Scuola, basta un voto per fermare Renzi al Senato
Ddl Scuola. Tonfo del governo bocciato sul parere di costituzionalità della riforma. Il voto determinante di Mauro (Gal) rivela la debolezza del presidente del Consiglio. Sono piccole avvisaglie di un Vietnam parlamentare. La minoranza Pd: un referendum sulla scuola tra gli iscritti. Abbaglio clamoroso: è un compromesso tra Renzi che non parla alla società e chi vuole restare in un partito senz'aria
Nella direzione Pd di lunedì sera si era mostrato sicuro, immotivatamente tronfio vista la china che hanno preso le cose. Matteo Renzi ha sostenuto di «avere i numeri in Senato. Se vogliamo approvare la riforma della scuola così com’è lo facciamo domani mattina, anche a costo di spaccare il Pd. Ma è importante discutere». Spacconate. Ieri il governo è andato sotto sul parere di costituzionalità sul Ddl scuola. In commissione Affari Costituzionali al Senato è finita 10 a 10. Il Pd le ha provate tutte. Ha fatto votare Anna Finocchiaro che, in quanto presidente di commissione, per prassi non dovrebbe farlo. Invece il provvedimento non è passato per il voto determinante di Mario Mauro di Gal, fresco di cambio casacca dalla maggioranza alla terra di mezzo centrista all’opposizione. E ha voluto così dare una sonora smentita alle sicurezze di Renzi: «La riforma è scritta male dal punto di vista costituzionale» ha detto.
«La questione di legittimità costituzionale sarà riproposta e ridiscussa nell’Aula — si legge in una nota del Comitato nazionale di sostegno alla “Legge di iniziativa popolare per una buona scuola della Repubblica” (Lip) — quanto è avvenuto dovrebbe però convincere chi ha un minimo di sensibilità costituzionale a ritirare il DDL, stralciando la parte relativa all’assunzione dei precari e rinviando l’esame del testo di legge dopo che esso sia stato riscritto in modo rispettoso dei principi costituzionali.Difatti, come abbiamo rilevato nei giorni scorsi, il DDL, oltre ad essere incostituzionale nella sua impostazione, è disseminato in tutti i suoi articoli di norme in contrasto con i principi costituzionali. Un’ultima considerazione: il Presidente Mattarella non ha proprio nulla da osservare?».
È l’anticipazione di quanto potrebbe accadere, in commissione Istruzione dove il Pd potrebbe non avere la maggioranza. Le sorprese verranno dalla palude centrista. I dissidenti Dem Tocci e Mineo potrebbero votargli contro. Si resta in attesa di capire il reale contenuto delle «aperture» alla minoranza Pd ipotizzate da Renzi.Sul punto, Guglielmo Epifani, ex segretario Pd e Cgil, è stato tranchant: «Che cosa voglia dire di preciso questa apertura, come si cambiano in pratica le norme sulla scuola, resta del tutto impregiudicato. Se a furia di fare le riforme perdi parti importanti del tuo elettorato e rompi il rapporto con milioni di cittadini è chiaro che il problema non è più se fare le riforme, ma capire se le riforme si fanno nella direzione giusta».
Nell’ultima settimana Renzi ha adottato la tecnica dello struzzo sulla scuola. Si è mostrato «dialogante», ora vuole passare i prossimi 15 giorni a discutere la riforma «nei circoli Pd». Pensa così di recuperare credito ribadendo la bontà del suo Ddl, ha detto un ironico Alfredo D’Attorre.Invece, più il tempo passa, più la situazione peggiora per Renzi. Nella società, come in parlamento dove ieri i senatori alfaniani non erano presenti al voto in commissione. Nel caso di Quagliarello, Augello e Torrisi la richiesta è di rivedere l’Italicum. Il messaggio però è chiaro: sono iniziate le grandi manovre, la scuola è il fianco debolissimo dell’ex partitone del 41 per cento. Si sente l’odore del sangue, il Vietnam di cui ha parlato il capogruppo di Forza Italia Brunetta è iniziato. Altro effetto: è slittato ad oggi il parere sul Ddl scuola da parte della commissione Bilancio al Senato, propedeutico all’inizio del voto per le modifiche in commissione Istruzione. «È ora che il governo si decida a discutere le sue scelte e a correggere i suoi errori in un democratico confronto con il parlamento» sostiene Loredana De Petris, presidente del gruppo misto-Sel al Senato.
Può darsi che siano fuochi fatui. Per il presidente della VII commissione Marcucci «non c’è alcuna battuta di arresto». Nei fatti qualcosa non funziona se lo stesso Marcucci ammette: «Impossibile sapere quali saranno le modifiche che arriveranno». La richiesta di stralciare l’assunzione dei precari dal Ddl è stata rifiutata. Il loro destino è in ostaggio del Ddl. L’ipotesi è estendere le assunzioni ai precari di seconda fascia. L’emendamento è dei relatori Puglisi (Pd) e Conte (Ap) e raccoglierebbe una delle richieste delle minoranze Pd avanzate da Miguel Gotor. Sono accorgimenti che non affrontano i problemi di fondo. «Il governo si riscrive il testo da solo – sostengono i parlamentari dei Cinque Stelle – ora vediamo se Renzi farà finta di non sentire nemmeno il clamoroso tonfo della sua maggioranza in Senato. L’unica parte da preservare è quella delle assunzioni. Il resto va gettato nel cestino».
Il governo continuerà invece sulla sua strada. Imperterrito. Non vuole cedere nulla sul ruolo del superpreside. Fin’ora le ipotesi di emendamento circolate non eliminano il potere monocratico attribuitogli dal Ddl e contestato dal mondo della scuola. In più sembra esclusa la modifica dell’altro pilastro ideologico della riforma: le scuole paritarie. A luglio il Ddl tornerà alla Camera. Spostando tutto in estate, il Pd spera di sfiancare l’opposizione straordinariamente vigorosa ed efficace, come si vede dal successo dello sciopero degli scrutini. Renzi teme la scuola, un avversario impensabile ai suoi occhi. E molto coriaceo.
Non bisogna trascurare un altro elemento. Il Ddl scuola doveva essere approvato da entrambe le camere a fine aprile. Il «cronoprogramma» renziano porta almeno due mesi di ritardo. La riforma sulla quale Renzi ha messo la faccia è stata presentata dieci mesi fa, il 3 settembre 2014. Da allora l’esecutivo ha perso tempo, in più è stato sonoramente battuto dalla consultazione online eterodiretta sull’abolizione degli scatti stipendiali di anzianità (il 60% ha detto no a favore di un «sistema misto»). Con la consultazione dei circoli Pd Renzi si è inventato un altro sistema grottesco per logorarsi. Sta di fatto che non parlerà con i docenti, gli odiati sindacati o con il parlamento. Un altro errore in una vicenda che non ha saputo gestire sin dall’inizio.
Ad attestare l’abbaglio in corso nel partito democratico c’è l’idea di un referendum sul Ddl scuola tra gli iscritti avanzato ieri dagli esponenti della minoranza. Invece di avviare un ripensamento allargato a tutta la società che si sta muovendo contro la riforma (docenti, personale, genitori, studenti e sindacati), sta passando l’idea di una consultazione riservata, e separata. Come se l’esito delle regionali, come della mobilitazione in corso da due mesi, fosse il prodotto della volontà degli iscritti ad un partito in crisi, non di qualcosa che eccede questo ristretto perimetro e mette in discussione l’intera politica del Pd. Certo, l’esito potrebbe essere negativo, e non si sa a quel punto come potrebbe reagire Renzi che ieri non si è espresso su questa ipotesi.Si tratta di un compromesso tra chi non ha alcuna intenzione di parlare con la società in movimento e chi, per necessità, ha scelto di restare in un partito senz’aria.
Gli ultimi “si dice” sulle modifiche al Ddl scuola
La settima Commissione Istruzione al Senato continuerà a lavorare su queste proposte di emendamento al testo: si dovrebbe intervenire sulla valutazione del preside. Tra i parametri che lo renderanno «produttivo» sarà contemplato il «successo formativo» degli studenti e il modo in cui farà lavorare il corpo docenti. I relatori del Ddl al Senato, Puglisi (Pd) e Conte (Ap) pensano di eliminare, per le scuole superiori, i rappresentanti degli studenti e dei genitori dal comitato per la valutazione dei docenti. Quello che decide sull’aumento degli stipendi al 5% dei docenti «meritevoli». Si pensa di affiancare il collegio docenti e il consiglio d’istituto al «super-preside». Sugli «albi territoriali»: limitarli ai docenti dal secondo anno in poi. Confermata l’idea di limitare gli incarichi triennali dei presidi per tre anni, rinnovabili per altri tre. Poi cambieranno scuola.