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Messaggero: Università, sì alla riforma: ricercatori a tempo, è scontro

Fondi in base alla qualità, meno facoltà e abilitazione nazionale per i docenti. Rettori al massimo per otto anni

29/10/2009
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Il Messaggero

ANNA MARIA SERSALE
ROMA - Sì di Palazzo Chigi alla riforma dell’università. Il ddl presentato dal ministro Mariastella Gelmini ha avuto approvazione unanime. Ora tocca al Parlamento. Il testo sarà presentato prima in Senato. «E’ il primo provvedimento organico - sostiene il ministro - Sì all’autonomia, ma responsabile. Se gli atenei saranno gestiti male riceveranno meno finanziamenti, che d’ora in poi saranno dati in base alla qualità, è la fine dei finanziamenti a pioggia». Per combattere la cooptazione e il nepotismo cambierà il sistema di reclutamento. Concorsi truccati, la parentopoli che avanza, abusi e favori agli amici degli amici, i baroni per anni hanno imposto logiche antimeritocratiche. Con l’introduzione «dell’abilitazione nazionale» come condizione per diventare professore associato o ordinario, il sistema dovrebbe garantire più trasparenza. Chi darà i giudizi? «Una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità», prendendo in esame i titoli scientifici dei candidati.
Intanto, l’opposizione si mobilita contro i rischi di «privatizzazione» e la «messa in esaurimento di 20mila ricercatori», attualmente impiegati nelle università. Quelli con contratto a tempo indeterminato resteranno in servizio ma il loro ruolo non sarà più rinnovato. Il ddl Gelmini all’articolo 12 prevede che i «contratti dei ricercatori saranno di durata triennale e potranno essere rinnovati una sola volta per un ulteriore triennio». Insomma, i ricercatori saranno a tempo. «Così diventiamo un Paese di serie B», accusa Luciano Modica, del Pd, ex sottosegretario all’università. «Operazione scopertamente autoritaria», accusa Mimmo Pantaleo, segretario della Flc-Cgil. Ma la Gelmini sostiene una diversa tesi: «Allo stato attuale si diventa ricercatori mediamente a 37 anni, tardi, dopo un lungo precariato. Non ha senso essere ricercatori a 50 o 60 anni, si può diventare ricercatori a 30 e, al termine dei sei anni, si procede a una valutazione. E’ poi facoltà dei singoli atenei trasformare i ricercatori in professori associati». «Sono d’accordo, è una norma giusta», afferma Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale.
L’altro giro di vite riguarda i rettori. Avranno un limite al loro mandato, non potranno restare in carica più di 8 anni (4+4), includendo gli anni già trascorsi prima della riforma. Separazione dei poteri: saranno distinte le funzioni tra Senato accademico e Consiglio di amministrazione (attualmente vi è confusione a ambiguità di competenze). Ma c’è chi teme un eccesso di poteri da parte del Cda e quindi un ruolo subalterno del rettore che potrebbe essere ”commissariato” dagli organi interni di governo. Insomma, la Gelmini punta alla trasparenza e alla meritocrazia. Almeno nelle intenzioni. La cautela è d’obbligo considerate le resistenze del mondo accademico ad accettare sistemi che scardinano l’autoreferenzialità. «I tempi sono cambiati - avverte Lenzi - docenti e rettori sono pronti a farsi valutare». Intanto monta la protesta, l’Onda rilancia l’offensiva con manifestazioni in tutta Italia. Dopo una breve occupazione simbolica di alcuni uffici del Ministero, a poche ore dal varo del disegno di legge il Movimento ha annunciato che il 6 e il 17 novembre ci saranno cortei nelle principali città.
Sulla legge positivo il giudizio dei rettori, ma ad una condizione: «Che la riforma sia resa credibile con un adeguato finanziamento», dichiara Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei “magnifici”. «E’ una buona base di partenza, molte delle cose contenute nel ddl noi le abbiamo già attuate», sostiene Pier Ugo Calzolari, rettore dell’Alma Mater di Bologna. Soddisfatti gli industriali: «Ci liberiamo di modelli organizzativi inefficienti», sostiene Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria per l’Education. «Apprezzabile perché tocca tutti gli snodi, dalla governance al reclutamento ai nuovi sistemi di finanziamento sulla base del merito», è l’opinione di Fabio Pammolli, direttore del Cerm e dell’Imt di Lucca.