Roberto Ciccarelli
La richiesta di un piano straordinario di reclutamento da parte della Conferenza dei Rettori (Crui) è la conferma che il proposito di bloccare il prossimo anno accademico da parte dei ricercatori delle facoltà scientifiche non è il messaggio in una bottiglia lasciata alla deriva.
In una mozione approvata all'unanimità il 25 marzo scorso, dopo un incontro tra il presidente della Crui Enrico De Cleva e 200 ricercatori della Statale di Milano, l'organo che rappresenta i rettori ha chiesto al governo che una «quota consistente» di questi posti, 2 mila all'anno, venga garantita per i prossimi sei anni per «le assunzioni di professori associati». I rettori intenderebbero così garantire un canale privilegiato per il passaggio da ricercatore - un ruolo che il ddl mette in esaurimento - ad associato, mettendo così sullo stesso piano gli attuali «ricercatori strutturati» con i futuri ricercatori a tempo determinato che dovrebbero nascere una volta approvata la riforma Gelmini.
Questa soluzione è stata commentata da Alessandro Schiesaro, uno degli autori del ddl e segretario della neo-commissione che segue per il Ministero dell'Università la definizione del provvedimento, durante un incontro con i ricercatori della Sapienza venerdì scorso. Questi ultimi non hanno tuttavia nascosto i timori, peraltro diffusi in molti altri atenei, che la proposta dei rettori finirà per generare una «guerra tra poveri» tra i ricercatori precari e quelli regolarmente assunti. Lo stesso Schiesaro ha ammesso che questo proposito sarebbe comunque irrealizzabile se i tagli al fondo ordinario degli atenei voluti dal governo - e già criticati dalla stessa Crui - venissero mantenuti. Senza contare che, come sta già avvenendo, ciò darebbe spazio a rivendicazioni corporative all'interno di un settore altamente frammentato e numeroso come quello dei ricercatori.
E' il caso della proposta avanzata in un incontro avvenuto mercoledì scorso tra il Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari (Cnru), Schiesaro e il relatore della legge Giuseppe Valditara. Da allora le polemiche sono diventate aspre. Piero Graglia, ricercatore alla Statale di Milano e uno dei promotori del sondaggio sul ddl Gelmini che scadrà il prossimo 31 marzo, basato su 20 domande ragionate e pubblicato sul sito www.gdl.unimi.it, contesta il metodo usato da questa associazione. «E' come se io chiedessi al ministero di aprire un tavolo di trattativa - spiega - arrogandomi il diritto di rappresentare i 2 mila ricercatori che da tutta Italia hanno finora votato il sondaggio».
Sembra infatti che una piattaforma del Cnru diretto da un ricercatore della Sapienza, Marco Merafina, sia stata votata da 4 mila ricercatori. Tra i punti in discussione c'è la proposta di portare gli attuali ricercatori al ruolo di associati, mantenendo però il loro attuale trattamento economico ed accettando così l'eliminazione di questa figura.
Per Graglia questa soluzione non risolverebbe il problema dei precari e non rispecchia l'orientamento dei ricercatori autoconvocati che hanno convocato lo «sciopero bianco» e presto stabiliranno la data di un'assemblea nazionale.
Lo stesso orientamento viene espresso da Maria Letizia Ruello, ricercatrice in chimica del Politecnico delle Marche che al sondaggio del Cnru ha partecipato, anche se oggi non nasconde le sue critiche. «Non è il momento di fare distinzioni tra le proposte in campo - afferma - né di accettare i contentini che il governo ci proporrà. La nostra non è una protesta sindacale, rigetta la proposta che ci esclude dagli organi di governo degli atenei ed accentra il potere sui rettori. In mancanza di cambiamenti radicali non prenderemo carichi didattici, il che significa che il prossimo anno metà dei corsi saranno scoperti. Avere tirato la cinghia ha reso elementari i nostri bisogni e sta rendendo facile la presa di coscienza».
Il documento sottoscritto all'unanimità dai ricercatori della facoltà di Scienze del Politecnico marchigiano ha ricevuto 50 adesioni nella facoltà di ingegneria. Dopo Pasqua verrà portato anche nelle facoltà di agraria, medicina e economia. Dello stesso tenore è il documento approvato dai ricercatori di Scienze dell'Università dell'Insubria (Como e Varese): «Tali cambiamenti cruciali per il bene del Paese - si legge - non possono avvenire a costo zero».
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