La sfida del premier: mai più precari
Da un lato: «Mai più insegnanti precari e graduatorie». Dall’altro: «Fateci parlare, ascoltateci».
Da un lato: «Mai più insegnanti precari e graduatorie». Dall’altro: «Fateci parlare, ascoltateci». Lui risponde: «Parliamo da sei mesi, siete qui solo per uno spazio in tv». Loro lo contestano: «Diteci cosa volete fare realmente». Lui ne approfitta e parte proprio da loro, dagli insegnanti precari che gli urlano contro appena sale sul palco e prende il microfono alla giornata del Pd «La scuola che cambia, cambia l’Italia», organizzata ieri a Roma per il primo anno di governo.
Il premier Matteo Renzi, che dal primo giorno a Palazzo Chigi sulla scuola ci ha messo la faccia, racconta della riforma che «non è come le altre perché è l’idea dell’Italia che vogliamo per i prossimi 30 anni» e della «Buona Scuola che in Italia c’è già, ma va migliorata». Ma per farlo, dice, «si deve partire dagli insegnanti che devono tornare il punto centrale della scuola: ciò che mia figlia sarà dipenderà dagli insegnanti che troverà sulla sua strada».
E quindi, sì al loro ruolo sociale, perché «una volta si diceva “l’ha detto la maestra” ed era la Cassazione», e oggi «facciamo passare il messaggio che i nostri figli abbiano sempre ragione». Così, prima di tutto bisogna assumerli i precari, «conosco questo dolore, so che significa non poter fare un progetto a lungo termine: basta con le graduatorie e lo spezzatino», perché «non possiamo consentire che uno ancora prima di arrivare in cattedra abbia perso già tutti gli entusiasmi».
Il decreto che «cambia tutto» arriverà in Consiglio dei ministri il 27 febbraio: calcolati 120 mila precari assunti (meno però dei 150 mila annunciati). Poi ci sarà un disegno di legge delega. «Un piano organico — spiega la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini — di cui si parla da 15 anni: la precarietà ha fatto comodo a qualcuno». Nel 2014, ricorda, «abbiamo speso 876 milioni di euro per coprire le supplenze annuali».
Con la riforma arriverà quasi il 10 per cento in più di insegnanti stabili. Dovranno portare in classe più arte, più musica, più sport, più lingua straniera. E dal 2016, si assumerà solo con i concorsi pubblici. Ma «il lavoro per la Buona Scuola è appena cominciato», promette il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone che dice «basta alla supplentite e alla didattica precaria» e sì «a valutazione dei prof e scatti di merito». Poiché «alcuni insegnanti non sono degni del loro compito» (Renzi), verranno valutate «didattica e formazione e valorizzata la professione del docente: chi lavora con passione deve avere un congruo riconoscimento» (Faraone). I fondi: un miliardo per il 2015. Tre dal 2016. E dal 2016 annuncia Renzi, «il 5 per mille potrà andare alla scuola». Che significa anche edilizia scolastica.
Ma tutti i sindacati bocciano la riforma di Renzi: «Una presa in giro» (Cisl); «Solita retorica e nessun impegno concreto» (Cgil); «Kermesse di slogan, aspettiamo i fatti» (Gilda); «Titoli e buone intenzioni, ma neanche un euro per impegno e professionalità degli insegnanti» (Uil). L’ex ministro Luigi Berlinguer sintetizza: «La scuola deve far godere, non annoiare».
Claudia Voltattorni