Manifesto: Università, per l'autonomia dei ricercatori
Il varo della legge finanziaria, che impone nuovi tagli ad una ricerca di per sé ridotta all'osso, e l'iter parlamentare del Ddl Gelmini fanno tornare in auge il sempiterno dibattito su come riformare i concorsi universitari
Lorenzo Fioramonti
Il varo della legge finanziaria, che impone nuovi tagli ad una ricerca di per sé ridotta all'osso, e l'iter parlamentare del Ddl Gelmini fanno tornare in auge il sempiterno dibattito su come riformare i concorsi universitari. L'Italia, d'altronde, è l'unico paese del G8 dove il connubio tra nepotismo accademico e impoverimento sistematico della ricerca hanno generato una ormai ventennale fuga di cervelli verso l'estero ed una bassissima (per dirla ottimisticamente) capacità di attrarre ricercatori stranieri.
Vittima del sistema
Nella sua forma attuale, il concorso universitario per la selezione dei ricercatori è - salvo eccezioni - una farsa. Nella maggior parte dei casi, il vincitore si conosce già al momento del bando. Non sempre è un candidato interno, ma si tratta certamente di qualcuno che ha intessuto buone relazioni con l'ordinario che bandisce il posto. Ciò non vuol dire che non si tratti di un ricercatore capace. Nella versione Gelmini, il concorso si ridurrà ad una chiamata locale, ancora meno trasparente, con la creazione del ricercatore a tempo, senza garanzie, e completamente sottomesso ai chiari di luna degli ordinari che lo hanno arruolato.
Il ricercatore è una vittima del sistema accademico italiano. Sottopagato, sovraccaricato di lavoro (che permette poco tempo per la ricerca) ed appeso al filo della benevolenza degli ordinari. Il modello proposto dalla riforma Gelmini aggrava questo stato di dipendenza perché precarizza il ricercatore e lo vincola ancora di più all'arbitrarietà dei suoi superiori, dai quali infatti dipenderà la sua promozione a professore associato o il suo licenziamento. Ma se è vero che la ricerca più innovativa la fanno gli under 40, allora il ricercatore dovrebbe essere il perno dell'accademia, non la sua ultima ruota. Con alcuni colleghi dell'Università di Bologna e dell'Università della Val d'Aosta abbiamo sviluppato una proposta che, sebbene elaborata informalmente, ha comunque il merito di essere stata forgiata «dal basso» attraverso una serie di dibattiti promossi da precari, studenti e docenti.
I tre passaggi della proposta
La proposta consiste in tre passaggi: superamento del tabù del concorso, responsabilità in solido dei reclutatori e individuazione di criteri valutativi trasparenti.
Il concorso non è indispensabile, ma se si vuole mantenerlo allora va riformato. Le procedure di partecipazione vanno snellite (attraverso modelli online per la compilazione delle domande, liberandoci dalle attuali montagne di documenti e titoli cartacei), basando la selezione solamente sui titoli scientifici. Così si potrà forse garantire trasparenza e partecipazione, anche per un candidato straniero che oggi è praticamente tagliato fuori.
Per una buona selezione
La commissione deve essere composta sia di membri interni, sia di membri esterni sorteggiati. Inoltre - e questo è un importante elemento di novità - i reclutatori devono essere responsabili «in solido» delle loro scelte attraverso l'introduzione di un sistema di incentivi e disincentivi legati alla produzione scientifica e didattica del reclutato. Quindi: se il nuovo ricercatore lavora bene, pubblica in riviste peer reviewed e viene apprezzato dagli studenti, allora anche chi lo ha selezionato si vedrà aumentati i fondi di ricerca e gli scatti di carriera. In caso contrario, meno fondi e carriera più lenta.
Si tratta quindi di passare da una logica (comune sia al vecchio sistema sia a quello proposto dalla nuova riforma) in cui i costi del reclutamento vengono socializzati, cioè spalmati sull'erario pubblico o sui finanziamenti generali dell'ateneo, a un sistema in cui le conseguenze non solo negative ma anche positive della selezione siano condivise dai reclutatori, almeno per un periodo di avviamento di tre-quattro anni. Non si tratta di una procedura punitiva. Al contrario: un buon selezionatore ha solo da guadagnarci.
Il ricercatore al centro
Ovviamente, per procedere in questa direzione è necessario definire una griglia valutativa della qualità del lavoro del ricercatore-docente. Niente illusioni: si tratta di un tradizionale mal di testa dell'accademia italiana. A nessuno piace essere valutato, ma al punto in cui siamo arrivati si tratta di un passo fondamentale. Quello che va evitato è che i metodi di valutazione siano imposti dall'alto (com'è il caso della commissione nazionale proposta dal Ddl Gelmini), traducendosi non in un incentivo al miglioramento ma in uno strumento di controllo. Invece, la realizzazione di questa griglia dovrebbe trasformarsi in un processo aperto, in grado di ispirarsi alle esperienze internazionali e di coinvolgere i diretti interessati (ricercatori, precari e, perché no, studenti).
Questa proposta ha il grande pregio di mettere il ricercatore al centro della vita accademica, invece di relegarlo ai margini. Oggi, purtroppo, un giovane accademico deve adeguarsi a studiare ciò che gli viene «imposto» dal proprio ordinario di riferimento e deve sperare che, prima o poi, i baroni bandiscano il suo tanto agognato concorso.
Un modello aperto
Al contrario, un sistema aperto consentirebbe a tutti di trarre vantaggio (anche economico) dall'operato di un ricercatore libero, che si dedichi allo studio dei fenomeni che più gli interessano garantendo una produzione scientifica ed un'attività didattica di qualità.
Per la prima volta si realizzerebbe una vera e propria tenure track, svincolata dal rapporto simbiotico tra ricercatore e ordinario. Mentre l'attuale forma di reclutamento crea un «sistema a code», in cui ad essere ricompensate sono la staticità e la fedeltà del ricercatore, il modello aperto consentirebbe finalmente di premiare la mobilità fisica ed intellettuale dei giovani accademici, non solo quella salariale, come invece si preoccupa di fare la riforma Gelmini.
* Ricercatore precario
(Questo articolo è tratto liberamente da una proposta elaborata con i colleghi Fulvio Cammarano, Gigi Roggero e Paolo Gheda)