Scuola, Renzi rinuncia al decreto I nodi dei precari e delle private
Oggi la riforma in Consiglio dei ministri, la scelta del disegno di legge
Non ci sarà alcun decreto sulla «Buona scuola». Dopo mesi di attesa, annunci, giornate tematiche sulla riforma che doveva rivoluzionare la scuola italiana, a poche ore dalla sua presentazione in Consiglio dei ministri, il premier Matteo Renzi ieri sera ha deciso di rinunciare al decreto legge, preferendogli la via parlamentare: sulla scuola oggi il governo varerà solo un disegno di legge chiedendo al Parlamento l’approvazione in tempi certi. «Stiamo lavorando a un cambiamento radicale, ma vogliamo coinvolgere maggioranza e opposizioni — ha spiegato Renzi ai suoi —: sulla scuola voglio dare un messaggio al Parlamento, riprendendo lo spirito delle dichiarazioni delle opposizioni e del presidente della Repubblica. Proporremo un disegno di legge, chiedendo tempi certi al lavoro parlamentare. Se tutti saranno rispettosi e attenti, se non ci sarà ostruzionismo, allora ragioni di urgenza saranno rispettate dal normale dibattito parlamentare».
Una scelta quella di Renzi, spiegano in ambienti della presidenza del Consiglio, fatta per coinvolgere di più maggioranza e opposizione ma anche per rispondere alle accuse di comportamenti «dittatoriali»: «Vedremo come si comporteranno le opposizioni». E subito arriva il primo applauso con il presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta che si dice soddisfatto per «le intenzioni non più muscolose di Renzi».
Ma è al ministero dell’Istruzione che la decisione del premier ha lasciato tutti a bocca aperta. Lì dove ormai si stavano limando gli ultimissimi dettagli della bozza del decreto che oggi pomeriggio sarebbe arrivata sul tavolo del Consiglio dei ministri. Un fulmine a ciel sereno per la stessa ministra Stefania Giannini che ha saputo dello stop al decreto appena poche ore prima della sua presentazione.
La scelta di Renzi ha invece rimesso tutto in discussione. I tempi tanto per cominciare. Con il decreto legge, i tecnici del Miur avrebbero potuto cominciare subito a lavorare per l’assunzione dei 120 mila precari della scuola dal primo settembre, il cuore della riforma scolastica del governo: «Mai più precari» aveva detto lo stesso premier appena 9 giorni fa dal palco del Pd nella giornata d’orgoglio della Buona scuola a Roma. Ma con il ddl i tempi non sono più così certi: si dovrà attendere fino all’ultimo dei passaggi parlamentari e con il caos delle assunzioni dei precari della scuola, tra graduatorie, concorsi e ricorsi, si rischia di slittare ben oltre il primo settembre.
Non solo. Secondo il decreto, grazie al miliardo destinato alla scuola dalla Legge di stabilità, venivano rafforzate materie come inglese, musica e arte; si costruivano più laboratori, si aumentava la digitalizzazione della scuola; si favoriva una maggiore alternanza tra scuola e lavoro in tutti gli indirizzi. E infine, c’era l’istituzione di un fondo sperimentale per la detrazione delle rette scolastiche delle scuole paritarie, uno dei nodi più dibattuti. Tutto da rifare. Ora la palla passa al Parlamento.
Claudia Voltattorni
cvoltattorni@corriere.it