con un serie di iniziative parallele volte a sondare tutti i canali possibili. Prima mossa: un interpello a risposta scritta, inoltrato tramite la segreteria della CGIL, in cui la domanda “ma i precari della ricerca hanno diritto alla DIS-COLL?” viene sostanziata in un’affermazione: “i precari della ricerca hanno diritto alla DIS-COLL; estendetela anche a loro” – corredata da alcuni argomenti giuridici a sostegno di questa tesi. Come vedremo, la risposta di Poletti arriverà 5 mesi dopo: al termine dell’iter parlamentare della Legge di Stabilità 2016 (forse non a caso). Più celere è stata invece la risposta dei diretti interessati, invitati a sostenere la battaglia firmando la petizione #PerchéNoiNo? – che ha raccolto velocemente migliaia di firme (ad oggi, 10 gennaio 2016, parliamo di 9063 firme).
La battaglia giuridica – Benché Poletti sembrasse persuaso del fatto che la ricerca non è un lavoro (e dunque i ricercatori non debbano accedere all’indennità), questo non significa che l’INPS condivida questa linea – ammesso e non concesso che l’ente guidato da Boeri abbia una linea definita su una questione così nebulosa sotto il profilo normativo. Seguendo il filo di questo ragionamento, ADI e FLC, a partire da novembre, hanno invitato dottorandi, assegnisti e borsisti a fare in ogni caso domanda per l’indennità, organizzando peraltro dei banchetti itineranti in numerosi atenei. Obiettivo delle domande: creare le basi per un ricorso al TAR in caso di diniego, aprendo così un fronte anche sul piano della giustizia amministrativa.
La battaglia parlamentare – All’incirca nello stesso periodo, in Parlamento faceva capolino la bozza della Legge di Stabilità 2016 – un testo che conteneva alcuni provvedimenti riguardanti l’università e la ricerca. Il percorso per ottenere l’estensione della DIS-COLL, però, si è rivelato subito in salita: non era nemmeno detto che si trovassero le risorse per prorogare questo ammortizzatore per le categorie che ne avevano già beneficiato nel 2015. Tuttavia, dopo che al Senato erano stati bocciati alcuni emendamenti di Sinistra Italiana che invocavano (tra le altre cose) l’estensione della DIS-COLL anche ai ricercatori precari, le speranze di migliaia di ricercatori si sono riaccese quando la Commissione Lavoro della Camera ha approvato un emendamento a prima firma Gribaudo (PD) che, oltre a rinnovare la DIS-COLL, ne sanciva l’estensione almeno agli assegnisti di ricerca. Ma quel risultato – che ADI e FLC hanno accolto con soddisfazione ma anche con l’auspicio dell’allargamento della misura a dottorandi e borsisti – non era destinato a durare. Pochi giorni dopo infatti la DIS-COLL è stata riconfermata per le categorie che già ne beneficiavano, ma l’emendamento che ne sanciva l’estensione anche agli assegnisti è caduto sotto la scure della Commissione Bilancio. Unico “appiglio” parlamentare è costituito dall’approvazione dell’Ordine del Giorno A/529 voluto dalle caparbie deputate Gribaudo e Ghizzoni (PD), con il quale il Parlamento impegna il Governo a “valutare un’estensione della platea dei beneficiari dell’indennità e di prevedere, in particolare, che eventuali somme non utilizzate nell’anno 2016 siano destinate all’estensione dell’indennità ai titolari di assegni, di ricerca, nonché di verificare l’opportunità di introdurre stabilmente forme di tutela dei collaboratori in caso di disoccupazione involontaria”. Ma un OdG parlamentare non è altro che una generica dichiarazione di intenti, che molto spesso rischia di tramutarsi in lettera morta se non c’è nessuno che si prende la briga di impugnarlo.
La risposta “di Natale” di Poletti … – A fronte della situazione normativa immutata sancita dalla Legge di Stabilità, il 22 dicembre arriva finalmente la risposta di Poletti all’interpello di cui sopra – anch’essa immutata: gli assegni di ricerca vengono definiti “una tipologia di rapporto del tutto peculiare, fortemente connotata da una componente “formativa” dell’assegnista”. In parole povere: si tratta di formazione, non di lavoro.
… e la replica piccata di ADI e FLC – ADI e FLC, che nei giorni precedenti avevano aderito assieme ad altre sigle a un presidio davanti a Montecitorio (il 18 dicembre), cavalcano l’onda lunga dell’entusiasmo per l’uscita de “Il Risveglio della Forza” (ultimo episodio della saga di Guerre Stellari) e, mettendo momentaneamente da parte l’aplombe che le aveva sinora contraddistinte, bollano le inconsistenti ed erronee argomentazioni di Poletti come “Bullshit Wars” (vedi immagine sotto). E nella loro controreplica, si appellano all’intera comunità accademica, affinché reagisca alla disequazione tra ricerca e lavoro che “delegittima la funzione sociale della ricerca e degli atenei e centri di ricerca che la producono”, così come al MIUR affinché prenda parola sulla questione rompendo quello che definiscono un “silenzio insostenibile e imbarazzante”.
2016
Dal silenzio imbarazzante alla (ancor più imbarazzante) propaganda – Con l’anno nuovo, il MIUR ha effettivamente spezzato il proprio voto di silenzio. Non che l’abbia fatto di sua sponte, sia chiaro: a sollecitare un intervento del MIUR è stato infatti l’intervento della deputata Annalisa Pannarale (SEL), attraverso un’interrogazione a risposta scritta presentata il 13 gennaio, il cui contenuto altro non è che un argomentato invito ad estendere la DIS-COLL anche ad assegnisti, borsisti e dottorandi. La risposta non si fa attendere: arriva il giorno dopo, il 14 di gennaio. A firmarla però non è la Ministra Giannini, bensì il Sottosegretario Davide Faraone – a cui è ragionevole attribuire un peso politico più sostanziale di quelli della Ministra, in ragione della sua appartenenza all’inner circle di Renzi. Per farla breve, Faraone (dimentico o ignaro dell’OdG di Ghizzoni-Gribaudo) si è allineato a Poletti: lo scopo degli assegni, borse e dottorati di ricerca non sarebbe il medesimo dei co.co.co. (ovvero: quello di svolgere una professione), ma piuttosto quello di “formare studiosi altamente qualificati mediante lo svolgimento di attività di studio e di ricerca scientifica”. Ma per apprezzare appieno la qualità politica del Sottosegretario vale la pena di menzionare anche il resto della risposta. Il viceministro ci tiene infatti a dimostrare come il Governo Renzi abbia a cuore il destino dei giovani ricercatori, e
“a riprova di ciò cit[a] solo alcune delle misure destinate all’università e alla ricerca varate dalla recente legge di stabilità per il 2016 che si è scelto di adottare propri per concorrere a ridimensionare notevolmente il fenomeno del precariato nelle istituzioni universitarie e di ricerca.
Le misure contenute in Stabilità sarebbero quindi, a detta dell’Esecutivo, “più efficaci a corrispondere alle aspettative e alle esigenze di tutti quei giovani che concorrono al progresso della conoscenza nel nostro Paese, garantendo [= poiché garantiscono] loro un futuro lavorativo più sicuro”. Quali?
6 milioni di euro per il 2016 e 10 milioni a decorrere dal 2017 per il Piano straordinario per la chiamata di professori universitari di prima fascia; [ma in che modo questo riguarderebbe i precari della ricerca?]
38 milioni di euro per il 2016 ed 75 milioni di euro dal 2017 per il finanziamento del «Fondo Natta» destinato al reclutamento per «chiamata diretta» di professori universitari di prima e seconda fascia;
47 milioni per il 2016 e 50,5 milioni a decorrere dall’anno 2017 a favore del FFO e 8 milioni per l’anno 2016 e 9,5 a decorrere dall’anno 2017 per il FOE che si tradurranno in 847 assunzioni di ricercatori presso le Università e di 200 ricercatori presso gli EPR;
incremento delle risorse per i contratti di formazione specialistica in medicina; [ma che attinenza c’è?]
aumento del Fondo per la concessione delle borse di studio di 54.750.000 euro per il 2016 e di 4.750.000 euro a decorrere dal 2017; [di nuovo, quale attinenza c’è? Qui Faraone sembra addirittura confondere le borse di studio – erogate dagli appositi Enti Regionali per il Diritto allo Studio – con le borse di ricerca per cui si era richiesta l’estensione della DIS-COLL]
Infine, ciliegina sulla torta:
a decorrere dall’anno 2016 alle università «Virtuose» sarà consentito procedere alle assunzioni di ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge 240 del 2010, senza che a queste siano applicate le limitazioni da turn over. Ciò [secondo Faraone] assicurerà uno sbocco professionale ai migliori assegnisti di ricerca, i quali vedranno notevolmente ampliate le loro possibilità di partecipare a tali selezioni.
Come ho suggerito in questo articolo, la rimozione del turonver circoscritta ai ricercatori di tipo A rischia di configurarsi in sostanza come una “liberalizzazione dei professori usa-e-getta”. Ricordiamoci infatti che gli RTD-A hanno un contratto triennale (prolungabile per altri due anni), ergo precario; ma, a differenza dei ricercatori a tempo indeterminato aboliti dalla legge Gelmini, hanno obblighi didattici. A quel punto non si vede perché i vertici di un ateneo, trovando l’assunzione di un RTD-A molto più economica sopratutto in termini di punti organico, dovrebbero prendersi la briga di assumere un RTD-B, ovvero impegnarsi ad avere un futuro associato. Sembra insomma che la norma vada a danno più che a beneficio degli interessi dei giovani precari, spalancando le porte al contratto di RTD-A (che, ripetiamolo: è un contratto senza tenure track) al costo di sbarrare quelle per la tenure track. Insomma: oltre al danno, la beffa. Non sorprende quindi che secondo ADI e FLC le misure di cui parla Faraone sono “insufficienti e destinate ad aumentare gli squilibri all’interno del sistema accademico e le disuguaglianze fra le sue componenti”.
La conversione, ovvero: Faraone2 VS Faraone1 – Lo scambio tra Pannarale e Faraone è stato raccontato la mattina di sabato 16 gennaio da due articoli: uno di Roberto Ciccarelli sul Manifesto e uno del sottoscritto su UniNews24. Con mio stupore, ho constatato come quest’ultimo fosse diventato virale sui social network già di prima mattina, accumulando decine di migliaia di visite in un solo giorno (non possiedo dati relativi alla diffusione dell’articolo del Manifesto, ma è ragionevole supporre che abbia avuto all’incirca la stessa diffusione). E in effetti, l’articolo deve essere arrivato anche all’attenzione di Faraone (magari per tramite delle sostenitrici dell’OdG di cui sopra?), che ha pensato bene di rispondere con una audace “inversione a U della sua posizione” – per lo meno per quanto concerne gli assegnisti di ricerca.
Così, fatta propria la prassi renziana di usare i social network come strumento di comunicazione istituzionale, Faraone2 dirama su Facebook e rilancia su Twitter una vigorosa confutazione della tesi secondo cui la ricerca dei precari non è un lavoro, contrariando così Poletti ma anche Faraone1 (e costringendoci così all’uso dei pedici per distinguere le differenti fasi della sua filosofia politica, un po’ come si suole distinguere tra il primo e il secondo Wittgenstein). Pur rivendicando con fierezza la bontà dei provvedimenti della legge di stabilità, il sottosegretario dichiara infatti che
Le reazioni – La replica di ADI e FLC non si fa attendere: già nel pomeriggio di sabato le associazioni dichiarano di “prend[ere] atto dell’impegno” e promettono: “vigileremo sulle realizzazioni concrete e chiediamo: quando verrà realizzato? Quotidianamente assegnisti, dottorandi e borsisti pagano il prezzo di un welfare escludente. Quanto ancora deve durare questa discriminazione?”. Poco dopo arriva anche lo sferzante commento del CNRSU – Coordinamento Nazionale Ricercatrici & ricercatori non Strutturati Universitari, composto per lo più proprio dai diretti interessati dal destino della DIS-COLL: “E’ sempre un gran piacere notare come la coerenza sia un cavallo di battaglia di questo governo” punzecchiano, denunciando la sproporzione trai posti di RTD-B fieramente rivendicati da Faraone (1000) e i precari della ricerca italiani (che stimano essere più di 62.000). E infine, preconizzano: “non vediamo l’ora di guardarla [Faraone] in faccia quando uno sciopero del lavoro precario paralizzerà le Università. In quel caso forse, caro Ramses del 2016, quando dirà che il nostro è lavoro non sarà solo una paraculata, ma sarà perché si renderà conto che senza di noi gli atenei sarebbero col culo per terra.” Questo, per lo meno, in un orizzonte di lungo periodo; nel frattempo, sul breve periodo hanno annunciato alcune forme di mobilitazione e sensibilizzazione, che verranno concretizzate a partire dall’Assemblea indetta il 29 gennaio a Firenze (aula A di Scienze della Terra, Via Giorgio la Pira, 4 dalle ore 14). Consci che per contare occorre prima contarsi (e scandagliare gli umori e le situazioni della categoria che si ambisce a rappresentare), i precari del CNRSU hanno peraltro attivato un questionario online, aperto fino al 24 gennaio e rivolto a tutti coloro che lavorano in università (includendo – loro sì – anche i dottorandi e i borsisti di ricerca).