La scuola non boccia (quasi) più
Ma l’anno scorso la dispersione scolastica è tornata a salire dopo un decennio di calo continuo.
Eugenio Bruno e Claudio Tucci
Nell’Italia malata di bassa crescita c’è una voce che in realtà è cresciuta a ritmi sostenuti: gli studenti promossi a fine anno. Mentre il Pil in termini reali, tra il 2013 e il 2018, è aumentato del 2,9%, gli iscritti alle secondarie di II grado che, nel frattempo, hanno ottenuto il passaggio alla classe successiva sono saliti di oltre il doppio. Grazie innanzitutto a una riduzione delle bocciature. Che non sembra derivare da un miglioramento delle conoscenze su larga scala, visti i bassi livelli di apprendimento in lettura e matematica, bensì dai ripetuti allentamenti del sistema di valutazione degli alunni. Sia legislativi che interpretativi, e spesso trasversali ai governi in carica. Come dimostrano le ultime scelte su esame di maturità e istituti professionali che, c’è da giurarci, avranno un impatto sui risultati degli scrutini finali al via, a seconda dei casi, l’8 o il 10 giugno.
Criteri più blandi di valutazione
Guardiamo all’ultimo decennio. Del Dpr Gelmini del 2009 - quello che ha stabilito l’ammissione con il sei in tutte le discipline, condotta inclusa - è rimasto oggi ben poco. Alle medie, ad esempio, il decreto attuativo della legge 107, varato nel 2017 da Valeria Fedeli, ha previsto la promozione, deliberata dal consiglio di classe, «anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento», dunque pure in caso di attribuzione di uno o più voti inferiori a sei decimi. Ma l’allentamento inizia prima. Anche alla primaria infatti la bocciatura è limitata a «casi eccezionali» e serve la delibera all’unanimità dei docenti contitolari (se diventerà, poi, legge il Ddl che ripristina l’educazione civica in classe, sempre alle ex elementari, spariranno anche le note sul registro).
Alle superiori la “non ammissione alla classe successiva” scatta se si collezionano tante insufficienze più o meno gravi, secondo criteri stabiliti dal collegio dei docenti. Nei confronti degli alunni che presentano un’insufficienza non grave in una o più discipline, il consiglio di classe può sospendere lo scrutinio, in attesa che il debito formativo venga colmato con l’aiuto di iniziative di sostegno e di recupero organizzate dalla scuola.
Si arriva così alla maturità. Da quest’anno, da un lato, si potrà partecipare all’esame anche con un’insufficienza, previa delibera motivata del consiglio di classe. E, dall’altro, i test Invalsi continueranno a non avere peso.
Queste le regole generali. Con un’appendice particolare per i professionali: le linee guida in arrivo sanciranno il carattere «intermedio» della valutazione al termine del primo anno e un suo maggior collegamento con il progetto formativo individuale di ciascuno studente. In pratica, un appello ai prof a limitare le bocciature.
Il miglioramento anno dopo anno
I primi effetti di questi “nuovi indirizzi” di politica scolastica si vedono sui numeri: nel 2013/2014, alle superiori, i promossi erano il 65,1% degli scrutinati. Cinque anni dopo si è saliti di 6 punti al 71,1%, mentre, nello stesso periodo, i bocciati sono scesi dal 9,8% al 7,4. Contemporaneamente, gli ammessi all’esame di terza media hanno raggiunto il 98,3%, alla maturità il 96 per cento. Quasi l’unanimità, dunque. Che, quando si parla di scuola, raramente fa rima con qualità. Questa logica spesso viene associata alla necessità, legittima, di non lasciare nessuno studente indietro. Specialmente nei momenti di passaggio tra un grado di istruzione e l’altro, ad esempio dalle medie alle superiori. Per evitare fughe repentine dai banchi. Ma se l’intento dei ripetuti alleggerimenti nei criteri di giudizio appena descritto fosse quello un interrogativo sulla bontà delle ricette adottate nascerebbe ugualmente. Ancora di più se si pensa che l’anno scorso la dispersione scolastica è tornata a salire dopo un decennio di calo continuo.