Meno poteri ai presidi e un bonus da 500 euro ecco com’è cambiata la riforma della scuola
Esclusa la donazione sul “730”, confermati i benefici fiscali per chi contribuisce. E poi: nuovi criteri per le valutazioni e l’inserimento dei docenti. Così, punto per punto, si modifica il Ddl sull’istruzione
Corrado Zunino
La “Buona scuola” ha già sedici mesi di vita e non è ancora una legge. Nel frattempo però, ha fatto scioperare il 67 per cento dei docenti italiani e monopolizzato il dibattito sulle politiche di Matteo Renzi. Il premier l’annunciò il 22 febbraio 2014, nel giorno dell’insediamento: la priorità del Paese, insieme al contrasto del dissesto idrogeologico, è l’istruzione, disse. Partì con un piano sull’edilizia scolastica (oggi ci sono a bilancio 3,9 miliardi) e il suo sottosegretario Roberto Reggi, a inizio luglio, delineò con Repubblica le prime ipotesi di riforma: più ore per tutti i docenti, 36 a settimana, e aumenti di stipendio a chi si prende responsabilità e offre competenze. L’idea era quella: più soldi ai migliori, ma Renzi non gradì che si annunciasse una questione contrattuale, lui con i sindacati avrebbe voluto parlare più tardi possibile. Così fece fuori Reggi, chiamò Davide Faraone e gli uffici ministeriali passarono l’estate a produrre un nuovo piano per la scuola.