Nuovo testo unico, ecco perché si rischia la paralisi
Salteranno norme e prassi di decenni
Carlo Forte
Le norme sulla scuola saranno contenute in un nuovo testo unico. Lo prevede una delle deleghe contenute nel disegno di legge sulla scuola, da attuarsi entro 18 mesi dall'entrata in vigore della riforma. Il rischio che si corre è di complicare ulteriormente l'interpretazione e l'applicazione di tutte le norme del diritto scolastico.
Ecco i motivi. È dal 1994 che il governo non provvede ad una rivisitazione sistematica della normativa scolastica in vigore. E il compito si preannuncia molto difficile. La scuola, infatti, è stata fatta oggetto nel corso degli anni di un numero enorme di provvedimenti.
I compilatori del nuovo testo unico dovranno fare i conti non solo con la grande quantità di disposizioni, ma anche e soprattutto con il lavoro di interpretazione. Che costituisce il prerequisito per l'inserimento delle disposizioni all'interno di qualsiasi testo unico. La funzione di questa particolare tipologia di atto normativo, infatti, non è solo quella di riunire in un unico volume tutte le norme di un determinato settore, ma anche quella di scartare le norme non più in vigore.
Nei testi unici, peraltro, viene di solito inserita una disposizione che preclude la possibilità di far prevalere norme di settore non inserite nel testo unico stesso. A meno che la legge non preveda espressamente l'abrogazione della disposizione contenuta nel testo unico. Anche se non necessariamente in contrasto. (si veda, per esempio, l'art. 55 del decreto legislativo 177/2005).
Il rischio che si corre con l'avvento del nuovo testo unico, dunque, è quello di cancellare norme importanti che, nel corso degli anni, hanno informato la prassi delle istituzioni scolastiche. Si pensi, per esempio, alle disposizioni che regolano le competenze e le funzioni degli organi collegiali della scuola. Alcune di queste ancora regolate dai regi decreti degli anni '20 con i quali fu introdotta la riforma Gentile. Come per esempio, la norma che prevede la prevalenza del voto del presidente del consiglio di classe in caso di parità. Oppure quella che regola il processo di assegnazione dei voti di scrutinio.
E poi c'è tutto l'impianto della contrattazione collettiva, introdotta anche nella scuola, dal decreto legislativo 29/93, successivamente rimodernato con il decreto legislativo 165/2001: il cosiddetto testo unico del pubblico impiego. In questo caso il rischio che si corre è quello di introdurre modifiche unilaterali negli obblighi di lavoro. Che potrebbero addirittura precludere la riapertura dei tavoli negoziali. Pure necessaria per effetto della recente pronuncia della Corte costituzionale con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme che bloccano per il futuro il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Il peggioramento delle condizioni di lavoro degli insegnanti, infatti, qualora fosse introdotto per legge, direttamente nel testo unico, andrebbe a scontrarsi con una disposizione contenuta nella legge 15/2009: la norma che preclude alla contrattazione collettiva la possibilità derogare le leggi. Che però fa salve le deroghe introdotte con il contratto di lavoro attualmente vigente.
Ciò vuole dire che i sindacati potrebbero non avere interesse a firmare un nuovo contratto che recepisse eventuali condizioni peggiorative. E tutto rimarrebbe assolutamente come prima. Sempre che il legislatore non decidesse di abrogare espressamente l'articolo 2 della legge 15/2009, nella parte in cui fa salve le deroghe previgenti. Ma così facendo il governo andrebbe allo scontro con tutti i sindacati e i lavoratori del pubblico impiego.
E poi c'è la questione delle sanzioni disciplinari. Questione particolarmente delicata perché nel testo unico del 1994 (il decreto legislativo 297/94) vi sono norme, tuttora in vigore, in aperto contrasto con quelle contenute nel decreto Brunetta. Si tratta in particolare della disciplina sostanziale che regola le sanzioni del personale docente. Sanzioni più pesanti di quelle previste per il resto del pubblico impiego. Che però, secondo la prevalente giurisprudenza di merito, non sono applicabili dai dirigenti scolastici (ma il ministero è di diverso avviso). In questo caso il contrasto potrebbe essere risolto essenzialmente in tre modi. Il primo è la delegificazione della materia e relativa restituzione al tavolo negoziale. La seconda è il recepimento del decreto Brunetta con relativa cancellazione della disciplina sostanziale delle sanzioni attualmente in vigore. Il terzo è la riscrittura totale dell'intera materia, con l'introduzione di nuovi istituti validi solo per i docenti