Manifesto: I ricercatori: «Stop alle lezioni»
UNIVERSITÀ A Milano l'assemblea nazionale
Roberto Ciccarelli MILANO
Dal prossimo ottobre rifiuteranno di tenere lezione e bloccheranno i corsi di laurea se nel disegno di legge Gelmini sull'università non cambieranno le norme che regoleranno la governance degli atenei, non saranno ritirati i tagli al fondo ordinario (Ffo) degli atenei e non saranno modificate quelle che ostacolano la carriera dei ricercatori e aggravano il precariato. Lo ha stabilito l'assemblea organizzata ieri alla Statale di Milano dai ricercatori universitari dei 72 atenei mobilitati contro il Ddl. «Se dovesse passare - afferma Alessandro Ferretti, fisico dell'università di Torino - rifiuteremo ogni incarico didattico non obbligatorio, limitandoci a tutoraggio e laboratori così come prevede la legge». La scelta di rinunciare alla didattica ricorda quanto è successo in Francia un paio d'anni fa quando i maitre-à-conference sospesero per un anno intero la didattica e gli esami. L'impressione è che abbia aumentato la forza contrattuale del movimento che ieri si è dotato anche di un coordinamento nazionale. Se ne sono accorti a Roma dove due giorni fa si è tenuto al Miur un incontro interlocutorio tra i ricercatori e Alessandro Schiesaro, il responsabile della segreteria tecnica che sta curando la stesura della legge. La conclusione che i partecipanti ne hanno tratto è che i tagli imposti dal Ministro dell'Economia Tremonti sono definitivi e porteranno nel 2011 ad una decurtazione del 14,7 per cento del finanziamento degli atenei. Questa situazione porterà nel giro di pochi mesi l'intero sistema al collasso. Già oggi, infatti, il costo degli stipendi del personale è superiore ai fondi ministeriali. L'università non è solo incapace di assumere nuovi ricercatori e di fare progredire la carriera di quelli strutturati, ma non potrà affrontare la gestione quotidiana al punto che molti atenei sono in bilancio provvisorio.
Nell'assemblea di ieri era diffusa la consapevolezza che l'Italia stia progettando la fine della propria università moderna. Contro questo scenario inquietante, ma realistico, i ricercatori propongono un contratto unico di ricerca garantito che abolisca il precariato garantendo le tutele giuridiche fondamentali ai più giovani; un ruolo unico della docenza, articolato su tre fasce, che permetta la progressione della carriera dei ricercatori a tempo indeterminato e la retribuzione di ogni impegno didattico ulteriore rispetto alla ricerca; un reclutamento straordinario previo rifinanziamento del sistema.
«Non siamo un movimento che si batte per la difesa dell'esistente e non chiediamo una sanatoria che faccia i ricercatori tutti associati - afferma Stefano Simonetta, membro del Cda della Statale di Milano e ricercatore in storia della filosofia medioevale - Puntiamo a fare emergere la contraddizione di un sistema che è sempre meno finanziato e si regge sul volontariato di migliaia di precari che non hanno voce e di altrettanti ricercatori che la Gelmini vuole mettere in esaurimento nel 2013».
I ricercatori mobilitati sono in media poco più che quarantenni entrati da poco in ruolo. Davanti a sé hanno ancora una trentina d'anni di carriera bloccata e la prospettiva di una pensione dimezzata rispetto all'ultimo stipendio. Da Ancona a Firenze, da Como-Varese a Bari, ciò che li unisce è la coscienza di essere finiti in un vicolo cieco. Una sensazione non molto diversa da quella che matura nel ceto medio italiano da quando è iniziata la crisi. Nei loro discorsi la precarizzazione delle aspettative professionali viene accompagnata sempre dalla certezza che un intero sistema è destinato al fallimento.
«La formazione che daremo agli studenti, e ai loro fratelli minori, sarà sempre peggiore - conclude Simonetta - Nei prossimi anni, dopo il pensionamento in massa degli ordinari, la faranno ricercatori sempre più anziani e demotivati insieme a precari sempre più precarizzati.». «Già oggi - ribadisce Pietro Graglia ricercatore a scienze politiche della Statale - copriamo il 40 per cento della didattica ufficiale, pur non essendo obbligati per legge a svolgere tale compito».
I numeri della protesta si allargano quotidianamente in particolare nelle facoltà scientifiche dove la maggioranza dei ricercatori ha già ritirato la propria disponibilità a tenere lezione. Lo stesso orientamento è stato confermato dai dati del sondaggio online diffuso in assemblea a primo mattino che ha raccolto le opinioni di 2363 docenti, ricercatori, precari e studenti in tutto il paese, 819 solo a Milano.
Tra i molti precari e studenti presenti all'assemblea, c'era Ilaria Agostini del coordinamento ricercatori precari di Firenze e Torino che ha auspicato un'alleanza tra ricercatori, precari e studenti per riformare l'università in maniera solidale. "Dobbiamo evitare una guerra tra poveri. Mi auguro che questa mobilitazione non resti prigioniera di rivendicazioni corporative". Un rischio paventato anche dai ricercatori a tempo indeterminato che preferirebbero allargare la mobilitazione al diritto allo studio e alla creazione di un sistema di welfare per studenti e precari. Questa possibilità di alleanza potrà essere verificata il prossimo 18 maggio quando le associazioni della docenza hanno convocato una giornata di mobilitazione negli atenei e il giorno successivo quando il movimento si è dato appuntamento ad un presidio davanti al Parlamento.