Quelle classi che non mollano tra le crepe e i muri scrostati
Viene voglia di credere in questa scuola, in questa Italia. Antica, dimenticata e vitale nonostante tutto
di Paolo Di Stefano
Edifici vecchi e fatiscenti, soffitti che vengono giù, muri scrostati, zone pericolanti, finestroni che non si chiudono, riscaldamenti che non funzionano. La scuola italiana ha bisogno di una ristrutturazione. Giustamente, Gianna Fregonara ( Corriere della Sera di venerdì scorso) ha denunciato il ritardo imperdonabile del governo nel distribuire i fondi promessi per l’edilizia scolastica. Ma edilizia a parte, com’è la scuola italiana al suo interno, tra quei muri cadenti?
Mi è capitato, nell’ultimo anno, di essere ospitato, come autore di un romanzo per ragazzi che racconta una storia adolescenziale di immigrazione, da tante scuole medie italiane, specialmente al Sud. L’ultima esperienza, nelle scorse due settimane, in Sicilia e in Puglia. Ed è stata la scoperta di un mondo segreto, quasi clandestino, che cerca di resistere eroicamente alle intemperie della crisi e soprattutto alla scarsissima considerazione della società. Ho visto cose che voi umani... verrebbe da dire.
A febbraio ho visto, nella scuola Manzoni di Mottola (Taranto), un auditorium con un maestoso tendone rosso cupo sul fondo, immerso nel gelo dei giorni di neve e privo di riscaldamento: tutti i ragazzi seduti ad ascoltare, imbacuccati nelle giacche a vento e nei cappotti, con tante scuse all’autore, anche lui intabarrato dentro sciarpa e giaccone. Ragazzi festosi, pieni di curiosità. Docenti entusiasti (fa effetto non vederne di giovani e tanto meno giovanissimi).
Ho visto a Gravina una banca che meritoriamente presta alla scuola media Montemurro la sua sala conferenze, in modo da poter ospitare trecento, forse quattrocento, ragazzi tra gli 11 e i 13 anni che hanno letto e discusso per mesi il libro in classe, lo hanno recensito, hanno voglia di interrogare lo scrittore, hanno voglia di mostrargli i disegni e le illustrazioni ricavati dalla lettura, di recitare i brani che considerano più significativi, di far sentire la propria voce. A Cavallino, vicino Lecce, c’è anche il parroco, don Gaetano: dice parole commoventi sui morti nel Mediterraneo e sulle nostre responsabilità. Ho sentito tanti insegnanti straordinari, capaci di trasmettere emozioni e conoscenza ai loro allievi, di far capire il valore della lettura e dei libri.
Questa classe di docenti, generalmente maltrattata o nel migliore dei casi ignorata, avrà pure nelle proprie fila gente senza stimoli e senza passione: capita in tutte le professioni e non si vede perché non possa succedere anche tra i professori. Ma per la grandissima parte si tratta di persone che cercano di rimediare alla carenza di mezzi con la buona volontà, con l’orgoglio e con la fantasia. E questo in un momento in cui, spesso, non ha neanche l’alleanza dei genitori, che invece tendono a (iper)proteggere i loro figli «contro» la scuola.
Ho visto a Tricase, gioiello barocco del Salento, scolaresche attente, classi che partendo da un libro organizzano canti, piccole sonate per basso, violino, chitarra e flauto, uno spettacolo teatrale dei bambini di quinta elementare preparato con cura: un evento per cui si «scomoda» anche il sindaco.
Un’Italia d’altri tempi, un’Italia appartata, periferica, che ha il desiderio di conoscere e di farsi conoscere, non ha per niente la tentazione di naufragare nella retorica e nella sciatteria generale. Ho visto, suggerite dalla lettura di un libro, proiezioni di fumetti composti con i pochi strumenti digitali di cui dispongono gli istituti del Sud. Ho visto la bibliotecaria della scuola Materdona di Mesagne (un tempo fulcro della Sacra Corona Unita) fiera della saletta di lettura, scalcinata ma dignitosa, dove sono collocati pochi e indispensabili romanzi e saggi sulla memoria, senza sedie e poltrone ma con una decina di cuscini sul pavimento. La dirigente va in pensione l’anno prossimo, lamenta il carico crescente di incombenze amministrative e sul suo computer esibisce le tante pubblicazioni fatte con i ragazzi negli anni passati (sull’emigrazione, sulle feste popolari locali, sulla guerra...): ma ormai mancano i fondi per proseguire.
Prime, seconde e terze al completo all’Istituto Quirino Maiorana di Catania: un edificio dall’aspetto dignitoso, ma antiquato. Di fronte, un muro enorme con le immagini dei morti per mafia, a futura memoria. Gli incontri, organizzati dalla Libreria Cavallotto, sono una pioggia di domande sull’immigrazione. Prima di me, sono arrivati Andrea De Carlo, Valerio Massimo Manfredi, Dacia Maraini. La settimana dopo ci sarà Gherardo Colombo. Viene voglia di credere in questa scuola, in questa Italia. Antica, dimenticata e vitale nonostante tutto.