Manifesto: Gelmini chiude le «mini» scuole
IL TAGLIO NEL DECRETO SANITÀ
Stefano Milani
Purtroppo il ministro dell'Istruzione Gelmini c'ha preso gusto. Il suo accanimento terapeutico sulla scuola italiana non si ferma alla reintroduzione del maestro unico, caposaldo di una riforma distruttiva che tanto sta facendo arrabbiare studenti e docenti di ogni dove. Ora spunta anche un provvedimento che apparentemente non ha nulla a che vedere con la scuola: il decreto-legge 154 sulla sanità dal titolo "Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali", e che prevede la riduzione delle istituzioni scolastiche sottodimensionate. In pratica tutte le scuole con meno di 500 alunni dovranno essere accorpate tra loro. Risultato: riduzione del personale del 50%, perché almeno un posto di dirigente scolastico e uno di direttore dei servizi amministrativi rimane a spasso. E così, taglia che ti ritaglia, nel prossimo triennio si pensa che a spasso saranno in oltre 132mila. Il ministro smentisce («falsità», dice) ma a rischio estinzione sono circa 2.600 istituti, il 24% del totale, (secondo l'ex ministro Fioroni addirittura 4.000) e quasi tutti ubicati nei comuni di montagna o nelle piccole isole. Ora per ridisegnare la mappa degli edifici scolastici il ministero dà tempo alle Regioni fino al 30 novembre prossimo. Chi non collaborerà o sforerà, fanno sapere da viale Trastevere, verrà «sollevato dall'incarico».
E se la scuola piange l'università non ride, anzi. Specie dopo che ieri la stessa Gelmini ha detto di voler mettere mano anche lì. E anche lì a colpi di ddl, quattro o cinque deve ancora decidere. Durante la giornata organizzata a San Patrignano dalla Comunità per parlare di droga e prevenzione, si è scagliata contro il mondo accademico: «5.500 corsi di laurea, 300 sedi distaccate, 90% di spesa corrente». Annunciando un «cronoprogramma», altro sinonimo per dire "tagli". «Nessuna università italiana fra le prime 100. Non sono segni di efficienza», osserva il ministro che dice «basta ai finanziamenti a pioggia», e che non spende neanche un parola sulla situazione dei ricercatori precari, da diversi giorni in stato di agitazione per il taglio dei fondi decisi dal governo. Qualche euro in più, e speso meglio, e magari l'università italiana nelle top 100 ci entra pure.